Borgo d’Ale è una località in provincia di Vercelli con poco più di duemila abitanti. Le sue origini risalgono alla seconda metà del XIII secolo quando venne fondato come “borgofranco”: centro giuridicamente libero da dipendenze feudali. Il territorio circostante ha da sempre una spiccata vocazione agricola.
A partire dagli inizi del ‘900 venne introdotta la coltivazione del pesco (nel 1930 erano oltre 100 gli ettari di terra attorno al borgo impiantati a pescheto), poi a seguire quella degli ortaggi e di vari alberi da frutto, tra cui in particolare il kiwi.
Adesso nella cittadina piemontese è anche arrivato un Presidio Slow Food. Si tratta della pesca Bella di Borgo d’Ale, spesso chiamata solo “Bella”. Un frutto d’altri tempi, bello, delicato e fragile, che adesso rivive grazie al coraggio e all’entusiasmo di un gruppo di produttori.
La sua area di produzione comprende i comuni di Borgo d’Ale, Alice Castello, Cigliano e Moncrivello (tutti in provincia di Vercelli), Viverone (nel biellese), Cossano Canavese e Maglione (in provincia di Torino).
Bella di Borgo d’Ale: profumata e aromatica
Tondeggiante e di pezzatura medio-grande, ha la buccia con colore di fondo verde chiaro-biancastro e sovracolore rosso-rosato e polpa bianca con venature rossastre in prossimità del nocciolo. È particolarmente profumata e aromatica. A metà degli anni ’70, a Borgo d’Ale si raccoglievano oltre 100 mila quintali di pesche, circa il 10% era costituito da questa varietà. La peschicoltura, ancora oggi, riveste un ruolo importante nell’economia di Borgo d’Ale. Merito di un terreno di origine fluvio-glaciale, particolarmente drenante, e del caratteristico microclima dovuto alla vicinanza del lago di Viverone: un habitat senza dubbio favorevole al pesco.
Negli ultimi tre o quattro decenni, la Bella è andata pressoché perduta. Superata da varietà di pezzatura maggiore e più adatte al mercato perché più durevoli e quindi facilmente commercializzabili. E anche perché disponibili per un periodo più lungo, mentre la varietà tutelata dal nuovo Presidio matura nel giro di due settimane appena, tra fine luglio e inizio agosto. Nel 2015 le piante ancora in vita erano soltanto una ventina, e tutte di almeno quarant’anni.
Pesca Bella un lungo lavoro di recupero
“Il recupero della varietà è cominciato nel 2016”, ricorda Paolo Caldera, referente degli otto produttori, alcuni dei quali poco più che trentenni, che hanno già aderito al Presidio. “Dalle pochissime piante rimaste, presenti perlopiù nei frutteti di anziani contadini, abbiamo recuperato il materiale per dare avvio alla propagazione”.
Oggi la Pesca Bella di Borgo d’Ale è inclusa nell’Arca del Gusto di Slow Food e le piante di tale frutto sono all’incirca cinquecento. “Il pesco non è come il riso, che in soli cinque o sei mesi arriva a produzione”, aggiunge Gabriele Varalda, referente Slow Food del Presidio. “Occorrono tre anni per arrivare a produzione e nei primi tempi il raccolto è appena sufficiente per l’autoconsumo, così il 2022 è stato il primo vero anno di produzione”.
Pesca Bella: la tradizione in cucina
La pesca Bella di Borgo d’Ale è ottima mangiata fresca, da sola o in macedonia, magari con l’aggiunta di un goccio di Erbaluce di Caluso Docg. Le ricette tradizionali però la propongono anche cotta al forno, ripiena di cacao e amaretti. “Noi siamo sentimentalmente legati a questa varietà di pesca – prosegue Caldera – e la troviamo buonissima, ma anche il riscontro dei consumatori è stato ottimo. Riconoscono che vale la pena salvarla”. L’intenzione ora è di allargare il progetto anche dal punto di vista della trasformazione del prodotto in composte, confetture e succhi. Una scelta quasi obbligata a causa della sua delicatezza e del periodo di maturazione limitato tra la fine di luglio e l’inizio di agosto.
“Noi non abbiamo mai pensato di mantenere due o tre piante per trasformarle in un reperto da museo, al contrario riprendere la produzione e darle un futuro”, dice Caldera. E aggiunge “sapevamo di dover avere una visione di lungo termine ed eravamo consapevoli che i risultati non sarebbero stati immediati, ora quel momento è arrivato”. Infatti per Slow Food, salvare la biodiversità non vuol dire renderla un reperto ma significa coltivarla e mangiarla, e la stessa cosa vale anche per la Bella di Borgo d’Ale.
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