Futurista in ritardo? Surrealista? Funzionalista non funzionale? Carlo Mollino è stato un personaggio di quelli che sfuggono alle etichette. Che si divertono a spiazzare i classificatori, gli etichettatori e anche quelli che ti chiedono: “che lavoro fai?”
(L’architettura è il mezzo fisico per comunicare le trasformazioni delle abitudini del vivere in una società)
Più che incasellare Carlo Mollino (Torino, 1905-1973) conviene abbandonarsi al fascino delle sue imprese, siano esse sportive (la velocità tout court: in aereo, in auto, sugli sci) o intellettuali ed estetiche (la progettazione, la fotografia).
Per cominciare, bastano tre immagini: la forma del Teatro Regio di Torino, che molti assimilano a un corpetto femminile; la Bisiluro, la “sua” auto da corsa; una foto in cui il bianco e nero ci restituisce una modella seduta su una sua sedia.
Forme, velocità, donne. Banale, a dirsi.
Carlo Mollino personaggio poliedrico
Eppure l’architetto Carlo Mollino sta in questo trittico, declinato in vario modo e allo stesso tempo ne esce, alla ricerca di un’estetica personale, non convenzionale. Un artista, si potrebbe (felicemente) dire. Anche se non di quelli che hanno un percorso davanti e lo seguono per tutta la vita. No, al nostro piaceva cambiare, riorientarsi. Tanto che il suo curriculum è un po’ “schizofrenico” e le sue “produzioni” assolutamente non industriali. Pochi edifici progettati, mobili in pezzi unici, interessi portati al più alto punto e poi abbandonati per nuove “avventure”.
Studiare la dinamica dello scivolo
Diventare maestro di sci (quale artista lo ha fatto?) per studiare la dinamica del movimento di scivolo e poi scrivere “Introduzione al discesismo” (1951). È un metodo forse poco produttivo ma estremamente efficace. Anche perché la dinamica del corpo ritorna, ad esempio, nel suo interior-design, con il famoso sgabello rustico con schienale “a colonna vertebrale”, o nelle foto in cui le modelle interpretano e assecondano movimenti plastici. Un’architettura e un’estetica “sensuali”.
Pilota di aerei e fotografo
Così come diventare pilota di aerei (la passione futurista) e possederne sette. Non tanto per volare, cioè spostarsi, ma per fare acrobazie (disegna anche due aerei “acrobatici”). Il tutto ha a che fare con la dimensione tridimensionale del cielo, con l’esplorazione dello “spazio”.
O diventare fotografo, in un tempo in cui non è scontato il legame tra la fotografia e l’arte. ”Il Messaggio dalla Camera Oscura” (scritto nel 1943 e pubblicato nel 1949, oggi riedito) ne è la conseguenza, come lo sono le migliaia di scatti, alcuni dei quali ora esposti a Rivoli.
Carlo Mollino, figlio d’arte
Figlio di Eugenio, ingegnere progettista dell’ospedale più grande d’Italia, le Molinette di Torino e di altri numerosi edifici cittadini, Carlo si laurea alla Regia Scuola di Architettura di Torino ed entra nello studio paterno.
Anche il padre ama la fotografia, il volo e l’architettura, e questo ne indirizza gli interessi. Con gusto surrealista disegna la Casa Miller (1936) e la Casa Devalle (1939) e inizia il suo percorso fotografico. Definito nel 1945 come uno degli architetti italiani più internazionali, dal 1949 insegna alla Facoltà di Architettura e l’anno successivo partecipa a una mostra itinerante in undici musei americani.
Nel 1954 progetta la “Nube d’argento”, veicolo espositivo per l’Italgas e poi le sue vetture e i suoi aerei. Nel 1960, infine, sistema l’alloggio in via Napione, oggi Museo Casa Mollino. “Ogni opera d’arte nasce dall’humus attuale…” diceva, e non si possono non sentire gli echi della Secessione Viennese, che quelle parole ha scritto in caratteri d’oro sul suo monumento-simbolo.
Costruttore di modernità
Il Museo Casa Mollino di Torino, fondato da Fulvio e Napoleone Ferrari, ha quindi pensato di dedicare alla figura dell’artista-architetto una serie di mostre per ridefinirne il ritratto. Ecco di cosa si tratta.
