Venerdì 3 Maggio 2024 - Anno XXII

Marino, un nome un palazzo una poltrona

Milano, Palazzo Marino

Dopo le dimissioni da sindaco di Roma, Ignazio Marino potrebbe diventare sindaco di Milano. Un ritorno a casa. Motivate pretese di proprietà dell’omonimo Palazzo, Marino appunto, sede del Comune di Milano. Al momento l’interessato smentisce

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Ignazio Marino

Invitato a traslocare dal Campidoglio (operazione invero difficile stante il tragico traffico di Roma, il kaos generato dal coming out del prete gay, gli scioperi dei mezzi pubblici e il metrò che esiste solo a parole) nella capitale lombarda temono che l’ex primo cittadino romano, Marino, faccia un pensierino a diventare sindaco di Milano accampando (in sede di dialettica politica) la proprietà dell’omonimo palazzo (quello davanti alla Scala) sede del Comune.
Dopo approfondite e accurate indagini (ancorché in Lombardia la civile istituzione del Catasto risalga solo ai tempi di S.M. la mai troppo lodata – dai meneghini – imperatrice absburgica Maria Teresa d’Austria che con la sua illuminata politica rese grande Milano), Spigolature di Mondointasca è in grado di smentire e smontare le pretese su Palazzo Marino da parte della sullodata vittima di note spese un filino ballerine.
La bella costruzione milanese (a pochi metri dalla Galleria, quella ospitante il mosaico del toro, sulle cui balle – si dice – mena buono affondarvi i tacchi e compiere un giro di 90°) fu infatti voluta dal ricco banchiere genovese Tomaso Marino, che nel 1558 la commissionò all’architetto perugino Galeazzo Alessi (e se l’autore di queste righe ben ricorda e non dice balle, a fine ‘800 palazzo Marino, ormai vetusto, fu in pratica ricostruito e pare che della struttura originale sia rimasta solo la finestra in basso a sinistra di chi ammira).

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Ozzero, Palazzo Marina De Leyva, stemma

Dimostrata l’insussistenza delle (eventuali) pretese del Marino (di ‘passare’ da sindaco di Roma a sindaco di Milano motivando la proprietà della sede del Comune milanese), la vicenda della costruzione nobiliare intriga perché intrisa di storia e letteratura.
Nel Palazzo Marino nacque infatti Marianna de Leyva (1575 –1650) figlia di Martino de Leyva y de la Cueva – Cabrera (quando mai un nobile spagnolo senza quei 6 o 7 canonici appellativi, e meno male che a quei tempi non usavano i biglietti da visita) e di Virginia Maria Marino. Appunto (ecco chiarito chi è il vero padrone del palazzo) la figlia del già citato banchiere genovese, finito nell’attuale piazza della Scala a fare i danèe con gli spagnoli del Milanesado. Ma se è per questo (senza dover venire a Milano) tutta Genova si arricchì con l’impero “sul quale non tramontava mai il sole…” vedi il caso di Andrea Doria che prestò tanti scudi all’imperatore Carlo V a un tasso, sembra, assai alto  (poi dicono degli ebrei, i xènesi …) dopodiché quando al momento di restituire il prestito l’uomo più potente del mondo si ritrovò con problemi di liquidità il banchiere genovese pensò bene di pignorargli l’argenteria.

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Ozzero, Palazzo Marina De Leyva

Ahhh Marianna de Leyva, ma (altro che Carneade) chi era costei (e la domanda metterà in difficoltà chi alla sera sta troppo tempo alla tivù a vedere il Pippo Baudo)?
Orbene, si sta parlando della manzoniana Monaca di Monza, proprio quella che alla faccia della segregazione, mica era agli arresti domiciliari, per lungo tempo (1598 – 1608) se la fece (2 figli e aborti vari) con quel baloss del Gian Paolo Osio (per ulteriori info, acquistare i Promessi Sposi).
Qui giunti aggiungo soltanto che il babbo della Monaca Marianna, Martino de Leyva y de la Cueva – Cabrera, conte di Monza (Milano1550 – Valencia 1600) apparteneva a un casato di‘sciur sciur’, padroni, ad esempio, pure di una bella ed elegante magione tuttora visibile a Ozzero, pochi chilometri a sud di Milano dopodiché ritengo ampiamente dimostrato che (salvo un peraltro comune caso di omonimia) l’ex sindaco romano Ignazio Marino nulle pretese può accampare sulla sede del Comune milanese eppertanto resti dov’è (sempre che non tenti di andare a fare il sindaco nella vicina…. Marino, hai visto mai, con quella omonimia …).
Cos’è mai la storia, pensa tu: da farlocche “spese di rappresentanza” in un ristorante romano sotto casa della mamma, alla meneghina Monaca di Monza (“non c’è proprio più di religione” si diceva antan a Novara….).

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