Forse più “appartata” e gelosa della propria individualità Reggio ricorda, con i suoi portici e le sue volte, le vie e le piazze impreziosite da splendidi palazzi e insigni monumenti, le strutture tipiche delle altre città emiliane.
Ma questa è anche la terra del parmigiano-reggiano e del lambrusco, del nocino, del maiale e dell’aceto balsamico tradizionale. Nel proprio dna Reggio conserva inoltre l’ardore della resistenza partigiana, che ha per simbolo l’atroce sacrificio dei fratelli Cervi, le dispute “amiche” di Don Camillo e di Peppone, la presenza cupa e affascinante della Pietra di Bismantova cantata da Dante (vassi in San Leo, e discendesi in Noli, montasi su Bismantova in cacume, Purgatorio IV, 25-28), l’ariosità della fertile pianura e il legame indissolubile con il grande Po.
Una “storia” da protagonista
Risale ai primi anni del II secolo a.C., con l’arrivo dei Romani, la crescita di Regium Lepidi, uno dei molti centri inseriti nel sistema viario della via Emilia.
Si deve allo stesso periodo la prima bonifica della vasta pianura che la circonda e la conseguente lavorazione dei campi; uno sviluppo intenso sotto il profilo agricolo ed economico, che verrà meno con le invasioni barbariche.
Dall’VIII secolo in poi la struttura urbana e i poteri civili vengono garantiti dal Vescovo, sino all’XI secolo, quando la terra reggiana, fortificata da un imponente sistema di castelli, diviene la Contea di Matilde.
Tra le mura di Canossa, nell’anno 1077, ha luogo un avvenimento storico (che tutti hanno studiato sui banchi di scuola) collegato alle lotte per le investiture: l’imperatore Enrico IV, in veste di “umiliato” pellegrino al cospetto di Papa Gregorio VII, invoca lo scioglimento della scomunica.
Cessato il feudalesimo, è il momento dei “liberi Comuni”, e Reggio è tra i primi.
Nascita del Tricolore
Agli inizi del XV secolo la città passa sotto il dominio degli Estensi di Ferrara.
E’ un periodo fecondo quello che contrassegna il Rinascimento reggiano: da Matteo Maria Boiardo conte di Scandiano, il poeta dell’Orlando Innamorato, governatore di Reggio verso la fine del XV secolo, a Ludovico Ariosto, il grande poeta dell’Orlando Furioso, nato a Reggio nel 1474. Seguono secoli bui (XVII e XVIII) tormentati da guerre, pestilenze e saccheggi di opere d’arte. Nei periodi di pace, la creatività dei reggiani ha comunque modo di manifestarsi con l’edificazione di sontuosi palazzi e numerosi edifici religiosi, primo fra tutti l’imponente Basilica della Ghiara, innalzata, con eccezionale concorso d’artisti, nella prima metà del Seicento e con il mirabile sviluppo dell’arte della seta.
Il 7 gennaio 1797, prima sede di un parlamento italiano cui aderiscono le città di Modena, Bologna e Ferrara, Reggio vede nascere, con la Repubblica Cispadana, il Tricolore, futura bandiera d’Italia.
Durante il ventennio fascista Reggio si distingue per lo spirito di resistenza,
culminato nella lotta di liberazione. Per l’apporto dato dalla città alla riconquista della libertà, il gonfalone di Reggio Emilia è stato decorato con medaglia d’oro al valor militare.
La città, la gente
La tipica convivialità della gente reggiana si esprime in Piazza San Prospero, vera e propria “agorà”, per la costante presenza di bancarelle e venditori. Il mercato ha luogo due volte la settimana, il martedì e il venerdì; in particolari occasioni, come la fiera di San Prospero del 24 novembre e la “Giareda”. Ai primi di settembre, gli ambulanti arrivano da tutta l’Italia occupando ampie zone del centro storico.
Qui è possibile ripercorrere tratti dell’originaria romana Via Emilia, che attraversa e divide la città.
Ma a Reggio vi sono anche tracce della cultura barocca. Si tratta della Basilica della Ghiara, costruita e decorata nella prima metà del XVII secolo, al cui interno conserva un importantissimo ciclo di affreschi, oltre a pale d’altare dei migliori artisti del Seicento emiliano.
Non solo. Ad attrarre, sono anche i luoghi dello svago, dello spettacolo e della cultura, più attivi che mai.
