François Marie Arouet è un nome poco lusitano. Non indirizza, non dà indicazioni, come farebbero, ad esempio, i nomi di Fernando Pessoa o di José Saramago. Tuttavia, il suddetto, che ai suoi tempi si faceva chiamare “Voltaire”, ha fondato le sue riflessioni filosofiche anche pensando a Lisbona e al suo tremendo terremoto del 1755. Lisbona come paradigma del destino umano. Eccolo dunque, il “lien” forte con la capitale portoghese. Nel “Poema sul disastro di Lisbona” (1756) Voltaire arrivava ad affermare: “… tutto è bene, mi sembra ridicolo quando il male è sulla terra e sul mare”. E il Candido (1759) così racconta della capitale potoghese: “…la terra trema sotto i loro piedi; il mare si gonfia spumeggiando nel porto e spezza le navi ancorate. Turbini di fiamme e cenere coprono strade e pubbliche piazze; crollano le case, i tetti si rovesciano sulle fondamenta, le fondamenta scompaiono; trentamila abitanti di ogni età e sesso son schiacciati sotto le macerie…” Ecco la fine del mondo, esclamava Candide!
La grande “scossa” del 1755
Sei minuti, il primo novembre, durante la Messa, magnitudo nove della scala Richter, onda anomala alta quindici metri. Certo, quel disastro fece enorme impressione al tempo, sembrava un “dispetto di Dio”. Tuttavia, rase al suolo, incendiò e allagò non l’intera Lisbona, ma il suo quartiere che si sarebbe poi chiamato “Baixa Pombalina”. Il perché è presto detto. Fondata dai Fenici come “Alis Ubbo” (cioè “Bel Porto”), diventata la romana Olissipo e a seguire Olissipona, Lissapona e Lisboa; la città fu poi conquistata dagli arabi (714) e riconquistata dal primo re del Portogallo (XII secolo). Ma, nonostante questi cambiamenti nel tempo, tutti (o quasi) si tennero lontano dalle terre basse in mezzo ai due speroni rocciosi e infatti, Bairro Alto, Chiado e Alfama ebbero danni minori. Dopo il terremoto (il primo studiato scientificamente, diede inizio alla sismologia), arrivò il Marques de Pombal, che razionalizzò la ricostruzione.
Dal terremoto, la “Baixa” del Marchese
Sebastião de Melo, Marchese di Pombal, Primo Ministro di Giuseppe I dal 1750 al 1777, il tempo del
disastro e della rinascita. “Seppellisci la morte e costruisci la vita”, pare aver detto, molto prima del “domani è un altro giorno” di Rossella O’Hara. In fondo, il Marchese dà ragione a Pangloss, il precettore tedesco di Candide, “..viviamo nel migliore dei mondi possibili”; anche da un male può venire il bene. Lo si vede a ragione nel suo quartiere. Le case sono costruite su uno scacchiere, con involucri rinforzanti e a una distanza tale da scongiurare l’effetto domino. Case antisismiche, si direbbe oggi, le prime della storia, testate facendo marciare la truppa per provocare vibrazioni. Basta prendere il vecchio tram numero 12 e salire al Castello di São Jorge (XI secolo, magnifica terrazza sulla città, sui tetti e facciate dell’Alfama) per rendersi conto di quella “toppa” alla città messa dal Marchese. Da Praça do Comercio (cioè dal fiume) al Rossio, è un susseguirsi di isolati squadrati che sembrano un tentativo di ordine rispetto ai “disordinati” quartieri confinanti. Una discontinuità, un diverso sentire urbanistico.
Gli immortali di Lisbona, sui mitici Tram
Ma veniamo al “meccanico” del titolo. Va letto come “ferro” o “del Novecento”, per indicare i mezzi di trasporto con i quali si può, ed è bello, visitare Lisbona. Il tram, dunque. Che qui abbreviano in “electrico” (da “carro electrico”). Si potrebbe esordire dicendo: “un’istituzione”, ma sarebbe banale. Meno banale ascoltare i sussurri di due personaggi che hanno fatto la storia cittadina. Dice Fernando Pessoa: “i sedili del tram mi portano in regioni lontane, mi moltiplicano la vita, la realtà, tutto. Scendo dal tram esausto e sonnambulo. Ho vissuto un’intera vita”. Sta parlando del viaggio urbano in generale, ma anche di un “electrico” particolare, il numero 28, quello che porta a casa sua, al 16 di Rua Coelho da Rocha (abitata dal 1920 al 1935, anno dell morte, oggi museo a lui dedicato). Ma a Pessoa, i tram, piacevano anche per motivi amorosi. Quando si innamorò della signorina Ophélia Queiroz, come racconta Antonio Tabucchi, “studiava il percorso più lungo da fare con Ophélia. Studiava i tempi dei tram per accompagnarla di sera quando poteva baciarla nei portoni”. Amore “maniacale” e finito male, ma connesso alla rete dei tram. Anche Amália Rodrigues, la grande interprete del “fado”, aveva la sua sui tram: “O primeiro eléctrico da rua” (il primo tram che passa) per lei, fa rima con “alba”. Un orologio meccanico, un rumore integrato al “soffio della città”.
