“Favi colanti le tue labbra, oh sposa, miele e latte nella tua bocca”, dice il Cantico dei Cantici. Che “miele” (sinonimi: dolcezza, amabilità, benignità) sia il contrario di “fiele” (sinonimi: malanimo, astio) è scontato. “Miele” evoca positività, buoni sentimenti. Anche nella versione piemontese “amel”, che riprende il latino “mel” ed è in assonanza con “amé”, ‘amare. Facile dunque il calembour: “Amé l’amel”, amare il miele, che è stato coniato per una manifestazione importante, che illumina il maggio di queste parti.
E facile il luogo in cui farla, la manifestazione: il Roero (Roé, in piemontese) un paesaggio di rocche gessose, pieno di terre bianche che racchiudono ammoniti, con le acacie che diffondono i loro profumi mielosi.
Dall’acacia, con quell’aroma che “intasa” l’aria, al barattolo pieno di fluido giallo chiaro chiaro, sembra esserci solo il vetro. Invece c’è l’universo: delle api (animali sociali) e della catena alimentare, nome burocratico per dire “cibo per l’uomo”.
Ma, forse, non è da questa parte che bisogna prenderla. E allora, resettiamo, e torniamo allo sfondo. Il Roero, che cos’è?
Roero, dove un tempo c’era il mare
Dal punto di vista dell’amministrazione, sono ventiquattro comuni, provincia di Cuneo, da Bra all’astigiano.
Da quello storico, un feudo della potente famiglia astigiana dei Roero, quelli che avevano “casane”, cioè banche (prestiti a pegno) nelle Fiandre, in Francia, lungo il Reno, in Svizzera.
Da quello geologico e del paesaggio, infine, è un “unicum” formato dall’erosione, dal ritirarsi del mare di Tetide. Marne grigio azzurre, banchi gessosi, sabbie gialle, depositi di ghiaia e ciottoli, colline giovani, al di qua del Tanaro, che digradano dalla pianura meridionale torinese con profondi burroni e ripidi calanchi.
Boschi di farnia, carpino bianco, tiglio e ciliegio selvatico, frassino, roverella, pino silvestre, acacia (invasiva) e perfino olivo e cappero. Sono le mitiche rocche, l’essenza del Roero.
Racconta Gina Lagorio, che era di queste parti: “Belzebù alzò verso il cielo un cesto tanto grande che avrebbe potuto contenere un castello… una vanga pesante e lunga come nessuno ne aveva mai immaginato fiorì nelle sue mani, il diavolo l’affondava nella terra e ne traeva palate gigantesche che depositava sulla cesta….la rovesciò fra Tanaro e Stura…tutta la notte durò il viavai del demonio…Di quella notte una sola testimonianza: le rocche profonde del Roero” (“Tra le mura stellate”, 1991).
Detto della cornice, c’è da dire del contenuto. Del perché il miele ha a che fare con il Roero.
Api e natura, connubio perfetto
Documenti del XIII secolo raccontano del miele in Piemonte (le multe per il furto di alveari, per esempio) ma non in questa zona. È Domenico Bertone, dopo la prima guerra mondiale, a iniziare l’apicoltura, con il supporto di due preti-apicultori che traducono manuali dal francese. E qui inizia un’epopea che vale la pena raccontare. Bertone, infatti, introduce il nomadismo, vale a dire lo spostamento degli alveari in zone diverse, come si fa per le mucche: “transumanza apiaria”.
Siamo prima della seconda guerra e il confine verso la Francia è un brulicare di soldati. I “mielai” fanno anche piccolo contrabbando, nascondono il cibo ai soldati, raccolgono e commerciano le erbe e le radici di montagna. Il miele, al tempo, viene venduto sfuso nelle drogherie o nelle farmacie, riempiendo vasi di coccio o di vetro da dieci, quindici chili.
Altri seguono l’esempio, i Brezzo, i Cauda, che ancora oggi producono. In estate si va con un carretto trainato da due biciclette in montagna, a fine estate si passa ai campi di menta di Pancalieri. La motorizzazione avviene tardi, nei Settanta, con un OM carico di quarantacinque alveari. Acacia e castagno, prodotto in Valvaraita, a Valcasotto e Pamparato, nelle Alpi Liguri; tiglio in Val Pellice, melo a Lagnasco.
E poi menta, tarassaco, solidago, rododendro, lavanda e la rara melata di abete della Valmaira.
La Strada del Miele
Qui, è necessaria una piccola precisazione. Il miele, come tutti sanno, è l’elaborazione che le api fanno del nettare, cioè della sostanza zuccherina prodotta dai fiori. La melata, invece, è una “cooperazione”. Cocciniglie e afidi, cioè parassiti, si nutrono della linfa delle piante (conifere, castagno, pioppo, tiglio, alberi da frutto) trattengono l’azoto ed espellono lo zucchero, detto melata. Le api lo rielaborano, dando il “miele di melata”. Che noi mangiamo, ponendo fine (temporanea) alla catena alimentare zuccherina.