Il Teatro Municipale “Romolo Valli” (grande attore del Novecento, fondatore della celebre Compagnia dei Giovani) è uno degli edifici più caratteristici e fiore all’occhiello delle attività culturali cittadine, cui si affiancano la Galleria Parmeggiani, i musei civici, la chiesa e i chiostri di San Domenico (un polo culturale polivalente) e infine i giardini pubblici, abbelliti da numerose sculture.
Poco distante scorre il Po, che è possibile percorrere con imbarcazioni che organizzano gite fluviali. Tra queste la Motonave Stradivari propone itinerari diurni e notturni, con possibilità di pranzi e cene tipiche a bordo. È uno dei pochissimi posti in cui è possibile mangiare degli ottimi piatti a base di pesce di fiume.
Aceto balsamico, orgoglio reggiano
Nel reggiano non sono poche le famiglie che si dedicano tuttora alla produzione e allo smercio di prodotti alimentari che richiedono tempo e cura prima di poter essere venduti. Ciò significa che l’attività è scandita dai processi di stagionatura.
Per esempio: oltre due anni per il Parmigiano, mentre nel caso dell’aceto balsamico tradizionale gli anni sono almeno dodici per ottenere l’etichetta rossa, che salgono a diciassette per l’etichetta argento e addirittura a venticinque o più per quella oro.
E’ curioso ricordare che l’aceto pregiato così ottenuto, veniva dato nei secoli scorsi in dote alle figlie femmine al momento del matrimonio. Ciò accadeva perché questo mestiere si tramandava di padre in figlio e sul filo di una tradizione consolidata, la “batteria” di botti veniva avviata in concomitanza con la nascita degli eredi.
Produrre aceto è un lavoro che da sempre richiede tempo e paziente cura.
Quello balsamico reggiano, infatti, riposa per molti anni in piccole botti di rovere, castagno, ciliegio, frassino o ginepro, ognuna delle quali dona, alla fine della stagionatura, un particolare aroma.
Più che di aceto si tratta di un balsamo, cremoso e vellutato, ottenuto solo da mosto cotto a fuoco lento, proveniente dalla pigiatura delle uve prodotte nella provincia di Reggio Emilia.
D’altra parte, che sia una tradizione antica, lo dimostra il poema “Vita Mathildis” scritto tra il 1112 e il 1115 dal Monaco Doninzone di Monteveglio. Vi si racconta che nell’anno 1046, quando Enrico III di Franconia scese in Italia per giungere a Roma e farsi incoronare Imperatore di Germania, inviò al Marchese di Toscana Bonifacio, padre di Matilde di Canossa, preziosi doni in cambio del famoso aceto che tanto lo aveva affascinato e “gratificato”!
Itinerari del gusto e delle corti
Per permettere di scoprire la ricchezza e la bellezza di Reggio Emilia e della sua provincia sono attivi quattro Consorzi, ognuno dei quali con propri settori di specialità, attrezzati nel proporre itinerari naturalistici, culturali ed eno-gastronomici.
La combinazione di questi elementi risponde in pieno alle motivazioni di viaggio di chi è alla ricerca di itinerari fuori dall’ordinario, ben lontani dagli imperativi stereotipati del turismo di massa; vi si coglie altresì l’opportunità per arricchire la propria conoscenza, affrontando temi ed esperienze diverse.
Ecco allora perché vale la pena di visitare aziende agrituristiche e vinicole, caseifici, acetaie: per conoscere chi vi lavora, ma soprattutto scoprire “come” lavora.
Alle porte di Reggio e a sud della Via Emilia, lungo le strade degli altipiani, delle colline, delle valli dell’Enza e del Secchia, vi sono infatti una cinquantina di imprese, disposte a “raccontarsi”.
Non solo. Agli itinerari del gusto si aggiungono quelli tra la via Emilia e il Po in cui la tradizione eno-gastronomica si intreccia con quella storica.
La storia delle corti, piccole ma raffinatissime, delle signorie rinascimentali dei Gonzaga, Bentivoglio, Da Correggio, Roberti e degli Estensi, le cui tracce si ritrovano nelle piazze porticate, nei castelli divenuti palazzi e nei dipinti del Correggio, di Lelio Orsi, dei maestri di scuola ferrarese o bolognese. Sono “gemme” che si trovano nei comuni di Canossa, Casalgrande, Correggio, Guastalla, Boretto, Scandiano e Gualtieri.