Si comincia con l’Archivio di Stato (“Carlo Mollino architetto. Costruire la modernità” piazzetta Mollino, fino al 7 gennaio 2007). È la storia professionale di Mollino, attraverso progetti, fotografie e plastici, conservati alla Facoltà di Architettura. Quarant’anni di lavori (dal 1933 al 1973) che mettono in evidenza il suo percorso, la “contaminazione” con le arti figurative e con gli ambienti della città industriale.
Alenia Aeronautica, leader mondiale del settore aeronautico e sponsor della mostra, espone un modello in scala 1:4 di un nuovo dimostratore di velivolo senza pilota, il “Mole-lynx”, sviluppato a Torino, come omaggio al “Mollino dei Cieli”.
Carlo Mollino: la passione per i mobili…
Poi la GAM (“Carlo Mollino, arabeschi”, via Magenta 31, Torino, fino al 7 gennaio 2007) il contenitore più legato alla sua epoca architettonica.
Mobili-passione. Dal tavolo “con le vertebre” progettato per Casa Orengo (1949, Brooklyn Musem di New York, battuto all’asta da Christie’s a quasi quattro milioni di dollari) alla scrivania particolare (Centre Pompidou di Parigi).
La scrivania a cilindro con serrandina scorrevole (1946) o la poltrona reclinabile in acero con sgabello (1947); un vero gioiello curvilineo.
Proprio il primo tavolo, detto Arabesco (che dà il nome alle mostre GAM e Rivoli), è un mobile particolare perché costruito in compensato curvato e traforato, con due piani curvilinei di cristallo che, per alcuni, richiamano il linguaggio di Aalto, di Mackintosh, di Gaudì. Eppoi quel processo per la curvatura a freddo del legno è stato da lui brevettato e chiamato “barocco torinese”. Da notare che quel tavolo è stato rielaborato per la casa del suo amico Giò Ponti e per la Casa Editrice Lattes di Torino e attualmente fa parte della collezione “Maestri” di Zanotta (www.webmobili.it).
… e la passione per le auto
Auto-passione. Dalla Bisiluro, che corse la 24 ore di Le Mans nel 1955 all’ “Auto da record”, progetto che la ditta Stola ha realizzato sulla base del “gesso” di Mollino. Auto lunga 5295 mm, larga 1957 mm, alta 836 mm, che assomiglia ai bolidi improbabili che nel deserto dell’Arizona battono i record di velocità su terra (sulla carta, avrebbe dovuto raggiungere i 630 chilometri all’ora).
Qui, gli “arabeschi” molliniani inducono a riflettere sulle “manie distrattrici” dell’architetto, dalle evoluzioni sulla neve a quelle nel cielo.
La mostra presenta opere che provengono da collezioni private, la più completa delle quali appartiene a Bruno Bischofberger da Zurigo. Inoltre, espone alcuni modelli di edifici e interni realizzati dalla Facoltà di Architettura dell’Università di Miami, sui disegni dell’architetto, a volte eseguiti con entrambe le mani e la ricostruzione di una camera da letto degli anni Trenta con pareti di seta “capitonné”, cioè trapuntata.
Carlo Mollino, l’ossessione delle curve”
Infine il Castello di Rivoli (“Carlo Mollino, arabeschi”, piazza Mafalda di Savoia, Rivoli, fino al 7 gennaio 2007).
Non solo perché c’è il Museo di Arte Contemporanea. Rivoli è stata, all’inizio del Novecento, la villeggiatura di alcune grandi famiglie torinesi. E, fra queste, i Mollino. È qui, nella villa paterna, che il giovane Carlo ha preso confidenza con la macchina fotografica e con la camera oscura ed è qui che oggi tornano le sue immagini.
Foto di architetture e di interni (1934-1941) e fotoritratti, di femmine ovviamente, scattati in Casa Miller (primo studio privato di Mollino del 1936, in un alloggio di via Talucchi 43) come “Camera incantata” o “Il diavolo nel bicchiere”.
Poi le immagini dello sci anzi, meglio, del gesto dello sciare, una specie di pittura effimera su una materia affascinante che solo la carta fotografica può restituire. Infine, le immagini più famose, quelle dei Cinquanta-Sessanta. Polaroid dedicate a donne o, meglio, al corpo femminile, sintesi delle “curve” che hanno ispirato tutta l’opera molliniana.