Se tutto questo non vi pare sufficiente per una visita nel Roero (Parco Naturale) ecco la parte mancante. È stata disegnata una “Strada del Miele”, che non è una banale “strada di….”. Il miele come movente, come fluido dorato per legare i sensi, per muovere passioni. Un mare antichissimo, le sue gole e baie, le essenze mediterranee, le radici architettoniche (il barocco piemontese a mattoni, i “ciabot”, casotti con apiario).
E il Roero come quinta, perché l’integrazione tra paesaggio e apicoltura è intensa.
Un passaggio “culturale”, se non spaventa l’aggettivo. Non “alta”, non “bassa”, non con la “c” maiuscola. Cultura, semplicemente, cibo per la mente, che si contamina con quello (mitico) e zuccherino che insetti
sapienti elaborano.
Trentotto chilometri, da Bra a Cisterna d’Asti, passando per Ceresole d’Alba e la “dorsale delle Rocche”. È il Grande Sentiero del Roero (S1) il riferimento, anche se molte possono essere le deviazioni e le frammentazioni, visto che non tutti sono podisti (alcuni spostamenti possono essere fatti in auto). Stesso discorso per la mountain bike, che qui porta a percorsi decisamente interessanti.
Il “mondo” del Miele
Vediamo in dettaglio. Si parte da Bra (è solo un’ipotesi) e alcuni pannelli spiegano il ciclo di vita delle api; si arriva a Pocapaglia e si scopre come comunicano questi insetti. A Sommariva Perno si scopre l’apicoltura e i suoi segreti, mentre a Bandissero come si raccoglie il miele. Si prosegue per Montaldo Roero (la flora apistica) e Monteu (i tipi di miele); poi per Ceresole (miele nella storia), Santo Stefano Roero (apicoltura nel Roero), Montà (manufatti storici), Canale (prodotti dell’alveare), Cisterna d’Asti (cucina di miele). Le tappe più curiose sono forse quella di Piovesi (l’abbigliamento apistico) e di Sommariva del Bosco (i mieli italiani).
I borghi citati hanno, naturalmente, qualcosa da dire. Intanto c’è l’Ecomuseo delle Rocche del Roero (Montà) per la protezione degli otto “borghi di sommità” che danno sulle Rocche. Con castelli, torri, chiese, oltre alle cittadine di Bra e Canale, che hanno un centro storico notevole. E i tematici “Sentiero religioso” (Santuario dei Piloni, Via Crucis) e “Sentiero dell’Apicoltura” (ciabot delle api, “ca’ d’avie”, due ore e mezza) con l’area umida della Valle Diana.
Poi il labirinto, trenta chilometri da Pocapaglia a Cisterna, di gole e forre, pareti a picco, guglie e pinnacoli di sabbia. Fitta vegetazione e folto sottobosco, ideale per alimentare la leggenda delle “masche”, le streghe del sud del Piemonte.
Il Museo Naturalistico del Roero (Vezza d’Alba), che presenta la geologia, i fossili, gli ambienti naturali.
Maggio in Roero: “amare il Miele”
Tutto questo può essere assaporato individualmente (i sentieri sono ampiamente segnalati e spiegati) oppure con le guide di Andar per Roero. Con tour notturni, o tematici.
Altra opportunità è la mongolfiera, che permette un colpo d’occhio straordinario sulle Rocche, ma anche su Langhe, Monferrato e l’intera catena delle Alpi occidentali, con il Monviso in bella evidenza.
Ci sono le soste golose e/o di shopping dai vari produttori. Il meglio del miele transumante del Roero, con i sapori delicati dell’acacia, forte del castagno, aspro del rododendro, equilibrato del millefiori, intenso della melata d’abete, deciso della menta, tanto per dirne alcuni. Da assaggiare anche i vini di questa terra: Roero doc, Arneis, Favorita.
Resta da dire della festa, di “Amé l’amel”. Si tiene a Sommariva del Bosco dal 19 al 21 maggio ed è una vera e propria kermesse, in senso etimologico, festa intorno alla chiesa (o alle chiese) del paese. Ci sono gli stand dei produttori, con i mieli rari come quelli piemontesi di grano saraceno e castagno, di rovo; quelli siciliani di fico d’India, di mandarino tardivo di Cianculli, quelli toscani di rosmarino e di elicriso, quello al limone di Sorrento. Un laboratorio del gusto Slow Food sui “Mieli d’Europa”, la smielatura in piazza, colazione e merenda a base di miele, le ricette piemontesi corrette al miele, l’aperitivo in musica, la mezzanotte bianca (balli e spuntini) la banda e la corale.
E poi la “Città delle Api”: affabulazione, teatro, artisti di strada, cultura popolare. Infine, un ironico “tour in vespa del Roero” (ironico perché in vespa!).
Lasciando stare le vespe, sono le api e il loro modo di vivere che hanno sempre affascinato l’uomo. Se nel famoso libro “L’ape e l’architetto” (Marcello Cini, 1976) si sosteneva che l’ape fa un lavoro perfetto ma sempre uguale, immodificabile (e l’architetto, invece, ha la facoltà di progettare) resta il fatto che una società organizzata e funzionante come quella apiaria attrae la fantasia umana, in cerca di utopie. Sociali, ma anche di paesaggio. Un creativo potrebbe sempre dirvi: “Camminate lungo il mare di Tetide, l’unico con il miele intorno”.