Mercoledì 24 Aprile 2024 - Anno XXII

In Nepal tra gli Sciamani

Sulle tracce degli adepti del dio Shiva quasi a quattromila metri d’altezza in compagnia del Dottore, mezzo etnologo e mezzo hippy. Tra riti antichissimi e ancestrali paure in compagnia del più vecchio e rispettato degli sciamani che alle domande un po’ scettiche dell’uomo bianco risponde: “Venite e vedrete”

Quartiere Thamel, Kathmandu
Quartiere Thamel, Kathmandu

La mattina del settimo giorno arrivò a Kathmandu un autobus ammaccato e variopinto, su cui salirono due dozzine di uomini dopo aver issato e assicurato con corde i bagagli sul tetto. Era l’autobus che ci avrebbe portato nei pressi del confine. Il nostro folle piano concepito in business class si era trasformato in una spedizione di ventitré uomini. La maggior parte erano portatori che si sarebbero caricati in spalla il necessario. Tende complete di pali e annessi per ripararsi dalla pioggia, coperte per proteggersi dal freddo, lampade per ovviare all’oscurità e, ancora, una tenda da cucina, sacchi di riso, patate, verdure e tutto l’occorrente. […]
Una persona mancava però all’appello: Mai. La sua vita presentava qualche somiglianza con quella di Indra. Anche lei proveniva da un villaggio remoto, anche lei era diventata sciamano in tenera età e aveva cercato inutilmente di sfuggire al proprio destino.
Si erano sempre preoccupati di avere un buon motivo per mettere mano al tamburo – una persona malata o colpita da un’altra disgrazia che li aveva supplicati di aiutarla. Ma, in realtà, l’avevano fatto per noi. Di notte viaggiavano per poi riferirci per giorni quello che avevano visto. […].
La luce del pomeriggio cominciava già a impallidire quando raggiungemmo la nostra meta – l’ultimo piccolo mercato prima del confine col Tibet – due ali di negozi simili a garage ai due lati della strada, null’altro. La pioggerellina che ci aveva accompagnato durante il viaggio si trasformò in un nubifragio non appena scesi dall’autobus. […]

Tempio di Shiva, Fiume Dorato
Tempio di Shiva, Fiume Dorato

Eserciti di cicale frinivano, producendo una vibrazione sempre più prolungata, sempre più chiara che sembrava affiorare dalle profondità della terra. Se ci fermavamo, si sovrapponeva e si sintonizzava con il battito del nostro polso; e ci spronava quando riprendevamo la marcia. Il sudore mi scorreva sul viso, sul collo, sul petto, mescolandosi alla pioggia. Seguimmo per un po’ il Fiume Dorato, che doveva quel nome alle pietre che un tempo brillavano nel suo letto. Ma dopo un terremoto, mi spiegò Mohan, il fiume aveva smesso di luccicare. “Quando è successo?” “Da poco, circa un secolo fa.”
Al tramonto raggiungemmo un piccolo tempio di Shiva, Mohan l’aveva scelto come luogo dove trascorrere la prima notte. Il simbolo del dio, il tridente, si stagliava nero contro il cielo grigio. Le tende furono pronte in un battibaleno, a me e al Dottore erano riservati due giacigli sulla paglia in un fienile. […]

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Stavamo pranzando in una taverna, quando dalla direzione in cui dovevamo proseguire spuntò una coppia che attirò immediatamente su di sé l’attenzione generale, e non solo perché lassù capitava estremamente di rado di imbattersi in altre persone, o perché in quella taverna a parte noi non c’era nessuno. Erano tutt’e due esili, quasi fragili, e non avrei saputo dire quale fosse la loro età, se non che sicuramente non erano più giovani. Entrambi avevano bei volti solcati da rughe, entrambi portavano vesti rosse attillate, lunghe fino ai piedi. I nostri sherpa li conoscevano. Si inchinarono davanti a loro. I due accolsero quell’espressione di rispetto tenendosi un po’ sulla difensiva, con una calma che ne tradiva l’appartenenza a una classe privilegiata. Una coppia di viandanti a piedi nudi – incuranti di dettagli esteriori come il fatto che i loro abiti avessero dei buchi qua e là o fossero comunque segnati dal cammino. Non c’erano dubbi: a giudicare dalla veste, l’uomo era uno sciamano, e pure piuttosto importante. Anche Indra sembrava conoscerlo, il suo atteggiamento denotava grandissima devozione. Non appena ebbi l’occasione, gli chiesi chi fosse. “È lui il più potente” disse. “Lo sai come si chiama questa regione?” Gli dissi il nome che avevo letto sulla carta. “Sì, nel tuo Trekking Permit c’è scritto così. Ma io intendo il nome vero: Jhankrilandia. Jhankri significa ‘sciamano’ nella lingua sherpa e quest’uomo è il loro jhankri più venerato.”

Sherpa
Sherpa

Li invitammo a mangiare e bere insieme a noi. Lui accettò con la cortese condiscendenza di chi non è abituato a essere trattato altrimenti. La conversazione avveniva nella sua lingua, io ero seduto in disparte e lo osservavo. Si era lasciato crescere una sola ciocca di capelli, gli pendeva dalla nuca lungo tutta la schiena. Un atto d’amore nei confronti di Shiva, come mi spiegò in un sussurro il Dottore, “il dio dai capelli lunghi e selvaggi”. La moglie sedeva vicinissima a lui. I due sembravano una giovane coppia di innamorati in viaggio. Lei lo guardava spesso e sorrideva quando era lui a parlare. Parlava con una voce assai più modulata della comune gente di montagna, anche se non c’erano dubbi sul fatto che fosse uno di loro; per lo più parlava sottovoce, costringendo gli altri a chinarsi, poi inaspettatamente diceva qualcosa in tono risoluto e passionale, come qualcuno avvezzo a essere ascoltato. Mohan e Indra gli offrirono beedi da fumare e da bere del chhang, una birra schiumosa simile a brodaglia servita in scodelle.
Terminato lo scambio di cortesie, l’ospite ci raccontò che cosa gli era successo una decina di minuti prima. All’improvviso una lunga biscia gli si era parata davanti sul sentiero. “Ci stavamo dirigendo verso Dudh Kunda.” Un lago sacro color latte, mi spiegò Mohan che stava facendo da interprete. “In passato sono salito ogni anno sulla montagna di Shiva, stavolta volevo andare al Dudh Kunda. Chiesi alla biscia di lasciarmi passare. Ma lei non si muoveva. Allora mi infuriai e afferrai il coltello, intenzionato a ucciderla. In quell’attimo ho pensato: fermati, lascia perdere, deve essere sicuramente un segno. Ho aggirato la biscia e dieci minuti dopo ecco che incontro voi!” Adesso aveva compreso cosa volesse la biscia da lui. “Verrò con voi in cima alla montagna, se me lo permetterete.” […]
Venite e vedrete. Non era con noi da neanche un’ora, eppure era lui che ci invitava. La nostra spedizione terminava qui – o almeno la parte che avevamo diretto noi, Mohan, il Dottore e io. D’ora in poi ci avrebbe guidato lui, lo sciamano. Stavamo attraversando Jhankrilandia, il suo paese. Qui il re era lui. […]

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