Consultando una guida turistica ci accorgiamo che il Casentino è una ricchissima terra d’arte. Per assaporare l’essenza della cultura medievale e rinascimentale di queste valli, è necessario dedicarvi il tempo necessario.
Un accurato giro attraverso le antiche chiese romaniche. I borghi fortificati. I tanti castelli del 1200 e del 1300 che dominano le alture. E le centinaia di opere d’arte che contengono, richiede un’attenta visita di qualche giorno.
Seguendo il percorso tortuoso della strada Statale 70, che da Arezzo porta in Casentino, si iniziano a trovare i primi esempi dell’architettura medievale sacra e quella di difesa, propria di questa valle.
Casentino tra le Pievi e l’Arno “bambino”
In località Castelnuovo si scopre l’imponente Castello della Fioraja; a Subbiano fa bella mostra di sé una torre del 1100; mentre a Pieve a Socana c’è la splendida chiesa dell’anno mille, dall’elegante campanile esagonale, dedicata a Sant’Antonino.
A Chitignano sono ancora visibili i resti del castello del X secolo, inglobati e trasformati in una sontuosa villa seicentesca e il Palazzo del Podestà del 1300 che all’interno conserva un dipinto dell’Annunciazione del 1600.
Il fiume Arno, che nasce qui, alle pendici del Monte Falterona, segue la strada che collega i paesi del Casentino, legati dal filo immaginario della storia e delle belle arti.
Il grande corso d’acqua toscano, nel suo tratto casentinese, è quasi irriconoscibile: non ha la maestosità delle sponde di Firenze, né l’irruenza degli argini pisani. Tra i pioppi che gli fanno da corona si presenta come un robusto torrente, dalle acque bizzose e trasparenti. Tra le increspature si scorge il fondo, mosso, come in un miraggio, solo dai raggi di luce che lo attraversano e lo illuminano. È tra questi mulinelli e gorghi che i pescatori dal palato fine trovano trote, persici reali, lucci, lasche e cavedani. Si pesca a mosca “spinning” e con le canne fiorentine e bolognesi, con la certezza che il bottino sarà ricco e farà superba figura sulle tavole imbandite.
Un castello di intrighi
Il Castello di Poppi ha la figura altera del grande “dominatore”. La sua torre svetta sulla vallata e sulle vetuste mura merlate che cingono il borgo medievale, un tempo appartenuto ai Conti Guidi. Il maniero è datato intorno al 1100 ed è conservato perfettamente. Al suo interno, sulle mura del bel cortile, sono appese decine di stemmi gentilizi in pietra che ornano le scale che portano al primo piano, in quella che un tempo fu la dimora dei Conti.
Queste stanze, tra le quali risalta una deliziosa cappella affrescata da Taddeo Gaddi, videro congiure, piani di guerra e di difesa orditi dai Conti Guidi contro il potere e la crescente espansione della vicina Firenze.
Oggi, più pacificamente, questi locali ospitano vernissage di pittura, un bel negozio di libri e gadget e la mostra permanente della battaglia di Campaldino, che si svolse nella piana sottostante nel 1289.
Dante Alighieri, onore e “rancore”
Di fronte al Castello di Poppi campeggia un busto in bronzo del sommo poeta Dante Alighieri. Anche se sono passati 715 anni dalla battaglia di Campaldino, combattuta tra Ghibellini aretini e Guelfi fiorentini per il possesso di queste lande montane, nessuno si scorda che l’Alighieri, quell’undici giugno, si battè come Feditore a cavallo tra le milizie della città gigliata che sconfissero le truppe di Arezzo.
Per questi trascorsi storici Dante non è stato mai troppo amato da queste parti. Prima di tutto perché fiorentino, poi perché etichettò gli aretini, nella Divina Commedia, come “botoli ringhiosi”.
Come tutti sanno i toscani, oltre a essere “maledetti” come sentenziò Curzio Malaparte nei suoi scritti, sono anche profondamente vendicativi. Oggi la pena del contrappasso dell’Alighieri è “fare” da bronzeo “testimonial” per quel popolo e quella terra che non amò e non stimò in vita.
È comunque grazie anche al suo nome, ai suoi pellegrinaggi e alle gesta un po’ romanzate, che i turisti vengono in Casentino. Il sommo poeta non ha mai dimorato a Poppi, ma ha lasciato un prezioso ricordo: nella biblioteca comunale è custodita una delle primissime e rare copie della Divina Commedia, un manoscritto del Trecento attribuito a un monaco.
Tra i boschi di Camaldoli
Un interessante parco-zoo, ben curato e a misura di animali, si trova nei pressi di Ponte a Poppi. I suoi ideatori hanno creato vasti recinti dove la fauna casentinese ha trovato un habitat confortevole. Tra i boschi del parco-zoo si possono ammirare cervi, daini, volpi, cinghiali e una miriade di uccelli palustri di passo: germani, moriglioni, codoni, tuffetti, folaghe e tra gli stanziali, fagiani, pernici e starne.
Un piccolo detour ci porta verso il Monastero e l’Eremo di Camaldoli. Zona di grandi boschi con aceri, betulle, abeti bianchi, ontani, ideali per un tranquillo e fresco picnic estivo (siamo sui 1100 metri d’altitudine).
