Viaggio verso sud. Direzione Isfahan. A sinistra il deserto centrale, a destra gli ultimi rilievi dei monti Zangros. I confini dell’Iran sono per lo più naturali: mare, golfo, monti e il fiume Alvand Road, con i suoi meandri e le sue anse profonde e navigabili dalla parte iraniana, più secche e superficiali sul lato iracheno (e poi ci chiediamo il vero motivo che ha scatenato la guerra nel Golfo, sapendo che i petrolieri devono raggiungere il mare per poter commerciare liberamente… possibilmente senza dover pagare tasse di transito!). Il mondo che mi scorre fuori dal finestrino sembra modellato in pasta di sesamo: colline sabbiose, edifici granulosi, mattoni ocra bruciati a formare muri a secco. Scenari senape sotto a un cielo azzurro languido privo di nuvole. Colori della terra che non conoscono lineamenti decisi ma sfumano in alte dune, tondeggianti e morbide. Profumo acre di spezie che impolverano gli occhi.
Isfahan, Patrimonio dell’ Unesco
Isfahan è un’oasi in un deserto farinoso e secco. Scrigno d’alabastro che contiene tutte le 1000 notti più una, in una luce dorata che filtra tra le trine dei suoi gioielli architettonici, stucchi, gessi turchesi, maioliche blu, lapislazzuli, palazzi e moschee. Patrimonio dell’Unesco, meraviglia lussureggiante piena di fiori, questa città dell’Iran centrale è un incanto: di giorno zampillano fontane e di notte i giochi di luce.
La sua Imam Square (Naqsh e Jahan) è una tra le piazze più grandi della terra, costruita ai tempi del glorioso scià safavide Abbas I (inizio 1600), è considerata la testimonianza architettonica più maestosa del mondo islamico. Magnifico e supremo “modello del mondo”, 512 metri di lunghezza per 163 di larghezza, questo lussuoso spazio aperto era usato in antichità per le parate militari o per giocare a polo. L’asse verticale, detta “del popolo”, unisce le moschee dello Scià e quella delle Donne, mentre quella orizzontale, considerata l’ “asse politica”, vede fronteggiarsi il Palazzo Reale e quello del Bazar.
Shahrasad passeggia leggiadra tra le aiuole ben curate e la grande vasca d’acqua, nascosta da veli e con il nasino chirurgicamente perfetto e incerottato, da esibire con malizioso orgoglio. Nel silenzio del mattino riecheggia il canto litanioso dalle torri dei minareti, due, per gli sciiti, tanto attenti all’armonia e all’eleganza per gli occhi. Le imperfezioni sono create ad arte, come a ribadire che solo Dio non sbaglia mai. Se si fa attenzione, infatti, si possono notare differenze di lavorazione tra un lato e l’altro di un portale, altorilievi lasciati volontariamente grezzi, lati storti e piccole incongruenze, che però nell’insieme creano un incanto di ghirigori e mosaici, in cui l’architettura si fa simbolo e la scrittura arte figurativa (Cufismo). I nomi di Maometto, Alì e Allah sono ripetuti come un mantra marmoreo all’infinito e la luce accarezza maioliche dai sette colori, come splendenti code di pavone tra soffitti sospesi e volte gigantesche. Le tessere dei mosaici si fanno sempre più minute man mano che si sale e la cupola inizia a rotondeggiarsi.
Distillato profumo di culture diverse
L’acustica amplifica ogni struscio e parola, in modo che per pregare non resti che genuflettersi e lasciare all’eco il compito di ripetere i versetti coranici di rito. In questa ragnatela preziosa mi aggiro in un labirinto intarsiato di meravigliato stupore, cantato da poeti e scrittori fino ad impastare di fiabesco i sogni e le fantasie. Anche il bazar, che si contrappone materialmente alla spiritualità elegante degli edifici principali di Isfahan è Patrimonio dell’Unesco. Qui le cineserie tanto (troppo) diffuse a causa dell’isolamento, cui l’Iran era stato condannato dai paesi occidentali, non sono ammesse e ci si può perdere tra montagne di spezie e gioielli, visitare laboratori artigianali di miniature su ossa di cammello o stampa su stoffa con colori naturali. Pistacchio, zafferano, melograno, olivo. La gente stende tappeti sui prati della piazza e trascorre il tempo in picnic di chiacchiere e noccioline.
Isfahan perla della Persia
Isfahan è la perla della Persia: nasconde non troppo gelosamente i suoi tesori, che conserva con cura (chi contribuisce a tenere pulito paga meno tasse), accogliendo di buon grado le carovane di turisti. Le sue case storiche risalgono al “nostro Barocco”, in uno stile fondato su antiche consuetudini di filosofica tradizione: 4 aperture per richiamare i 4 elementi zoroastriani, un patio centrale custode del fuoco, alberi simbolici (cipressi “eterni”) e acqua che scorre!
In origine queste ville persiane erano caravanserragli, stazioni di sosta che punteggiavano il territorio ai tempi in cui i cammelli costituivano il miglior motore per gli scambi commerciali. Dal momento che questi preziosi e resistenti animali del deserto possono percorrere circa 9 km/h e necessitano di bere almeno ogni 4 ore, la distanza tra le varie aree di sosta era regolata in base a questa necessità, ovvero 36 km (chilometro più, chilometro meno, a seconda si trovasse acqua abbastanza superficiale da creare un pozzo). Nascevano così aree di sosta, dove rifocillarsi, riposare e mercanteggiare. Luoghi adibiti al commercio, con piattaforme create apposta per agevolare gli scambi da una soma all’altra dei cammelli.
Distillato profumato di culture arabe
Ad Isfahan vivo immersa in una luce d’alabastro. Gelsomini e zafferano. Lapislazzuli e specchi. Vale la pena di fare un salto indietro di almeno 1000 anni, ai tempi in cui la cultura iranica era un distillato profumato di culture arabe, persiane e islamiche.
Eredità preziosa anche per le discipline scientifiche occidentali, influenzò con illuminato eclettismo il sapere europeo.
Stupefacente specchio di conoscenze e opere linguistiche, logiche, mistiche, musicali, botaniche, matematiche, filosofiche, astrologiche, teologiche… flussi e influssi raffinatissimi per un’alchimia vitale, stella cometa che dalla Persia illuminò il cielo di tutto il nostro mondo. (3-continua)
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