Galera a Puebla e ritorno nella capitale
Disperato, l’artista “mujeriego” (donnaiolo) lascia Città del Messico e se ne va a Puebla, in provincia, in cerca di pace. Trova lavoro suonando nell’antro di Doña Julia, un postaccio per malandrini, però la padrona non lo paga, lui si ribella e lei
assai amica della gente influente, visto il mestiere – lo fa sbattere in galera con l’accusa di furto. Morale: per quasi due anni Agustìn resta in carcere di giorno e la notte va a suonare nell’antro fino a estinzione del debito (!). Finalmente libero, il nostro personaggio torna nella capitale e trova da suonare la pianola al Salambò, un Cafè Familiar, appartenente alla signora Sofia Carral e a sua figlia Angelina Bruschetta, ventiduenne “joven rubia, divorciada”. E qui comincia un altro capitolo della vicenda umana di Lara.
Con il matrimonio (il primo…) le prime composizioni
Inizialmente Angelina non spasima per il nuovo arrivato, soprattutto quando “toca” boleros o tanghi, ma mentre il tempo passa e quando Agustìn suona altri ritmi, la passione comincia a sbocciare. E il 19 novembre del 1928 il matrimonio; ma a scanso di equivoci meglio precisare che l’artista non “attaccava il cappello”, datosi che poco o nulla riceveva per le prestazioni nel povero locale. Un matrimonio però insolito (come avrebbe potuto il nostro personaggio fare qualcosa di “normale”?).
Ritrovatosi in pericolo di vita a causa di una polmonite contratta durante un nuovo, brevissimo soggiorno nel carcere di Puebla, Agustìn e Angelina si uniscono in un affrettato sposalizio “in articulo mortis” che non fu mai registrato (e Lara mise sempre in forte dubbio). A fronte di nozze così incasinate, quantomeno fu pregiato il regalo dello sposo, la canzone “Imposible” (una delle sue più belle composizioni, cui poco dopo seguì “Orgullo”).
Finalmente: un pianoforte tutto suo!
Ma per comporre più comodamente ad Agustìn manca un piano, la pianola del Salambò è precaria, soldi ne girano pochi: “No hay problema”. Tale Vicente Godinez chiede al Maestro di aiutarlo nel “dar una serenata” (romantici questi messicani) un filino complicata. Non c’è che da caricare un piano su un furgone aperto, andare sotto la finestra della “novia” e lì l’artista comincia a cantare languidi canzoni “de amor”. Ma manca il piano. E a Vicente, che si dice disposto ad affittarlo per un giorno, Agustìn chiede – a saldo della sua prestazione – che sia affittato per un mese e, a serenata ultimata, lasciato a sua disposizione. Fatto l’affare, un ispirato Flaco libera in breve tempo un profluvio di canzoni: eccellenti “Mujer” (“mujer divina, tienes el veneno que fascina en tu mirar”) e “Rosa” (dedicata alla madre: ogni giorno Agustìn poneva una rosa davanti al suo ritratto). “Clavelito” e “Poco a Poco” sono gli altri suoi grandi successi in quel periodo di grande attività frenetica (il pomeriggio Lara suonava al Salambò, la sera nei cinematografi animando i film, a quel tempo ancora muti). E nascono anche i due primi boleri, “Reliquia” e “Nunca te olvidarè”.