Fantasia sfrenata nel Teatro Regio
Tuttavia, non ci sono solo le mostre. Se è vero che la città “irriconoscente” ha demolito la sua sede della Società Ippica torinese di corso Dante (opera dei Trenta, demolizione dei Sessanta) e che ha messo mano all’Auditorium e al Regio in tempi recenti, restano abbondanti le tracce del suo lavoro, solo a volerle cercare. A cominciare proprio dal Teatro Regio (piazza Castello) da tutti classificato come capolavoro, ma che forse non incontra giudizi così unanimi. Non è facile, infatti, capire la bellezza della sua forma, l’ironia che sottende, la grazia dei velluti rossi e di quelle luci che sembrano aurore boreali.
Costruito nel 1738 da Benedetto Alfieri in barocco, distrutto da un incendio nel 1936, il Regio viene affidato al nostro nel 1964. Che fare? Mollino si inventa un barocco contemporaneo, con pareti sinuose e mattoni a vista (come quelli guariniani di Palazzo Carignano) che richiamano le figure “curvose” delle cantanti d’opera. E riempie il tutto di velluti.
Lui la definisce: “una forma intermedia tra l’uovo e l’ostrica semiaperta”. Una forma curvilinea, sensuale e/o protettiva, introdotta da un foyer con rampe e passerelle sospese che non si vedono, però, dalla facciata porticata che dà sulla piazza. Una curiosità è la moquette sul viola, colore considerato iettatorio dai teatranti, perché quaresimale, il periodo proibito per le recite.
Dancing “firmato” di periferia
La Cancellata esterna è di Mastroianni, suo partner anche per il “monumento ai Caduti per la Libertà” di Torino, al Cimitero Generale, Campo della Gloria. L’Auditorium RAI (piazza Rossaro 15, 1952) appena riaperto, che nasce per dare una sede adeguata all’Orchestra Sinfonica Rai deriva dalla conversione del teatro Lirico di Torino, in cui ha suonato Toscanini. Anche qui, il tocco molliniano disegna curve e le ricopre di velluti rossi.
Il Dancing Lutrario (1959, via Strabella 3) è ancora una scommessa-provocazione. È lì, in semiperiferia, che Carlo disegna un ambiente da “favola”, quasi ritagliato sui sogni operai e della piccola borghesia del quartiere. Un ambiente “moresco”, con scale a chiocciola avvolgenti, lunghi corridoi, una grande sala con pavimenti in mosaico e pareti piastrellate, con le balconate a tende blu (come il cielo) le luci colorate e il palco per l’orchestra su un’ “isola rocciosa” circondata da onde.
Pare di vederli, il sabato sera, i bulletti alla Buscaglione e le ragazze di quartiere, un po’ “madamin” e un po’ “americane”. Non a caso, una scrittrice torinese di oggi, Stefania Bertola, ci ha ambientato un “Concorso per Sciampiste Emergenti” (“A neve ferma”, Salani). Poi la Casa-museo (via Napione 2) testimone ancora una volta delle idee dell’architetto.
Mollino, architetto libero da etichette
Merita una citazione l’architettura di montagna, che è in qualche modo collegata alla sua passione per lo sci. La famosa “Slittovia del Lago Nero” a Sauze d’Oulx (1947) ne è un esempio. Come lo sono la Stazione di arrivo della funivia del Furggen (1951). E poi la Casa del Sole e il Villaggio Quota 2600 (1947) al Breuil, proprio ai tempi in cui la stazione diventava Cervinia e ci andava Mike Bongiorno che, sfruttando il successo di “Lascia o Raddoppia”, si trasformava in un formidabile testimonial della località valdostana.
In fondo e alla lontana, Mollino è figlio dello stesso tempo di un altro grande artista torinese rompitore di schemi: Fred Buscaglione. Che, detto per inciso, si è ammazzato all’alba su un’auto che poteva ricordare la sua Bisiluro. Come diceva Fred, “che sventola!”. No, non l’urto finale, ma il lavoro di entrambi sulla cultura italiana degli stucchi e dei mandolini e sui loro seriosi sacerdoti.