Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Bogotà. Oro e Conquistadores

Stiamo per entrare nel mitico mondo dell’Eldorado. Una storia fatta di ardimento e sofferenze, che dal XVI secolo ha coinvolto generazioni di amerindi, di soldatacci conquistadores, arrivati da una Spagna da poco unificata sulla quale “non tramontava mai il sole”

Jimenez de Quesada, il fondatore

Un dipinto che ritrae Gonzalo Jimenez de Quesada
Un dipinto che ritrae Gonzalo Jimenez de Quesada

Con il miraggio di entrare in possesso di un enorme “jackpot” garantente castelli, titoli nobiliari e ricchezze, nella Spagna lasciata da morti di fame, i Conquistadores si misero in marcia (ma che tragica marcia: si trattava di risalire il Rio Magdalena, tra caimani e febbri malariche, giungla aperta a colpi di machete e frecce avvelenate) verso l’Eldorado. E vicino a Bacatà – un migliaio di chilometri nell’interno del territorio destinato a divenire il “Virreinato de Nueva Granada” o “Virreinato de Santafè” – il 6 agosto 1538 il Conquistador Gonzalo Jimenez de Quesada fondò Santafè (poi Santa Fe) di Bogotà (solo Bogotà dal 1819, all’ottenimento dell’indipendenza della Colombia da parte del Libertador Simòn Bolìvar).

Con la fondazione di Bogotà, Quesada (che non era il solito soldataccio, bensì un avvocato andaluso, cordobese o granadino, spedito da Madrid ad amministrare giustizia nel Nuovo Mondo) oltre a dotare di una capitale la futura Colombia (per estensione quarto Paese del Sud America, 1.141.000 chilometri quadrati, quasi quattro volte l’Italia, meno di cinquanta milioni gli abitanti) completava la colonizzazione delle terre a sud dei Caraibi (e la Corsa all’Oro) cominciata sulle attuali coste colombiane dai “colleghi” Conquistadores, Rodrigo de Bastidas (fondatore di Santa Marta nel 1525, primo insediamento spagnolo nel sud America) e Pedro de Heredia (fondatore di Cartagena de Indias, 1533).

Colombia, Paese difficile!

Un taxi in una via della città vecchia (Foto: Samara Croci)
Un taxi in una via della città vecchia (Foto: Samara Croci)

Ma i problemi per il viaggiatore che attualmente visita la Colombia non consistono nella meteorologia o in quello che sulle montagne lombardo-piemontesi è volgarmente chiamato il “banfone” (la quasi ansimante respirazione, soprattutto se sotto sforzo, ad alta quota). A preoccupare chi arriva a Bogotà, o quantomeno a creare una situazione psicologica definibile come “curiosa insicurezza” (di quel che può accaderti) o, se si preferisce, “insicura curiosità”, è il background, l’insieme di notizie che il viaggiatore ha accumulato nel tempo sulla Colombia. Notizie, tutte un filino negative. Vedi i “Cartelli della Coca” (Medellìn e Càli distano circa cinquecento chilometri da Bogotà) con i trascorsi disastri per il turismo dovuti agli atti terroristici contro aerei e alberghi da parte dei narcotrafficanti in lotta contro lo Stato.

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Vedi la consueta criminalità: fino al 24 febbraio 2009, Wikipedia definiva Cartagena “zona tra le più violente e pericolose della Colombia e del Sud America” (salvo poi smentirsi e mediante modifica e aggiunta della voce “sicurezza”, garantire il contrario; e così può confermare chi scrive, dopo un soggiorno in un clima di assoluta tranquillità). Vedi, infine, le vicende della guerriglia, dei sequestrati, di territori sfuggiti di mano al potere dello Stato e a tale proposito è opinione corrente tra i colombiani che quanto a caos politico e corruzione, alcuni miglioramenti si sono già verificati dopo l’avvento al potere del presidente Uribe.

All’aeroporto, cani “antibomba”!

Le luci di Bogotà (Foto: Samara Croci)
Le luci di Bogotà (Foto: Samara Croci)

Ciò premesso (e doverosamente evidenziato, sennò si va in giro solo per descrivere le rituali spiagge “mozzafiato” e le solite suites d’albergo 5 stelle) e problemi psicologici a parte, un salto a Bogotà non comporta più pericoli di tanto.

O quantomeno – come recitano canonicamente gli addetti ai lavori all’arrivo dei turisti – si corrono gli stessi rischi che si corrono in altre metropoli meno chiacchierate (sembra che, secondo statistica e in confronto a Bogotà, la percentuale di accoppati sia ben più alta a Caracas e soprattutto a Rio de Janeiro). Unico consiglio al visitante, non preoccuparsi più di tanto alla vista di misure di sicurezza a dir poco eccezionali.

All’arrivo è stranamente richiesto (di norma, superata la dogana, il viaggiatore procede senza sottostare a ulteriori formalità) di sottoporre bagaglio ed effetti personali all’esame di scanners e raggi X; la polizia è tanta e onnipresente, pattuglia e controlla vie cittadine e strade extraurbane; abbondano i cani, soprattutto i Terranova, condotti al guinzaglio da agenti in divisa non per mera cinofilia, bensì per stanare ordigni esplosivi (valido il loro lavoro, ammirato durante una simulazione organizzata per il cronista: il cane procede tranquillo e appena sniffa un potenziale pericolo avverte il compagno bipede, sedendosi a un paio di metri di distanza).

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(17/6/09)

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