Su un’altura svettano brandelli di antichi muri, già imponenti, oggi sbranati dai secoli e macinati dal vento. Sotto si stende un palmeto lussureggiante. E poco più in là si intravede il Sahara, che da queste parti è un altopiano giallastro, piatto come un biliardo. Siamo a Siwa, oasi egiziana a ridosso del confine libico: un grappolo di cinque villaggi, che conta venticinquemila anime, quattrocentomila palme, duecento sorgenti e un mistero. In questo francobollo verde, piazzato in pieno deserto a trecento chilometri dal primo centro abitato e a venti metri sotto il livello del mare, forse fu sepolto Alessandro Magno. Ma nessuno sa dove. La tomba di Iskandar el-Akbar (Alessandro Magno, nome arabo del re macedone) è uno degli ultimi interrogativi irrisolti dell’archeologia egiziana. Che si trovi davvero a Siwa, non è certo: c’è chi l’ha cercata qui, chi nella non lontana Alessandria (in arabo Iskandariya); c’è anche chi crede che non si trovi affatto nel nord Africa, ma in Grecia o addirittura in Italia (vedi approfondimenti). Ma, fantasie a parte, è molto probabile che “il Grande” riposi nel nord-ovest dell’Egitto, sua patria d’elezione: dunque ad Alessandria o a Siwa.
Alessandria e Siwa, luoghi (forse) del “riposo eterno”
Alessandria non ha bisogno di molte presentazioni: fino a cinquant’anni anni fa era la città africana a più alto tasso di europei (40% dei residenti). C’erano inglesi, greci, anche molti italiani: lì nacque il poeta Giuseppe Ungaretti; lì morì Vittorio Emanuele III, re in esilio; lì un architetto di fine Ottocento, Mario Rossi, costruì palazzi e moschee. Seconda città egiziana per abitanti (quattro milioni) capitale del cotone, oggi “Iskandariya” è un interminabile nastro di case che si dipana lungo il mare per cento chilometri e che nel suo allegro disordine assomiglia più a Napoli, Marsiglia e Atene che a Luxor e Karnak. Siwa non dista molto, almeno in linea d’aria; ma appartiene a tutt’altro mondo. Fino a vent’anni fa ci si arrivava solo in cammello dal porto di Marsa Matrouh o con auto 4×4 da un’altra oasi, Bahariya. Il viaggio durava da due giorni (in auto) a sette (in cammello). Però la zona era vietata agli stranieri, per ragioni militari; quindi di fatto non ci andava nessuno. Oggi l’oasi è collegata al mare da una bella strada, ma il lungo isolamento l’ha resa diversa dal “vero” Egitto: gli abitanti non parlano arabo, ma un dialetto berbero (il “siwi”) e le leggi tribali prevalgono sui precetti dell’Islam, tanto che da sempre a Siwa i “Pacs” per coppie omosex sono una realtà.
Alessandro Magno, non figlio del “peccato”…
Cos’hanno in comune le due località? Ce lo chiediamo guardando Siwa dall’alto di un colle che domina il villaggio di Aghoumi. E la risposta è ovvia: non hanno proprio nulla. O meglio: nulla salvo l’epopea di Alessandro, che ebbe il suo inizio qui e il suo epilogo ad Alessandria. Che “Iskandariya” sia stata creata dal re macedone, è noto: la concepì nel 331 a.C., dodici anni prima di morire; voleva una città a sua immagine, sintesi tra classicità greca e fantasia orientale. Morì troppo presto per vederla, ma i suoi eredi Tolomei la realizzarono e ne fecero la loro sontuosa capitale. Meno conosciuto è il rapporto fra Alessandro e Siwa, che ha radici in un gustoso “gossip” d’epoca. Tutto nacque dal fatto che Olimpiade, madre di Alessandro, rimase incinta mentre suo marito Filippo II era lontano, in guerra. Per far tacere la gelosia del coniuge e le chiacchiere popolari, la regina disse di essere stata amata da Ammon, dio egizio con le corna da capra, a cui non aveva potuto dire di no. Filippo le credette, il popolo meno. Morale: quando Alessandro nacque (356 a.C.) la gente ridacchiava; poi, quando Filippo morì e “suo” figlio salì al trono (336 a.C.) i sudditi non ne riconobbero l’autorità.
