Il ristorante sotto casa: qualcosa che tutti cercano, che tutti vorrebbero. Un posto al massimo duecento metri dalla tua porta dove trovi robe genuine cucinate bene, buoni vini e persone gentili. Dove hanno un menù di piatti che non avresti voglia di fare a casa perché ci vuole troppo tempo e perché lì li fanno meglio, una lista di vini che non trovi certo ovunque, formaggi e salumi particolari ma non assurdi. Ecco, chi ha la fortuna di avere sotto casa il Tirabusù ha tutto. Gli altri dovranno fare una gita a Salò e cercarlo in pieno centro, in un’appartata incantevole piazzetta dietro il Comune. Il Tirabusù è un posto accogliente e informale, con tavoli fuori per la primavera e l’estate, e sale arredate in modo piacevole per quando piove o fa freddo. Dove ti senti subito a tuo agio e, vedendo i piatti passare, ti viene fame e voglia di assaggiare tutto. Tirabusù, termine che in bresciano significa cavatappi e un cavatappi è il simbolo dell’osteria. Bresciana è la titolare, Daniela Confortini, mentre lo chef, Niccolò Bernabè, è piemontese.
Da architetto a ristoratrice
Daniela, quand’era bambina, diceva due cose: che sarebbe diventata architetto e avrebbe aperto un ristorante. Ed è esattamente quello che ha fatto. Dopo tanti anni da architetto ha trovato un angolo di paradiso tra le spesse mura dell’ex convento di Sant’Orsola, l’ha ristrutturato con gusto e originalità e ha imparato a cucinare.
Si è lasciata ispirare dalle viuzze, dal lago, dall’aria di vacanza e dall’atmosfera veneziana che si respira. Perché Salò faceva parte dei domini della Serenissima ed era stata soprannominata dai veneziani la Magnifica Patria.
La cucina al Tirabusù racconta cultura e usanze
Daniela ha imparato a cucinare (e anche bene) proprio qui, ma aveva bisogno di uno chef. “Ho fatto fatica. Non trovavo chi avesse le mie stesse idee su cosa deve essere la ristorazione. Oggi tutti cucinano solo per dare da mangiare a qualcuno. Si è perso il senso dell’ospitalità, del far sentire le persone a casa. Le cose che mangiamo nascono da una costruzione di cultura e usanze e se tu sei in un luogo lo devi raccontare anche attraverso il cibo. Insomma, avevo in mente tante cose e cercavo uno chef. Poi, lo scorso settembre, una sera per caso è venuto a cena Niccolò e poi è venuto a lavorare qui.”
Niccolò Bernabè, piemontese di Ivrea, ha 28 anni, ma 15 anni d’esperienza. Dopo la scuola alberghiera ha lavorato in alberghi 5 stelle in Italia e in Francia. In Grand Hotel sul Garda, a Santa Margherita Ligure, a Madonna di Campiglio, a Saint-Paul de Vence. “Volevo imparare le varie tecniche di lavoro, di cottura, di organizzazione, perché il mio sogno era poter fare una cucina come quella in un posto come questo.”
Materia prima a chilometro zero
Daniela è sempre alla ricerca della materia prima migliore, ove possibile chilometro zero, ma non disdegna di fare un po’ di strada in più per trovare cose uniche e genuine in una zona dove, guardandosi in giro, si trovano piccoli produttori di alto livello. “Formaggi fatti in un certo modo da mucche che pascolano libere, cantine che lavorano su un numero limitato di bottiglie e che, proprio perché non hanno la blasonatura del nome, hanno anche prezzi inferiori. Insomma, cerco cose principalmente locali e se non lo sono devono avere una storia e un senso. Anche frutta e verdura rientrano nel discorso, ovviamente, perché una zucchina dell’orto è una zucchina dell’orto e ha tutto un altro sapore. Così è più faticoso, ma è più bello. Così c’è la poesia. Quando un produttore mi racconta del suo formaggio o delle sue olive con passione ed è contento che lo ascolti per me è il massimo.”
Tecnica e precisione in cucina
Niccolò ha portato la tecnica e il rigore, la precisione e la costanza. Il menù lo studia con Daniela. “Partiamo da un ingrediente o da un suggerimento. Abbiamo messo la canapa perché qui vicino, a Manerba, ci sono coltivazioni di canapa. Il pollo ripieno è venuto fuori dal ragazzo che lavora in cucina, che ci ha raccontato come lo faceva sua nonna, con il ripieno alla bresciana.
Il coregone invece è un’idea di Daniela. Abbiamo introdotto nel menù l’anguilla perché ho deciso di fare questo mestiere quella volta che ho mangiato l’anguilla a Comacchio durante una gita in terza media”, spiega Niccolò.
Il risotto con storione, stracchino bresciano e limone che accosta sapori che uno non immaginava potessero star così bene insieme, il coregone lardellato con crema di piselli che fa riscoprire il pesce di lago, la meravigliosa coscia di pollo ripieno alla bresciana che fa ritornare bambini: sono solo tre esempi dei piatti di Niccolò.
Piatti semplicemente appetitosi
Per descriverli viene in mente un aggettivo che da troppo tempo non si usa quando si parla di cucina: appetitosi. Il che non significa che non siano raffinati, anzi. È una cucina che si addice perfettamente all’aria del Tirabusù, che ha lo stile che deriva da una naturalezza sapiente, dal fare le cose per bene in modo che non ci sia bisogno che si vedano la fatica e lo studio che ci sono dietro, dal cercare ingredienti e prodotti buoni e saperli proporre con competenza ed educazione. Il sogno di Daniela e Niccolò è limpido come la descrizione delle ricette sul menù: “Riuscire a portare il ristorante a essere ciò che deve essere: un luogo dove trovarsi a proprio agio e dove si mangia per il piacere di assaggiare qualcosa che racconti questo luogo. E ovviamente continuare a divertirsi lavorando. Qui siamo in pochi e tutti si occupano di tutto. Siamo una famiglia che porta avanti un progetto.” Il Tirabusù è il risultato di una preziosa alchimia tra le persone, il luogo e il cibo. È un’esperienza 3 G: gioiosa, genuina e gustosa. Tre aggettivi da riscoprire e che di sicuro valgono la visita.
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