A contatto con la natura
Fanno parte del paesaggio reggiano non solo i castelli posati sulle colline dal morbido profilo.
Il “Parco del Gigante”, ad esempio, è uno dei più estesi fra quelli emiliani e racchiude al suo interno una grande varietà di luoghi e ambienti di valore naturalistico, caratterizzato com’è dalle cime più alte della catena appenninica settentrionale, da estesi boschi e praterie.
Qui si trovano rare specie vegetali e la tipica fauna appenninica.
A est, oltre il Passo delle Forbici, l’area protetta si prolunga nel “Parco Regionale dell’Alto Appennino Modenese”, mentre sul versante toscano si estende il “Parco dell’Orecchiella”.
È possibile farsi accompagnare alla scoperta del “Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano” da esperte guide turistiche, attive nel territorio che comprende i sei Comuni del crinale reggiano: Busana, Collagna, Castelnovo ne’ Monti, Ligonchio, Villa Minozzo, Ramiseto.
Tutti insieme, hanno costituito il “Club di Prodotto del Gigante del Parco”, un consorzio che intende creare l’occasione per trascorrere una vacanza all’insegna del relax, della scoperta o della pratica di attività sportive, per gruppi, famiglie e scuole.
Nel medio Appennino si innalza la famosa Pietra di Bismantova. Ai suoi piedi, il centro di Castelnovo ne’ Monti, una cittadina fra le più eleganti ed attrezzate di tutto l’Appennino settentrionale; vera capitale, anche turistica, del comprensorio.
Museo Cervi di Gattatico (Reggio Emilia)
E’ situato in un’ampia struttura colonica che sorge sui Campi Rossi, un podere di circa sedici ettari collocato nel mezzo della Pianura Padana, a pochi chilometri dalla via Emilia, a metà strada fra le città di Parma e Reggio Emilia.
E’ un museo della Resistenza e della storia del movimento contadino, allestito nella casa dove i Cervi arrivarono nel 1934. Raccontano le cronache:
“Quando dopo molti anni di accanita fatica di braccia, la famiglia Cervi poté permettersi i lusso di acquistare un trattore, Aldo andò a prenderlo in consegna a Reggio. Sulla strada che porta a Campegine i vicini lo videro tornare trionfante, al volante della macchina nuova, sulla quale aveva issato, come una bandiera internazionale, un gran mappamondo”.
Oggi la loro casa di Campegine è stata trasformata in Museo. Idea già presente negli anni Sessanta, quando Alcide Cervi, padre dei sette fratelli (il maggiore aveva 42 anni, il più giovane 22) fucilati dai fascisti per rappresaglia all’alba del 28 dicembre 1943, decideva di donare al Comune di Gattatico e alla Provincia di Reggio Emilia la raccolta dei ricordi e delle testimonianze del sacrificio dei suoi figli.
Gualtieri e Antonio Ligabue
Questa armoniosa cittadina di seimila anime, fonda le proprie glorie sulle opere di bonifica e sulle costruzioni urbane monumentali volute dai Bentivoglio.
Si tratta di uno dei paesi più ricchi di testimonianze storiche della bassa reggiana.
E’ anche il paese che ha ospitato, dopo essere stato espulso dalla Svizzera, Antonio Ligabue, pittore visionario del Novecento, soprannominato “il gran selvaggio”, proprio in virtù delle sue fantastiche visioni trasposte su tela, sintesi della sua vita di solitudine. Ligabue ha vissuto da emarginato nei boschi e sulle rive del Po, luoghi nei quali la sua vita infelice, grazie all’ispirazione e all’arte, ha trovato riscatto.
Con la terra del Po e la saliva ha creato sculture che interpretavano una natura che
si trasforma; con i colori ha “confuso” i pioppi con la giungla, i cani con le belve feroci, i predatori con le prede.
Gualtieri rende omaggio a questo espressionista tragico con un museo e un centro di documentazione, che hanno trovato spazio fra le pareti affrescate di Palazzo Bentivoglio, affreschi che, restaurati, narrano le leggende dei Giganti e degli episodi della Gerusalemme Liberata, opera del Badalocchio.
Info:
www.stradavinicortireggiane.it
www.reggiotricolore.com
www.unioneappennino.re.it
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