… ma figlio di un dio
Così Alessandro fu costretto a dimostrare a tutti di essere davvero figlio di un dio. E siccome Ammon aveva a Siwa un oracolo famoso in tutto il Mediterraneo, il neo-nominato re attraversò prima il mare e poi il deserto per interrogare sulle sue origini gli indovini dell’oasi. I quali, vedendo arrivare quel re straniero con una nutrita scorta armata, si affrettarono a dare la risposta voluta: “Ammon conferma che sei figlio suo”. Morale: il popolo riconobbe la regalità (anzi la divinità) di Alessandro, che partì per le sue imprese in Oriente e da allora fu sempre effigiato con due corna, come Ammon. Ma torniamo al mistero della tomba sparita. L’unica cosa certa è che il “figlio di Ammon” morì nel 323 a.C. sull’Eufrate e che la sua salma fu imbalsamata e riportata in Occidente. Sul resto le fonti discordano: Diodoro Siculo, storico greco del I secolo a.C., dice che Alessandro fu sepolto a Siwa; Curzio Riufo, biografo latino di due secoli dopo, conferma che questa era l’ultima volontà del re; ma due contemporanei di Curzio, il geografo greco Strabone e il biografo latino Svetonio, giurano che ai loro tempi il mausoleo del sovrano macedone era nel centro di Alessandria. Oggi a Siwa si possono vedere molte tombe di epoca ellenistica, ma nessuna può assomigliare a un mausoleo regale. Le ultime ricerche della tomba di Alessandro risalgono al 1995, quando un’archeologa greca, Liana Sanvaltzi, scavando in una necropoli dell’oasi, scoprì un ipogeo più ricco degli altri e pensò subito a “Iskandar”. Ma il lavoro era difficile, causa continue infiltrazioni d’acqua; per di più le autorità egiziane, scettiche sulle tesi della studiosa, non rinnovarono l’autorizzazione agli scavi. Così la presunta scoperta del secolo finì in una bolla di sapone.
Tracce evidenti a Siwa?
Eppure a Siwa il ricordo del re macedone è nell’aria. La strada che arriva da Marsa Matrouh attraverso il deserto ricalca pari pari l’itinerario che compì Alessandro, guidato da corvi e serpenti. I muri sbrecciati che costellano il nostro colle sono i resti (malconci ma suggestivi) del Tempio dell’Oracolo, dove il figlio adulterino di Olimpiade fu promosso semidio. Non è tutto: poco a valle, nel palmeto, c’è un altro tempio, detto Umm Ubaydah, che fu costruito proprio negli anni di Alessandro Magno. E un po’ più lontano ecco infine Gebel El-Mawta, una collina-necropoli usata dai Tolomei, che forse cela il sepolcro del Macedone. Solo “forse”, però. Pochi mesi fa, infatti, un archeologo bretone che lavora ad Alessandria ha annunciato: “Siamo a un passo dal ritrovare la tomba sparita”. L’autore della “rivelazione” non è un giovane Indiana Jones rampante, in cerca di notorietà a buon mercato, ma uno dei più stimati studiosi di antichità ellenistiche: Jean-Yves Empereur, direttore del prestigioso “Centre d’études alexandrines”, che anni fa scoprì nei fondali della costa i resti del leggendario Faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo antico, distrutto secoli fa da un terremoto.
Ma anche quelle di Alessandria lo sono
Insomma: se Empereur parla, lo fa a ragion veduta. Ma da dove nasce tanta sicurezza? Da scavi nati per caso nel centro storico, che hanno individuato una necropoli e un antico crocevia sotto le case ottocentesche della Horreya, la via principale della città, dove sfilano caffè letterari della “belle époque”. Ebbene: Strabone scriveva appunto che Alessandro Magno era sepolto in una vasta necropoli a ridosso di un incrocio importante, più o meno nella zona in questione. Così, mentre gli scavi avanzano, migliaia di alessandrini scoprono che forse per una vita sono andati a bere il tè cinque metri sopra la salma di Iskandar, senza saperlo. Siwa o Alessandria, dunque? Probabilmente la risposta giusta è: tutte e due. Infatti le fonti antiche potrebbero non essere affatto in contraddizione: forse Alessandro fu sepolto in un primo tempo nell’oasi come sosteneva Diodoro Siculo (Alessandria era ancora un cantiere) e trasportato successivamente nella “sua” città (vedi Strabone e Svetonio). Convinti da questa ipotesi tranquillizzante, scendiamo dal colle dell’antico oracolo: alla base dell’altura ci aspetta uno dei tanti carretti trainati da asini, che a Siwa svolgono le funzioni di taxi. Domani si torna nel mondo “normale”, ad Alessandria.
Fantastoria: Alessandro Magno spacciato per San Marco
Non tutti gli studiosi sono convinti che la tomba di Alessandro Magno sia in Egitto: alcuni (una minoranza) basandosi su un’antica tradizione, sostengono che le ultime volontà del re sarebbero state violate e che la sua salma si troverebbe nella natìa Macedonia. Ma nelle due città dove potrebbe essere stato sepolto (Pella e Aigiai) non è mai stata trovata conferma. C’è poi un inglese, Andrew Chugg, che da due anni sostiene una bizzarra tesi, secondo la quale Alessandro riposerebbe nientemeno che a Venezia. La sua mummia, spacciata per quella di San Marco, sarebbe stata infatti portata in Italia mille e duecento anni fa da due trafficanti di reliquie e si troverebbe nella celebre basilica dedicata al santo. Riferiamo di questa teoria solo per completezza di informazione, senza accreditarla: dopo le fortune de “Il codice Da Vinci”, molti tentano di bissare il successo di Dan Brown con scoop fantastorici a sfondo religioso. L’importante è rendersi conto che sono solo favole.
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