Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Mangiare in Spagna: Paella, Gazpacho, Sangrìa

Paella ristorante parco oceanogreafico

Eccoci arrivati ai ‘pilastri’ della cucina spagnola. Pilastri perché noti in tutto il mondo, variamente preparati, quasi sempre e dappertutto ‘gustati’ in quanto davvero buoni: Paella, Gazpacho, Sangrìa. Difficili da preparare? Mica vero! Basta leggere qui

Paella Ristorante molto suggestivo, situato nel Parco Oceanografico di Valencia
Ristorante molto suggestivo, situato nel Parco Oceanografico di Valencia

Nella precedente puntata di queste info sul Mangiare in Spagna (e finiamola con la parola Enogastronomia! da quando è diventata di moda non si può più andare in trattoria senza spendere meno di 100 euro, vini esclusi, figuriamoci al ristorante) mi sono eccessivamente dilungato nel narrare ciò che a Fine Anno si degusta a sud dei Pirenei. Una prolissità obbligata, perché, se nel tempo restante il livello dell’appetito dei miei amici iberici è già costituzionalmente robusto, meglio non quantizzare quel che ingoiano tra Navidad e los Reyes/Epifania. Cerco pertanto di rimediare alle menzionate lungaggini raccontando concisamente ciò che gli spagnoli mangiano nel resto dell’anno, dopo aver digerito le lodate leccornie festaiole, tipo il besugo, i callos, e svariati dulces e turrones (n.b. chi vuol conoscere viepiù parole mangerecce spagnole può consultare il mio minidizionario, forse non grande opera letteraria ma almeno utile perché tascabile).

La ‘Bibbia’ spagnola del buon mangiare

Paella Cucina spagnola

Preciso poi, a maggiore garanzia del lettore, che oltre a poter vantare una certa praticaccia della cucina spagnola (leggasi una milizia vecchia più di mezzo secolo girando tra restaurantes, tascas, chiringuitos e bar de tapas) custodisco e consulto come una bibbia un gran bel libro di Marina Cepeda Fuentes “La Spagna a tavola”, edito e omaggiato da “Iberia”. Un volume ahimè ormai introvabile perché assai datato,1990, quando ”Iberia” era ancora spagnola (bei tempi) e sui suoi aerei vigeva il latino piacere di gozar de la vida (dopodiché, oggidì britishizzata, non ti servono l’orrido Fish & Chips solo perché a bordo l’odore del sugno fritto è proibito dalla Iata eppoi per Chips non si intenderebbero per certo quelle deliziose patate novelle, i cachelos, che trovi solamente in Galizia e accompagnano leggiadramente il Pulpo A Feira alias A La Gallega).
Per motivi di spazio la descrizione del Mangiare (e bere) in Spagna si limita (per tutte le altre ricette rinvio al sullodato libro, e se non lo trova in giro citofoni Iberia, sempre che parli english per capire cosa gli rispondono) ai tre piaceri palatali, alle tre parole che ogni turista del Belpaese impara a memoria prima di valicare i Pirenei: Paella, Gazpacho, Sangrìa.

La ‘variopinta’ Paella

Paella Cucina spagnola

E spero che le mie considerazioni possano tranquillizzare la massaia italica sovente preoccupata nella loro preparazione. No problem, il diavolo non è brutto come si dipinge, basta semplicizzare ciò che a prima vista spaventa. Come già commentato (ma tanto tempo fa) la Paella è un manjar tipico della Comunidad Valenciana, laddove (sembra ovvio) abbonda il riso, col risultato che, in possesso della graminacea, nel cuocerlo la ama/padrona de casa decide di insaporirlo con quant’altro che arricchisca e dia sapore.
Apre pertanto la dispensa (e oggidì c’è pure il frigo), vede quel che c’è dentro, dopodiché sceglie e butta il tutto nel riso che sta cuocendo. Ecco la Paella, con solo verdure, o de huerta (pollo, coniglio, ortaggi) su su fino a quella de pescado (e a Milano le sciurette più abbienti ci sbattono dentro pure cigalas/scampi da 60 euro al kilo, e in qualche pescheria chic del centro anche di più). Ecco pertanto pronta la Paella (un piatto da preparare “liberamente”, basta solo avere un po’ d’occhio e di buon senso).

Il ‘rinfrescante’ Gazpacho

Paella cucina spagnola

Parimenti facile (sempre che non si voglia dar retta a quelle incasinate ricette scritte sugli asciugamani da spiaggia lungo le coste spagnole) è la preparazione del gazpacho. Basta imitare la campesina andalusa che svegliatasi all’alba (ma le signore-bene milanesi grazie alla colf filippina possono trasformarsi in chef anche a sole ben alto) preparava il mangiare per l’uscente marito destinato a lavorare nei campi (anche) per una buona dozzina d’ore (vigeva il latifondo e le braccia che lo lavoravano ‘crescevano’, ci siamo capiti). Occorreva pertanto qualcosa di semplice da deglutire, non pesante, vitaminico e rinfrescante, ed ecco il Gazpacho: verdure (quel che c’era, adesso codificate come la formula della bomba atomica) prese nel campo, passate al setaccio (adesso si frullano) annacquate il giusto eppoi versate nel lebrillo, recipiente di coccio (che il campesino manteneva fresco infilandolo sottoterra). Il tutto “condito” con un bel pezzo di pane casareccio e il campesino se ne tornava a casa (più contento degli attuali impiegati reduci da “pizza e birra 20 euro” più 6 ore e 2 Alka Seltzer per digerirla).

L’inebriante Sangrìa

Paella cucina spagnola SangrìaLa prima parte è stata pubblicata il 19 dicembre dal titolo

:E quanto alla Sangrìa, niente di più facile, por favor. A Madrid, prima di tornare al lavoro pomeridiano (dopo quella che oggidì sindacalmente chiamasi “pausa pranzo”) il magùt (muratori in milanès, albañiles in castellano) allungava il vino con quanto gli restava o si faceva omaggiare al bar in cui beveva il caffè: acqua (a quei tempi di seltz/sifòn), frutta (portata nella schiscètta), ghiaccio e, se c’era, dentro anche lui, un liquorino. Ecco la Sangrìa (in caso di difficile preparazione limitarsi al Tinto/rosso de Verano/estate: vino e gazzosa/Gaseosa, beninteso marca La Casera).

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