Gabon
– Attraversato dall’equatore, sull’Atlantico, solita ex colonia francese, grande quasi come l’Italia, ma con solo un milione e trecentomila abitanti (e se c’è così poca gente è segno che il posto non è poi così attraente, quindi di andarvi per turismo nemmeno parlarne…); indipendente dal 1960 e subito allietato da un partito unico. Primo autocrate fu Monsieur M’bà, che nel 1967 lasciò il posto (tenuto incollato con il vinavil fino ai nostri giorni!) a Omar Bongo (il primo che pronuncia due volte il cognome e poi aggiunge “stare bene solo al Congo” riceverà in premio una settimana di soggiorno nella capitale gabonese, Libreville; secondo premio, due settimane). Meglio fare un po’ di cultura informando che il Gabon fu esplorato (sotto bandiera francese) dal “furlàn” (ancorché nato a Roma) Pietro Savorgnan de Brazzà e a Lambaréné il dottor Schweitzer allestì il celeberrimo ospedale.
Gambia – Paese piccolino (come l’Abruzzo) un milione e mezzo di gente, infilato dentro il Senegal. Poca costa sull’Atlantico alla foce del fiume Gambia, acqua fangosa. Antan un (rinomato) tour operator pensò bene di venderlo come destinazione turistica. Chi scrive gli disse che il posto non andava bene. Aveva ragione chi scrive.
Georgia – Laddove si parla della Georgia del Caucaso, sul Mar Nero, non di quella “Georgia on my mind” (deep south degli States) cantata da Ray Charles.
Un posto (poco meno di un quarto dell’Italia e meno di cinque milioni i suoi abitanti) che diede i natali al compagno Stalin (che vuol dire “acciaio”) eppertanto si potrebbe concludere che se nella seconda metà dell’Ottocento le mamme georgiane e quelle austriache (Hitler nacque a Braunau, Linz) fossero state sterilizzate, il XX secolo si sarebbe risparmiato alcune decine di milioni di morti. Ma bando all’Ucronìa (la storia fatta coi “se” e coi “ma”) e pensiamo alla attuale Georgia, Stato ex Urss, con la sua brava lingua (appunto il georgiano) e un bel casino di genti che convive con l’84% dei Georgiani (Azeri, Armeni, Russi, Osseti, Abasi ecc ecc.
Vanto della Georgia (oltre al difensore del Milan Kaladze) un orrido vino spumoso di cui si sborniava la Nomenklatura sovietica (mentre Stalin tirava su ciucche mica male con l’ugualmente orrido cognac locale).
Germania – Descriverla geograficamente è superfluo perché tutti i veri “Itagliani” sanno dov’è, trattandosi di quel posto in cui Materazzi inferse la testata a Zidane.
E’ invece difficile descrivere politicamente questo Paese per colpa di quel tragico Asse (poi Patto Tripartito coi Giapponesi, 27/9/1940) messo su tra Mussolini & C. e i Tedeschi (Germanici dei nostrani Bollettini di Guerra). Una bislacca alleanza che l’8 settembre del 1943 si concluse con una gentile visita delle loro panzer-divisionen i cui carristi, tornati a casa, pochi anni dopo invadevano nuovamente l’Italia con le famiglie (ma stavolta in Volkswagen) “okkupando” la Riviera Romagnola (da cui la felicità di tanti bagnini votati all’assistenza “morale” di eserciti di tettute Traudl). Quanto alla faccenda dei Tedeschi “soldatacci” non meno che guerrafondai, non inganni la recente storia. Nei secoli scorsi (almeno fin quando i duri Prussiani unificarono il Paese) i biondi Tognini se la spassavano nei loro tanti staterelli (pressoché privi di eserciti, ma lardellati di sterminate birrerie) e al massimo si davano qualche sberla sulle guance ballando dentro le braghe corte di pelle.
Infine, culturalmente (e turisticamente parlando) la Germania è un gran bel posto, con belle città (chi scrive adora Tubingen, poi ci sono Augusta, Dresda ecc ecc e adesso va di gran moda Berlino) e piacevoli paesaggi (nella Foresta Nera, pinete e gran mangiate, mal che vada si torna a casa con il souvenir tipico della zona: l’orologio a cucù).
Ghana – Che sarebbe poi l’ex colonia british della Costa d’Oro, affacciata sul Golfo di Guinea, 240.000 chilometri quadrati con dentro un casino di genti che per fortuna non vanno giù pesante in tema di pulizia etnica (sennò sopravvivrebbero soltanto le imprese di pompe funebri). All’anagrafe (sempre che ci sia) sono infatti registrati: gli Akan, i Mole Dagbani, gli Ewe, i Go-Adenghe, i Gourma, gli Yoruba, dopodiché ci sarebbe un altro 8,7 % di altre stirpi, ma è forse meglio non tediare oltre (anche perché chi scrive non sa bene a quale dei sullodati lignaggi ghanesi appartiene il calciatore Appiah, ex centrocampista dell’Udinese). Il casino ghanese (nel senso di “cocktelino” di genti) prosegue con le lingue, Kwa (Twi e Fanti) e Gur (More e Dagomba) tenute insieme dall’inglese e con le religioni: protestanti, cattolici, cristiani variè, musulmani, animisti ecc. ecc. ecc. (e tre “ecc.” non sono nemmeno sufficienti). Turismo: ma chi ci va mai da quelle parti, con tutti quei nomi lì!
Giamaica – La cantava (non il Paese, ma una canzone chiamata Giamaica) Giorgio Consolini, cantante bolognese degli anni Cinquanta. Quasi certamente le note di questa appassionata melodia da balère postguerra non giunsero mai nell’isola caraibica. Anche perché in Giamaica stava per nascere il Reggae (che tra il ritmo un filino da posseduti dal demonio e le treccine “rasta” di chi lo cantava avranno fatto inorridire il povero “tenorino” Consolini a tal punto da anticiparne l’andata al Creatore). Una bella isola (ci mancherebbe) dalla giusta collocazione (proprio “sotto” Cuba) e proporzioni (undicimila chilometri quadri) circa duecentoventi volte la sarda Asinara, per meno di tre milioni di abitanti, in prevalenza neri e meticci, mentre gli ex cannibali Caribi sono stati a loro volta fagocitati dalla cosiddetta Civiltà Bianca, portatavi prima dagli Spagnoli e poi dai British). Quindi Turismo ok? “Minga tant” (direbbero in una agenzia viaggi milanese) per colpa di una criminalità organizzata (mille e cento vittime nel 2004) da consigliare chi va in Giamaica di stare un filino “accorti” (suggerirebbero in una agenzia viaggi napoletana). Non male il Rum locale.