Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Verona, una giornata a Vinitaly

Una domenica nella città di Romeo e Giulietta non per monumenti ma per degustare i rossi, i bianchi e rosé a Vinitaly. La manifestazione veronese, giunta alla 49esima edizione, è un importante appuntamento per mostrare al mondo la magnificenza dei nostri vini e distillati

Vinitaly 2015
Vinitaly 2015

“Vuoi venire al Vinitaly?” mi fa l’editorpadrone di questo baldo magazine on line, incurante del rischio di finire vittima della mia logorrea nostop tra Millano e Verona. Come se non gli bastassero i problemi assillanti di chi nel Belpaese muove le chiappe e tenta di combinare qualcosa facendo girà i danée. E a proposito di on line, paroline anglosassoni di gran moda, temo che, traducendo maccheronicamente, sulla linea, nel senso del web, sia finito proprio tutto il pensiero universale, tranne, forse, la Bibbia, non esistendo più chicchessia, fosse solo un ex usciere di case editrici ‘con ascendente turistico’ o un agente di viaggi in quiescenza, che non possegga un blog pontificante turismo, evviva!.

Alla proposta di andare al Vinitaly, un appuntamento che mostra al mondo la magnificenza dei nostri vini e distillati, giunta alla 49esima edizione, dico sì con doppio anzi triplo entusiasmo per altrettanti motivi che passo contestualmente a dettagliare:
1) La sete (beninteso non di Boario o San Pellegrino) non è una colpa (trattasi di uno dei miei rari copyright riscuotenti un certo successo, massima ahimè datata, risalendo a un mio ciucco ritorno a casa con obbligo di spiegazione appetto a una madre perplessa).

Al Vinitaly
Al Vinitaly

2) Il desiderio di verificare se dopo più di mezzo secolo di assidua e indefessa “Utenza Enologica” sono finalmente riuscito a capirne qualcosa deglutendo: i Rossi – ma alcuni tra quelli nati prima del 1940 continuano a chiamarlo Nero; i Bianchi, ancorché per un gran aficionado al Rosso, quale mi ritengo, per me costituiscano solo una bevanda; e i Rosati ma fa più chic dire Rosè, che però, ahiloro, in Italia sono sfigatamente ignorati imperocché, a mio giudizio, e marketing parlando, “mancano di pierre”. O forse perché, qualche lettore matusa ricorda, un mucchio d’anni fa fecero tantissima rèclame televisiva a un vinello (una pisciazza per il mio grande amico Mimì, leccese doc, quindi conoscitore dei sapidi e corposi rosati del Salento) che, manipolato volutamente leggerino per accompagnare le cene al lume di candela – così apparivano in tivù – di miti coppie di fidanzatini (cenetta eppoi dancing per concludere con sesso quasi casto) non poteva certamente competere con l’allora imperante, beninteso nerissimo, anzi un inchiostro, Manduria (ohèi la peppa se l’era duro, infilavi la forchetta nel bicchiere e stava in piedi, ma anche il Barberato col quale esordii giovanilmente nella Nazionale della Sete a Novara, mica si scherzava), bacchico nume di ogni ciocca che si rispettasse nei Trani di una Milano (mitico quello di Strippoli in piazza Santo Stefano) in cui il suesposto, criticato Rosatello non sarebbe stato usato nemmeno per bagnare i fiori.

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3) Ultimo dei motivi che mi spingevano in gita a Verona con il pressoché astemio editorpadrone (che andava a ritirare un premio per Mondointasca, ma ahinoi solo una statuetta anziché una cassetta di nettare): verificare se nel Sancta Santorum degli a me cari vini potevo finalmente (da sempre attendo il Verbo semplice di chi non se la tira) abbeverarmi, nel senso di sentire giudizi, critiche, spiegazioni, commenti “umani” e semplici da parte di quei Soloni con la argentea coppetta pendente (fa più chic dire tastevin) chiamati Sommeliers. Sì, perché, lo confesso, nonostante la suesposta lunga utenza nel sollevamento bicchieri (quindi impegnato in una colta ricerca non del perché, lo so felicemente già, bensì del cosa bevo) non ho ancora trovato un Sommelier, che sia uno, che dopo aver scientificamente e professionalmente elucubrato in assaggio eppoi spiegato al colto e all’inclita com’è quel vino (sapori, terreno, acidità, salinità etc etc etc) invece di finirla lì (ce n’è già abbastanza per saper conoscere e valutare quel che stai bevendo) comincia a svaccare tirando fuori profumi, paralleli, analogie, ‘ricordi’ che tu a quel punto cominci a pensare se per caso ti stanno prendendo per il culo.

Gian Paolo Bonomi e Pietro Ricciardi a Vinitaly
Gian Paolo Bonomi e Pietro Ricciardi a Vinitaly

Mi riferisco, tanto per fare un esempio, a quel vino che hai appena finito di sorbire in meditazione, e ti è piaciuto, concordi quando ti dicono, ad esempio, che è organoletticamente corretto, e ha tante altre cosine a posto, e vabbè, dopodiché, ti viene aulicamente non meno che pomposamente, sentenziato (e qui i dubbi, almeno per lo scriba diventano angoscia) che “quel vino nasconde un aromatico sapore di pera, ma non Williams, per non dire di quel distante profumo di fico, ma non d’India, eppoi si percepiscono (pure!) lontane presenze di rosa – ma forse non canina, e quando pensi che gli odori nasali siano finiti ecco il coup de thèatre dell’aroma di pesca, ma va a sapere di che razza, per finire con quel retrogusto – tutti voi certamente lo percepite, commenta il Sommelier proseguendo in quella che a mio modesto avviso ritengo una sceneggiatina – di viola, chissà se mammola (e risparmio al lettore che sovente c’era pure un sadico assaggiatore che odorando scopriva pure un remoto sapore di liquerizia)!!!!”

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Ecco spiegato perché mi pervade un senso di smarrimento ogni volta che si parla di degustazione, assaggio, esame dei vini, in spagnolo Cata, e non è per bontà nei confronti della mia querida Spagna ma forse i suoi Sommeliers, anzi Sumiliers te la contano su meno arditamente, nel senso che tra profumi, retrogusti e altre diavolerie te ne perdonano almeno un 30%).

p.s. A ciucca sopita aggiungo pure che:
1) Vinitaly è divenuta una manifestazione a dir poco eccezionale (e tale è anche il costo del biglietto di ingresso, 60 euro, che il visitatore cerca di ammortizzare questuando assaggi di rosso, bianco e rosé ai 4000 -!!!- espositori).
2) Tra tantissima gente ho visto -evviva!- moltissimi giovani che temevo ahi loro ormai totalmente dipendenti dalla Coca (nel senso di Cola).
3) Dai e dai (e con tutto il rispetto per il già lodato editorpadrone pugliese, e un giovinotto sardo che a noi si unì nella gita, obbligatoria una visita e assaggi nei loro stand regionali) i vini del da me adorato Vej Piemont continuano a fare una pippa a tutti gli altri dello Stivale (salvo al Poculum dei mè amìs Fratelli Agnes di Rovescala, ma, guarda caso, nel pavese i lombardi dell’Oltrepò sono detti i piemontesi….). Cerèa, neh ….

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