Acqua dolce nel Mare di Ross
Le rilevazioni fatte durante le ultime spedizioni in Antartide mostrano che qualcosa sta cambiando. Lo scioglimento della calotta polare nella zona di Bellinghouse per via del riscaldamento globale ha portato acqua dolce nel Mare di Ross, riducendo la concentrazione di sale e alleggerendo così le masse d’acqua che potrebbero avere difficoltà a precipitare verso il fondo e innescare il processo di compensazione termica.
A dare l’allerta sono strumenti chiamati “mooring”, serpentoni di corda ancorati sul fondo e sostenuti verticalmente sott’acqua grazie a delle boe, a cui sono agganciati diversi rilevatori di temperatura, salinità, correnti e sedimenti.
Durante la navigazione in Antartide recuperiamo quelli lasciati due anni fa e poi li riposizioniamo in mare per acquisire nuovi dati, attraverso acrobatici tiri alla fune che oppongono la forza del mare ai membri della ciurma legati a poppa da cinghie di sicurezza per non farsi trascinare nell’acqua gelata dove un uomo non sopravviverebbe per più di due minuti. Momenti in cui a vincere è la solidarietà di squadra di cui l’uomo riesce sempre a dare prova di fronte all’ostilità della natura e al desiderio di conoscenza.
“I mooring ci permettono di registrare le variazioni su un periodo abbastanza lungo per individuare delle tendenze, senza tuttavia poter ancora giungere a conclusioni definitive”, afferma Budillon.
“E’ un fatto che la quantità di calore immagazzinata negli strati intermedi dell’Oceano Atlantico è ultimamente aumentata per via del riscaldamento globale che trasmette calore dalla superficie verso il basso”, aggiunge Pierpaolo Falco, anche lui oceanografo e docente all’Università “Parthenope” , “Capire come questo eccesso di calore si possa eventualmente combinare con un minore afflusso di acque fredde dall’Antartide, dovuto alla decrescente salinità, è un obiettivo molto ambizioso che intendiamo perseguire”.
Operazioni nella zona della Corrente Circumpolare Antartica
Per scoprirlo, i ricercatori hanno calato in corsa dei grossi termometri intelligenti a forma di cilindro, detti “float”, che scendono in profondità e poi risalgono per trasmettere le informazioni raccolte ai satelliti di passaggio. Abbiamo effettuato le operazioni nella burrascosa zona della Corrente Circumpolare Antartica che vortica tutt’intorno alla Terra intorno al 60 parallelo Sud. Un circuito di raffreddamento planetario che distribuisce le glaciali acque antartiche in tutti gli altri oceani, bilanciando l’eccesso di calore presente nella fascia tropicale. Oltre ad alleviare la calura, il mare antartico immagazzina il 40% della CO2 che emettiamo con le nostre attività. “La CO2 si scioglie più facilmente nelle acque fredde e dense, come appunto quelle dell’Antartide”, afferma Leonardo Langone, geologo marino dell’ISMAR del CNR, che ogni giorno si infila nel suo scatolone di metallo blu provvisto di una presa d’aria per misurare la quantità di CO2 in atmosfera.
“Abbiamo riscontrato percentuali in aumento anche qui in Antartide, malgrado sia la zona più distante dalle nostre fonti di emissione ”, continua Langone, “ciò, insieme al riscaldamento e alla riduzione della salinità dell’acqua, potrebbe ridurre la capacità di assorbimento di CO2 del mare antartico”.
Tuttavia, come spesso accade, la natura trova il modo di tornare in equilibrio da sola, rimediando alla danni dell’uomo. Le alghe, mangiatrici di CO2, saranno loro a salvarci da noi stessi?
Per accertarlo, il team di scienziati e l’equipaggio si sfiancano in una maratona di 30 ore in mare aperto, durante la quale la nave parte e si ferma a ripetizione in punti chiave del Mare di Ross per misurare le concentrazioni di clorofilla e di altri parametri chimici che influenzano la crescita delle alghe.
In pericolo gli ecosistemi marini
“La misura di questi parametri e della clorofilla ci permette di capire in che misura le alghe, attraverso la fotosintesi, consumano CO2”, spiega Paola Rivaro, oceanografa chimica e docente all’Università di Genova, “le alghe sono abbondanti negli strati più superficiali e più caldi dove penetra la luce solare e, riducendo la CO2 nell’acqua, ne favoriscono l’ulteriore passaggio dall’atmosfera al mare”. Insomma, la CO2 che il mare potrebbe non essere più in grado di assorbire per il fatto di diventare più caldo e meno denso potrebbe comunque essere assorbita dalla crescita delle alghe favorita, paradossalmente, dallo stesso aumento di temperatura. Questo processo, precisano tuttavia i ricercatori, ha un effetto positivo solo se parte della CO2 riciclata dalle alghe si accumula nei sedimenti e viene seppellita nei fondali uscendo dal ciclo globale del carbonio.
C’è anche da dire che questo sistema autoregolatore ha un prezzo: l’acidificazione dell’acqua di mare, dovuta al maggiore ingresso di CO2. Un processo che mette in pericolo gli ecosistemi marini, soprattutto i molluschi ostacolando la creazione del loro scheletro protettivo. Una minaccia che rischia di ripercuotersi su tutta la catena alimentare fino alla nostra tavola. In altri termini, c’è un limite alla quantità di CO2 che possiamo produrre oltre il quale l’immagazzinamento in mare rischia di alterare delicati equilibri globali.
Si tratta di mere ipotesi. Nulla è dimostrato al 100%. Il bilancio tra fenomeni positivi e negativi resta indecifrabile. Quando lasceremo il paradiso antartico, torneremo però a casa con qualche tassello in più per cercare di capire se la Terra diverrà o meno il nostro inferno.
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