“Eléctricos” piccoli, robusti e colorati
D’altronde, il tram e Lisbona sono in simbiosi. O, meglio, quel tipo di tram, che assomiglia ad un insetto colorato che si muove sculettando. Un interasse di solo novanta centimetri, raggi di curvatura al di sotto dei dieci metri, salite fino al 14,5% di pendenza, tratti a binario unico, passaggio in vicoli con ampiezza di soli quattro metri, dove nessun autobus può transitare (per esempio all’Alfama, sui numeri 12 e 28). Vetture del primo Novecento, con telaio in legno, ma con il lifting tecnologico dei nuovi motori nel 1994. All’epoca, alla possibilità di mandarli in pensione, si erano opposti tutti, preferendo una conservazione tecnologica. Esempio mirabile. Se, infatti, si cerca e si conserva il passato remoto, perché non conservare anche quello prossimo? Perché non si accetta il Novecento come il secolo più creativo della Storia?
I “numeri” su rotaie, per scoprire l’anima della città
Bene, tra i quartieri passati in tram, merita una citazione l’Alfama. Secondo José Saramago è un “animale mitologico”, un intrico di vie e case povere, dai panni stesi; un incrocio di odori e impressioni, croci e scalinate, fino al Mirador das Portas do Sol. Allora, il 28 parte da Largo Martim Moniz, alle pendici del castello, passa Graça, il belvedere di Santa Lucia, la Cattedrale romanica di Sé, poi la Baixa, sale al Chiado e al Monastero di São Vicente (patrono di Lisbona) al belvedere di Santa Caterina e corre verso la basilica Estrela, Campo Ourique e il cimitero di Prazeres. Il numero 12 parte da Praça da Figueira, si arrampica come un ragno in vicoli stretti, fa curve da “ottovolante” e attraversa le stradine dell’Alfama (São Tomé). Il 18, da Rua da Alfandega va verso il Palazzo Reale di Ajuda (quello costruito sopra l’accampamento di tende reali di Giuseppe I, dopo il terremoto) mentre il 25 corre da Rua da Alfandega a Prazeres.
Funicolari, funivie, ascensori. Dall’alto, le magie di Lisbona
Poi ci sono le funicolari. Addirittura la più vecchia d’Europa, costruita nel 1884 con motore a vapore e chiamata Lavra. Ora è elettrica, si trova in Avenida da Libertade, più precisamente al Largo da Anunciada, e va al Torel (Rua Câmara Pestana), cento ottanta metri per un gradiente del 25%. La Gloria (1885), sempre lungo Avenida da Libertade, collega Restauradores con il Bairro Alto, a San Pedro de Alcantara (265 metri, 18% di gradiente). Ma la più fascinosa è certamente la Bica (1892) che si arrampica lungo la via omonima, da Rua Sao Paulo a Santos al Largo do Calhariz. È quasi un ascensore condominiale, perché passa tra i panni stesi, i balconi, le finestre, discreta e invadente, una di famiglia.
Tanto da regolarci la vita, con i “bicani” al capolinea a chiacchierare e guardare di sottecchi i visitatori o a imbrattarla, pensando che graffito faccia rima con moderno. Le funicolari funzionano dalle sette del mattino fino alle 22.30 (alcune fino all’una).
Altra cosa è l’ascensore urbano di Santa Justa, in rua Santa Justa, nella Baixa. Sale di quarantacinque metri al Chiado, dove un tempo c’era il Monastero del Carmo. È un’elegante esercitazione “art nouveau” del 1902, quasi un “soprammobile” nella razionalissima città del Marchese. Come ascensore, merita una visita anche quello inserito nel monumento famosissimo (e di regime) agli “Scopritori” (i navigatori, gli esploratori) che sta a Belém. Si arriva quasi “in braccio” a Enrico il Navigatore e si ha una bellissima vista del Tago, del Ponte 25 de Abril, della Torre di Belém (Lista Unesco) del Monastero “dos Jerónimos” (Lista Unesco) magnifico esempio di architettura manuelina (da Manuel I, 1495-1521); un vero tempio alle conquiste del leggendario Vasco da Gama e al poeta della lusitanità Luis Vaz de Camões.