“El mè amìs” Roberto mi invita a Fiera di Primiero a passare qualcuna tra le tante giornate della trascorsa “suite festaiola fineannesca” (una consumistica orgia infinita; tanto che scriverò alla ministra Brambilla suggerendole di scaglionare le ferie, rivoluzionando il calendario). E io accetto il suo invito. Premesso che il mio amico non si sarebbe mai vantato del mio “obbedisco” (anche perché preoccupato per la mia aficiòn allo Sprizz – per gli astemi, il veneto vino bianco, selz e correzione Bitter – appetto alla sua impossibilità di affrontare eccessivi stop nei bar) se anche ciò fosse accaduto il vanto sarebbe stato invero poca cosa. Perché convocare chi scrive nelle a lui care terre del Trentino (e più estesamente nel nord est del Belpaese) è come invitare un’oca a bere. I motivi? Tanti: la storia, la gente, la natura.
Nella absburgica (nonché Trentina) Fiera di Primiero
Eccomi pertanto a Fiera di Primiero, 710 metri sul livello del mare, sotto le Pale di San Martino (che, fosse solo per il nome, dominano pure San Martino di Castrozza) lembo orientale della provincia di Trento (a est, pertanto, già a Feltre, la mia adorata Serenissima Repubblica di Venezia) sulle rive del torrente Cismon (che fornì al Fascismo gli estremi per nobilitare un suo quadrumviro, e mi riferisco a “De Vecchi di Val Cismon conte Cesare” così nominato mentre governava il Dodecaneso ed ovviamente ignorava che la Buonanima l’avrebbe fatto fucilare).
A Fiera il Roberto è di casa, perché suo figlio Stefano a suo tempo pensò bene – nonostante potesse contare su un genitore big del turismo che gli avrebbe tirato la volata – che non era il caso di mettersi a creare e vendere posti al sole per sciocchi turisti da tintarella e tanto meno di diventare uno di quei tanti manager milanesi che al mattino si infilano in un gessato grigio dopodiché (anche se non soprattutto grazie a questa divisa ingannante i gonzi) inventano e propinano ai povercrist pezzi di carta bond, derivati e quant’altra cartaccia fottente ciò che uno ha risparmiato per tutta una vita, per poi scoprire che nemmeno gli serve per nettarsi il sederino.
Territorio amato, territorio preservato
Visto dunque che, come dicevo, Fiera (e con lei il Trentino) è un posto davvero giusto? Posto giusto perché absburgico – e non si corregga questa dizione, la usa pure il germanista Claudio Magris – dal 1363, dopodiché nel 1777 il principe-vescovo cedette i diritti alla a S.M.I. Maria Teresa a me cara, anche perché eccelsa benemerita di Milano (quantomeno più della Letizia Moratti). Vabbè, dal 1918 è in atto l’occupazione italiana, ma se gli indigeni sono bravi, capaci e dotati di ricca cultura e antiche tradizioni, ce ne vuole di tempo prima che il loro territorio sia guastato da genti diverse immigrate da altri lidi. Un posto tanto giusto (oltretutto vi si è sempre parlato un perfetto italiano, tutto il contrario del bergamasco, ma per fortuna anche diverso dallo slang romanesco della tivù nazionale) da aver attratto (e convinto a fermarsi) non solo il sullodato Stefano ma pure Alejandro, che di cognome fa Delaflor e viene (come diceva Mario Riva) “nientepopodimeno che” dal Perù
Chi ci viene, mette radici
No, lo Stefano al posto di giacca e cravatta (beninteso non scioccante! sennò il bancario vede lo sgargiante, dubita di te e se sei vestito sbarazzino ti nega il fido) ha preferito tuta e scarponi per insegnare a sciare ai figli dei sullodati manager (alcuni, frattanto, ma ahinoi non tutti, finiti in galera). E a Fiera il delfino del Roberto, invaghitosi (e preferendola alle meneghine manageresse in serioso tailleur) della Francesca, pure lei master di Telemark (o forse mi confondo con il Cristiania, è passato tanto tempo) “el ga messo su” (non la Botega della ben nota Mula de Parendo) bensì una bella famiglia. Due “putèi” (lo so, da queste parti la parlata è diversa, ma col venexian me la cavo e qui mi capiscono) la Valentina e il Roberto Jr. che fanno sbavare (e banfare mentre li rincorre su ghiacciate salite) l’avo mio anfitrione.
Dal Perù al Trentino, alla moda Quechua e Aymara
Una neo amicizia nata per caso. Ammirata una vetrina esponente abbigliamento dell’artigianato Andino (copricapo Chuyo, li usavano già gli Inca, Ponchos di calda alpaca e vicuña, variopinti golf disegnati) entro curioso nel negozio e previa presentazione in “castellano” apprendo che Alejandro, ritrovatosi a Fiera, ne ha apprezzato oltremodo il Genius Loci tanto che (anca lu, come Stefano) “gà messo su bottega”. Morale: sotto le Pale di San Martino si risparmia vestendo sempre più “al estilo” di Quechua e Aymara e il sullodato Alejandro (e non per il dinero) è felice di viverci. Fiera di Primiero, posto minuscolo assai ma centro organizzativo e punto di riferimento (lo dice il nome, la solita fiera di medioevali ascendenze) di altri comuni e località di una piana compresa tra le già lodate Pale, a nord, e a sud strapiomba verso Feltre e Bassano (con stop a comprare i fagioli di Lamon).
Un paese laborioso e dall’esistenza civile
Un posto in cui la qualità della vita eccelle e stavolta ho trovato d’accordo persino il Roberto (abbiamo fatto i conti assieme): a Fiera esistono più impianti sportivi che nella morattiana Milano (campi di Calcio, pattinaggio, tennis, pallavolo, basket, nuoto ovviamente al coperto, piste ciclabili, equitazione ecc. ecc). Qualità della vita nei servizi comunali, in quelli sociali, nei trasporti, nella scuola e negli asili (paghi per i pasti che l’infante consuma, mica prepaghi a fondo perduto). E da ‘ste parti il lavoro fa parte delle umane vicende, è nel Dna, te lo vai a cercare alzando le chiappe e non lo aspetti (e non solo perché fa freddo) nullafacendo nella piazza del paese (aspettando, invece di Godot, lo Stato). Chi cerca trova. E fu così che “circolando” (lo so, no xe trentìn, xe venexian) con due (altre) neo amiche, Barbara e Carolina, apprendo che entrambe, appena tornate a Fiera per le vacanze (una studia a Milano, l’altra in Spagna) hanno subito “preso su”, si sono cercate un lavoro e l’hanno trovato. Barbara passa le ferie lavorando all’ufficio informazioni turistiche. Mentre si discute sulle bellezze dell’universitaria Salamanca, Carolina mi serve deliziosi Sprizz. Civiltà.