17 ottobre 1732, sera. Arriva a Parma e più precisamente alla Reggia di Colorno, il diciassettenne Don Carlos, Infante di Spagna. Il perché è piuttosto complicato da spiegare. Carlo, un Borbone, figlio del re spagnolo e di Elisabetta Farnese, ha ereditato dalla madre il ducato emiliano. Arriva per prenderne possesso; ci resta, però, solo due anni, poi diventa re di Napoli e Sicilia. Ma in quella sera di ottobre, quando arriva nel giardino ducale illuminato a giorno, con suonatori, cantanti, apparati di macchine a sorpresa e fuochi artificiali, gli pare di essere arrivato in “paradiso”. E così iniziano balli, cacce e grandi feste, nelle sua breve stagione da duca di Parma. Oggi il duca è Gualtiero Marchesi, “re” della cucina italiana, formatore e comunicatore, grande innovatore. La reggia, infatti, è stata trasformata, diventando una parte del sogno Slow Food e della sua Università del Gusto. Gualtiero Marchesi dirige “Alma”, la “Scuola internazionale di cucina italiana”.
Castelli del parmense: La Reggia di Colorno
Resta però il palazzo, ampi cortili interni e sale affrescate e i giardini. Un ampio scalone porta ai giochi d’acqua del grande giardino alla francese recentemente restaurato e riportato ai fasti di un tempo. Ma come si è arrivati al giardino alla francese? Storia lunga, come quella del Palazzo. In breve: la prima rocca risale al XIII secolo, a difesa delle terre al di sotto del Po.
Fu la famiglia Sanseverino, alla fine del Cinquecento, a trasformarla in dimora nobile, con una raffinata corte e i dipinti di Tiziano, Giulio Romano, Correggio, Mantegna e Raffaello. Poi i Farnese (governatori papali) che la rifecero come residenza barocca, con giardino all’italiana e spettacolari fontane di marmo. Con Filippo di Borbone, il Teatro di Corte ospita compagnie francesi e italiane, tra cui quella di Goldoni. Napoleone, annettendo il ducato alla Francia, dichiara Colorno “Residenza Imperiale” e infatti, dopo la sua caduta, la moglie Maria Luigia d’Austria ne prende possesso, come duchessa di Parma (1816-1847). E aggiunge un giardino all’inglese, forse perché di francesi non voleva più sentirne parlare… La “Sala Grande” è l’ambiente più spettacolare della Reggia.
Realizzata nel 1755 su progetto dell’architetto Petitot, è uno dei primi esempi di decorazione neoclassica in Europa. Camino in marmo bianco di Carrara, consolle in legno dorato. Poi c’è l’ “Appartamento Nuovo” di Ferdinando di Borbone (1787) con sale affrescate come se fossero arazzi e l’Osservatorio Astronomico, con rosa dei venti e segni zodiacali raffigurati nella volta.
La Rocca di Sala Baganza
Se Colorno è a dodici chilometri dalla città e verso la pianura, la tappa successiva, la “Rocca di Sala Baganza”, è a soli dieci chilometri, ma verso l’Appennino. Il torrente è il Baganza, mentre la Rocca dei Sanvitale (e dei Farnese, e dei Borbone, dal XV secolo) è oggi un lungo parallelepipedo con agli estremi i resti di due torrioni. Sale affrescate, in particolare quella rococò dell’ “Apoteosi”, dipinta da Sebastiano Galeotti nel 1726; un portico quattrocentesco con capitelli cubici e, sulla piazza a lato della Rocca, l’oratorio dell’Assunta, in stile neoclassico. Il Parco dei Boschi di Carrega, poco distante dal paese, è la parte centrale della tenuta di caccia ducale, con due ville ottocentesche, il Casino dei Boschi e il Ferlaro, residenze estive di Maria Luigia d’Austria.