Qui si possono fare lunghe e rilassanti passeggiate tra torrenti dove ancora nuotano trote fario e iridee e percorrere sentieri, nel folto delle foreste, alla ricerca di funghi. Con un po’ di fortuna, è anche possibile avvistare qualcuno dei grandi ungulati che popolano numerosi quest’area, quali daini, caprioli, cervi o mufloni.
Da non perdere è la monumentale e antichissima Farmacia Camaldolese dove, oltre allo shopping di liquori e amari a base di erbe, creme naturali ai propoli, saponi aromatici, miele, caramelle al pino, conviene spendere un po’ del proprio tempo per curiosare nell’attiguo museo della farmacia, zeppo di alambicchi, mortai e vasi d’epoca.
Casentino terra di San Francesco
Correva l’anno 1222 e il Conte Cattani invitò San Francesco a dimorare nei suoi possedimenti a La Verna.
Il Poverello di Assisi lo prese in parola, ma anziché soggiornare nel castello del Conte (dell’antico fortilizio oggi rimangono solo poveri ruderi), scelse una grotta buia e umida, dove per gli stenti finì la sua luminosa esistenza.
In memoria di San Francesco sorge, ai piedi della sua spelonca di roccia, un grande santuario che celebra il suo ricordo di povertà e di rinuncia alle cose terrene, ospitando splendide terrecotte di Andrea della Robbia e un fantastico crocifisso ligneo del Quattrocento.
Tra l’Inferno di Dante e i “paradisi” del Vate
“Ivi è Romena, là dov’io falsai la lega suggellata del Batista”; è il falsario Mastro Adamo che parla per bocca di Dante, nel XXX Canto dell’Inferno. E narra del Castello di Romena, posto sulle alture a pochi chilometri da Poppi, dove coniò falsi fiorini fiorentini per ordine dei Conti Guidi, proprietari del Castello e di tutta la vallata. È ancora intatto e incute rispetto il grande maniero di Romena.
Le sue due cinte murarie sfidano il tempo e le torri della Postierla e del Mastio sono ancora in piedi dopo più di mille anni.
Ne è passata di storia sotto questo “castrum” e insieme alla storia, di qui è passato, nel corso delle sue innumerevoli peregrinazioni in cerca di sostegno (e di aiuti economici) anche l’Alighieri. Osservando la torre delle prigioni di Romena, si suppone abbia trovato l’idea per i suoi “gironi” infernali. I carcerati vi erano infatti disposti su diversi livelli: quelli che avevano commesso reati più gravi erano in basso, mentre, salendo verso i piani superiori, vi si trovavano gli autori di crimini più “leggeri” ai quali erano state comminate pene meno severe.
Il Castello di Romena e D’Annunzio
Il Castello di Romena è famoso anche per i lunghi soggiorni di Gabriele D’Annunzio, che qui trovò ispirazione per scrivere il III Libro delle Laudi. Il Vate, uomo dal comportamento estroso, si era fatto montare una tenda sul prato del castello, e là non solo componeva, ma aveva altresì i suoi ritrovi galanti con Eleonora Duse, attrice del tempo, bellissima e famosissima, ospite a Stia.
A un chilometro dal castello c’è poi da ammirare la pieve romanica di San Pietro di Romena, dalla elegante abside e dall’interno a tre navate.
Proseguendo, si incontra un’altra fortezza medievale appartenuta ai Conti Guidi, Castel San Niccolò; situato sopra il vorticoso torrente Solano, gode di una posizione strategica inespugnabile: una stretta valle chiusa a nord e a sud. L’antico maniero, costruito intorno all’anno 1000, vanta una storia singolare. Abbandonato per secoli all’incuria e all’oblio, fu acquistato da un maestro elementare del posto, il Signor Giovanni Biondi. Il maestro elementare per più di trent’anni, ha dedicato ogni suo momento libero al completo recupero del castello, riportandolo ai primitivi splendori e al rango di contrafforte gentilizio che gli competeva.
Porciano, altra “vittima” di Dante
Ancora una volta l’Alighieri lega il proprio alla storia del Casentino. Poco distante da Stia c’è il Castello di Porciano, che domina la vallata e l’omonimo e ordinatissimo borgo. Costruito intorno all’anno mille, ha ospitato Dante che da qui, nel 1311, esortò i Fiorentini a sottomettersi ad Arrigo VII di Lussemburgo. I suoi concittadini non solo non l’ascoltarono, ma ordinarono al Conte Bandino di Porciano di bandire il poeta, che venne scacciato dal castello.
Dante, da buon toscano, si vendicò con la sua unica arma: la penna. Nel IV canto del Purgatorio chiamò con sprezzo gli abitanti di Porciano: “Brutti porci più degni di galle, che d’altro cibo fatto in uman uso”.
Nella torre della rocca, alta trentacinque metri, è ospitato un piccolo e interessante museo della civiltà contadina.
Tra boschi, castelli, cavalieri, santi, armi ed eroi, il Casentino ha porte aperte per chi desideri un’avventura di altri tempi, tra l’eco, mai spenta, di un medioevo toscano, sotto la guida sapiente del sommo Dante.
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