12 novembre – “E se fosse tuo figlio?”
è lo slogan della campagna promossa dal Governo italiano per contrastare la piaga dei cosiddetti viaggi della vergogna, il “turismo” sessuale a danno dei minori. Oltre a un programma di comunicazione che sensibilizzerà sul fenomeno attraverso manifesti, pagine pubblicitarie, spot, la campagna intende coinvolgere i protagonisti ai vari livelli dell’industria turistica: tour operator, agenzie di viaggio (federate e non), linee aeree e aeroporti italiani invitati a sottoscrivere il codice della Certificazione del Turismo Responsabile, un documento che li impegnerà ad adottare una serie di misure concrete. Tra queste, chiedere agli alberghi di vietare l’accesso alle camere ai minori sfruttati sessualmente, sensibilizzare i clienti attraverso diversi mezzi di comunicazione, vigilare che durante il soggiorno i turisti non vengano in contatto con sfruttatori di bambini e adolescenti per fini sessuali. “La vera novità della campagna – ha sottolineato il sottosegretario con delega al Turismo, Michela Vittoria Brambilla- sta nella determinazione del Governo di mettere insieme tutti gli operatori dell’industria turistica che, lavorando in questo settore, hanno oggi efficaci poteri non solo di sorveglianza ma anche di concreta azione di opposizione a questo tipo di fenomeni”.
La campagna promossa dal Governo ha già avuto il sostegno e l’adesione di Assotravel (Associazione Nazionale delle Agenzie di Viaggi e Turismo – Confindustria), Assoviaggi (Associazione Italiana Agenzie di Viaggi e Turismo – Confesercenti), Astoi (Associazione Tour Operator Italiani – Confindustria), Federviaggi (Federazione del Turismo Organizzato – Confcommercio), Fiavet (Federazione delle Associazioni Imprese di Viaggi e Turismo – Confcommercio), Assaereo (Associazione Nazionale Vettori e Operatori del Trasporto Aereo – Confindustria), Ipar (Italian Board Airlines Representatives), Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), Ecpat (End Child Prostitution Pornography and Trafficking).
I numeri della vergogna
Un business, quello del turismo sessuale, che secondo le più recenti stime produce ogni anno un volume d’affari vicino ai 100 miliardi di dollari e coinvolge 2 milioni e mezzo di minori delle aree più povere del mondo. Una realtà sommersa, quantificata in realtà per difetto, e fotografata di recente dall’Ecpat, una rete internazionale di organizzazioni impegnate nella lotta contro lo sfruttamento sessuale minorile.
I “turisti” del sesso, secondo i numeri ufficiali a disposizione, appartengono per il 37 per cento a una fascia d’età che va dai 31 ai 40 anni, il 24 per cento dai 18 ai 30, e il 20 per cento dai 41 ai 50 anni. Il loro reddito è per il 50 per cento medio alto. Il 65 per cento di loro sarebbero turisti occasionali, il 30 per cento abituali, il 5 per cento pedofili.
Le vittime invece sono per il 60 per cento comprese in una fascia d’età tra i 13 e i 17 anni, per il 30 per cento dai 7 ai 12 anni, per il 10 per cento da 0 ai 6 anni. Il 75 per cento dei bambini coinvolti sono femmine.
Norme italiane “nel dimenticatoio”
Secondo i dati ufficiali circa 80mila italiani sarebbero coinvolti nel giro anche se non è possibile precisare quanti siano a praticarlo nei confronti dei minori. Molto è stato fatto anche grazie al contributo di Ecpat Italia Onlus tanto che il nostro Paese vanta una normativa all’avanguardia nel campo della lotta allo sfruttamento sessuale (legge 3 agosto 1998, n. 269): una legge che introduce la punibilità in patria dei cittadini italiani che commettono crimini sessuali contro i bambini all’estero e afferma che “chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da trenta a trecento milioni (di vecchie lire)”. “Una legge – ha concluso il sottosegretario Brambilla – rimasta in gran parte nel dimenticatoio. Penso – ha aggiunto – che sia indispensabile chiedere agli operatori turistici che organizzano viaggi collettivi o individuali in paesi esteri di inserire nei programmi o nei documenti di viaggio che vengono consegnati agli utenti, un esplicito richiamo a queste norme di legge e alle pene previste per questo tipo di reato”.