Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Macchi-chef alla stazione di Faenza

Nella tappa ferroviaria Firenze-Forlimpopoli, Carlo Macchi protagonista assoluto: prima fa il merendero, poi mette in fuga il malcapitato progettista, casualmente incontrato, del famoso sottopasso della cittadina valdelsana (la sua). Scene a cavallo tra la gita scolastica e l'”Aereo più pazzo del mondo”

Macchi alla stazione di Faenza
Macchi alla stazione di Faenza

 

Scene da “Amici miei” nel viaggio di avvicinamento a Forlimpopoli del primo manipolo di pellegrini artusiani, partiti dalla stazione di Firenze: Sodini, Macchi, Ferraro, Guidobaldi, Phillips e il sottoscritto, naturalmente.

Il Macchi si presenta con valigia intonata al maglione e maniglie intonate al giubbetto. Ma soprattutto onusto di 3 kg di pane, 1 kg di affettati, 2 bottiglie di Franciacorta e sei calici. “È per fare merenda”, dice. Gli fa eco il Sodini con altre 4 bottiglie, tra cui una di champagne. Olè. Il vaudeville-banchetto principia nel salottino del vagone (sotto l’occhio della telecamera interna, da noi bellamente ignorata, e degli esterrefatti astanti) e prosegue alla stazione di Faenza, complice un’ora di ritardo del treno per Forlimpopoli. Sotto la pensilina deserta e battuta dal vento, mentre l’altoparlante annuncia che “è attivo un sistema di videosorveglianza” (forse è perché avevano visto il Macchi sfoderare la coltella da pane, scambiandolo per un feroce saladino), la pappatoria prosegue, complice il piano d’appoggio di una panchina.

Poggibonsi
Poggibonsi

Ingolosito, si avvicina un giovane viaggiatore che ci chiede di cambiargli i soldi per comprarsi un panino e viene immediatamente cooptato nel gruppo sibaritico. Presentazioni, convenevoli, bevute. Ed ecco il fattaccio: appreso che qualcuno è di Poggibonsi, l’ospite annuncia incautamente di essere il progettista del sottopasso ferroviario della cittadina toscana. Mal gliene incolse. L’espressione del Macchi muta. Diventa paonazzo. Gli va di traverso il panino. E mentre il poveretto tenta di svicolare, lui lo trascina in una interminabile discussione sul senso, la funzione, l’utilità dell’opera. Tema di palpitante attualità ed interesse per tutti. Dopo mezz’ora, come nel famoso film, l’ingegnere tenta il suicidio sotto il primo treno che passa, ma viene trattenuto a forza da Carlo, desideroso di proseguire la discussione. Dopo un’altra mezz’ora, il tapino finge che il convoglio in arrivo sia il suo e ci sale sopra a caso. Era diretto a Rimini, secondo i miei calcoli adesso è appena sceso a Klagenfurt.

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Che c’entra tutto questo con il Pellegrinaggio Artusiano?

C’entra, c’entra. Primo, per spiegare lo spirito. Secondo, perché la sfacchinata sta per cominciare ed è meglio non pensarci. Terzo perché il folklore non ha prezzo. Come il pane casereccio con la mortadella mangiato stanotte e innaffiato di champagne.

Non so se l’Artusi avrebbe condiviso l’abbinamento, ma a noi è piaciuto lo stesso. (29/03/2011)

 

(Dal blog Alta Fedeltà, di Stefano Tesi)

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