Castelli del parmense: Felino e Langhirano. Rocche e salumi
Non lontano, allo sbocco della valle, il Castello di Felino. Ora, Felino, quando non lo si confonde con altro, è il nome di un salame particolare. Un salame lungo, rigonfio da una parte, con un mosaico di carni magre e grasse, condito solo da sale, pepe, vino. Ne racconta la storia il Museo dedicato, nelle cantine del castello. Il castello in sé vive le vicissitudini dei castelli vicini. Prima fortezza, poi dimora degli Sforza e dei Farnese. Edificio, quadrato e massiccio, con quattro torrioni angolari e fossato. All’interno, la “Corte d’Onore”. Ancora pochi chilometri e si arriva al Castello di Torrechiara, Langhirano. Ecco il contraltare di Felino: qui si parla di prosciutto, il famoso “Parma”, che su queste arie collinari affina i suoi aromi.
Dire Langhirano è anche dire Museo del Prosciutto (nell’ex Foro Boario) e Festival del Prosciutto (7-9 settembre). Ma il castello ha le sue belle attrattive. Costruito a metà Quattrocento dal conte Pier Maria Rossi, è un esempio del passaggio dalle fortificazioni alle dimore. Ci sono tre cerchia di mura e quattro torri angolari, come ci sono stupendi affreschi a “grottesche” di Cesare Baglione e la “Camera d’Oro”, una specie di camera votiva ed “erotica” in cui Benedetto Bembo (probabilmente) celebra l’amore tra Bianca Pellegrini e il conte, con lo splendore dell’oro presente nelle formelle, nelle foglie e nella trapunta del letto, con le lunette in cui Bianca percorre i feudi e i castelli dei Rossi, alla ricerca dell’amato. La Camera d’oro si apre poi su un grande loggiato.
Dal castello di Montechiarugolo alla splendida Fontanellato
Montechiarugolo è molto particolare. Sta a strapiombo sull’Enza, vale a dire sul confine naturale tra Parma e Reggio, oltre che lungo la strada che porta in Toscana. È un esempio di dimora signorile fortificata, data la posizione. Costruita nel XV secolo, con Pomponio Torelli, umanista e letterato del Cinquecento, diventa circolo intellettuale e vede passare anche Francesco I di Francia. Mura merlate con levatoio, il cammino di ronda coperto da un tetto in legno a capriate, un lungo loggiato sul fiume con sottili colonne, sale affrescate a grottesche e una bella corte. Ancora verso la pianura, Fontanellato, la Rocca Sanvitale. Ora, se si hanno in mente le regge padane, quel misto di architettura militare e civile, rinascimentale, con l’acqua come elemento fondante (a ricordare il grande fiume) e sale meravigliosamente affrescate, geometrie concentriche, circondate da un borgo che è pura eleganza, ecco, Fontanellato ne è un esempio mirabile. Al centro del borgo, circondata da ampio fossato, ma con una “camera ottica” sui giardini pensili che, con un sistema di lenti, permette di tenere d’occhio la piazza, il castello, è lo specchio di una nobiltà illuminata.
Come definire diversamente chi ha commissionato al giovane Parmigianino (1523) la “Saletta di Diana e Atteone”, con quel cielo azzurro ottagonale e una magnifica Atteone, prima della sua trasformazione in cervo, o la stessa, con lo stupore della metamorfosi. O anche le “Nature Morte” di Felice Boselli nella “Sala da Biliardo e da Pranzo”, la “Camera Nuziale”, con arredi Sei-Settecenteschi e un soffitto a cassettoni in noce; la “Sala delle donne equilibriste”, la “Sala delle Mappe”, la “Sala delle Armi”, con soffitto a vela affrescato, con la “Fama” e la “Temperanza”. Un piccolo capolavoro, da non mancare che richiede una visita non affrettata. Da non tralasciare anche il borgo, con la chiesa di Santa Croce, l’Oratorio dell’Assunta, il santuario della Vergine del Rosario, il Teatro Comunale, oltre all’insieme armonico di strade e palazzi. A Fontanellato, ogni quarta domenica del mese, c’è anche un mercato dei prodotti naturali.
Soragna rinascimentale. Bardi e Compiano. Rocche di difesa
A Soragna, la Rocca Meli Lupi, originaria del Trecento ma rifatta nel Settecento, ha sale con mobilio barocco e affreschi di pittori diversi. Poi un grande parco all’inglese, con mura, laghetto e piante secolari. La Rocca dei Rossi di San Secondo è una dimora rinascimentale, fastosa e sorprendente. Da vedere, in particolare, la “Sala delle Gesta Rossiane” (racconto in diciassetrte quadri) e la “Sala dell’Asino d’Oro”. Più distanti, in mezzo alle colline, la Rocca di Bardi e il Castello di Compiano. La prima è arroccata su uno sperone roccioso, con i camminamenti di ronda, le torri, la piazza d’armi, il cortile porticato, il pozzo, i granai, le prigioni e le sale di tortura. Il secondo, che domina il Taro, ha una struttura massiccia, con pianta a pentagono e tre torri rotonde. All’interno, la Collezione “Gambarotta”, con oggetti d’arte, arredi e dipinti del Sei-Settecento.
Castelli del parmense, antiche storie e moderne delizie del palato
Certo, l’ordine proposto è uno dei tanti ordini possibili. Le distanze da Parma sono comprese tra i dieci chilometri di Sala Baganza, a nord, nella pianura e vicino al Po, e gli ottanta di Compiano a sud, nelle prime valli appenniniche. Ecco allora che le proposte si sprecano. Ci sono percorsi in bici, specie in pianura, tra castelli e borghi, boschi e stradine. C’è la bella proposta di una visita con una Spitfire del ‘66, o di un Duetto del ‘69, lasciando che il vento (e la finzione d’epoca) dia ancora più fascino a questo percorso. Ci sono le visite sulle tracce di fantasmi, vicende di sangue e d’amore raccontate, come quella a Bardi tra Soleste e Morello, castellana e cavaliere; o quella della Fata Bema a Montechiarugolo, o di Donna Cenerina a Soragna. Poi c’è la Strada dei Vini e dei Sapori, sulle colline parmensi, a vedere e gustare salame, prosciutto, parmigiano, vino. E le “Ricordanze dei Sapori”, una serie di serate con cene in costume nei castelli, con piatti particolari, cantori, musici, saltimbanchi, mangiafuoco e giullarate.
Toscanini, la sua Parma e musica per ricordarlo
Ma c’è ancora un passaggio, che è necessario fare, prima di lasciare Parma. Facendo un passo indietro, al 16 gennaio 1957, a Riverdale, vicino a New York. Quel giorno moriva Arturo Toscanini, nato a Parma il 25 marzo 1867. Per decenni il più famoso direttore d’orchestra al mondo, anzi, il direttore per antonomasia. Il 2007 è l’anno “toscaniniano”, con l’apertura del rinnovato museo “Casa natale di Arturo Toscanini”. Un museo, riallestito dalla Casa della Musica di Parma, nella dimora dell’Oltretorrente, in borgo Tanzi 13. Le collezioni riguardano documenti, immagini e memorabilia (donati dai Toscanini), più altre testimonianze provenienti da diverse parti. Un percorso denso di suggestioni, il suo rapporto con la città, le relazioni con i compositori, Verdi, Wagner e Puccini, più un documentario che lo racconta utilizzando materiale d’epoca oltre alle testimonianze dei discendenti del Maestro e di artisti come Lorin Maazel e Giuseppe Valdengo. Ma non è tutto. Al Conservatorio “Arrigo Boito”, si apre al pubblico lo studio di Arturo Toscanini, con la sua biblioteca, il pianoforte Steinway donatogli da Vladimir Horowitz, le opere d’arte, le fotografie e altri oggetti personali. Nell’ex Chiesa di Santa Elisabetta, in piazzale Salvo D’Acquisto, c’è la nuova “Casa del Suono”, un percorso espositivo dedicato alla storia della riproduzione del suono dal fonografo di Edison a oggi, dove Toscanini rappresenta il primo esempio di divismo discografico. Da non dimenticare, una visita al Teatro Regio ed eventualmente, al “Verdi” di Busseto.
Per non dire che è … “sempre la stessa musica”.
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