L’Ungheria è grande poco meno di un terzo del Belpaese con una popolazione di circa dieci milioni di abitanti. Come accade per i Paesi di non vaste dimensioni, si identifica nella sua capitale. Budapest non arriva ai due milioni di abitanti.
E come accade per i Paesi – e le loro capitali – dotati di tante tradizioni e folclore, una descrizione di Budapest e dintorni è irta di trabocchetti da evitare. Si rischia infatti di cadere nell’elencazione dei soliti luoghi (turistici) comuni.
L’Ungheria è nota per …
Se, ad esempio, nella prosa dedicata alla Scozia non possono mancare il whisky e le cornamuse; Sw si cita l’Olanda sono d’obbligo i tulipani e gli zoccoli di legno; nel caso della “Magyar Koztàrsasàg” ecco apparire gli abituali stereotipi. Prima di recarsi in un Paese è meglio conoscerne e pronunciarne correttamente il nome, nel caso dell’Ungheria è più opportuno glissare.
Altri stereotipi hanno per nome Csarda, Tokaj per proseguire con lo struggente non meno che romantico suono dei Violini Tzigani e il sapido Gùlash. Per il vitigno Tokaj, raccontano in Friuli, che fu portato in dote da una contessa Formentini per le nozze con il conte Batthyani. In effetti – a sostegno della tesi friulana – esiste un’uva di nome Fromint).
A proposito del Gùlash, piatto che più ungherese non si può, ecco la seguente minimissima guida. Naturalmente a uso e consumo di chi si recasse a desinare in Ungheria, a Budapest o sul lago Bàlaton. Per primo bisogna sapere che di si scrive “gulyàs”; secondo, viene servito come un brodo denso con pochi e minuscoli pezzetti di carne. Pertanto, appetto al nostrano Gùlash (da noi considerato un “secondo”) trattasi di un “primo piatto”, alias una minestra ancorché ben sostanziosa.
L’antica Pannonia
Ma Budapest è, ovviamente, anche e soprattutto altro, come accade alle metropoli ricche di storia. Siamo nella Pannonia dei latini e non è il caso di scomodare Tacito per ricordare che alla Roma imperiale faceva doppiamente comodo quell’immensa pianura. La “puszta” e i suoi cavalli, altro stereotipo turistico ungherese. Dicevo la pianura è ricca di prodotti agricoli e avamposto contro le invasioni barbariche. Ecco quindi la Budapest romana di nome Acquincum (il solo nome spiega che la località è ricca di acque termali. Qui è davvero d’obbligo una visita ai Bagni Gellert, nell’omonimo albergo dall’architettura evocante i grandi fasti dell’impero austro-ungarico.
Dopo le scorrerie di numerose tribù barbare sciamanti dal nordest europeo, i nomadi Magiàri del celebrato re Arpad giunsero in Ungheria nel IX secolo per occuparla e insediarvisi definitivamente. Per capire la grossa differenza tra questo popolo proveniente dall’Est e le genti confinanti, di lingua slava o tedesca, basti tentare di leggere la sua lingua. Il ceppo è ugrofinnico (dal che si evince che, unico e per di più lontano parente dell’ungherese è l’altrettanto ostico e incomprensibile idioma finlandese).
Dai Magiari ai “Ragazzi della Via Pal” di Molnar
Guerrieri fieri e orgogliosi – non meno che validi e fantasiosi sportivi. I meno giovani ricorderanno la mitica Honved e i successi della Nazionale del recentemente scomparso Puskas e Czibor. Gli ungheresi accettarono di unire la corona di Santo Stefano a quella asburgica soltanto “a pari condizioni”. Una prova della atavica incapacità dei Magiari di stare sotto padrone, peraltro già dimostrata nelle fiere lotte contro i Turchi, vedi la battaglia di Mohacs nel 1526. La rivolta del 1956 con l’Ungheria che, primo tra i Paesi dell’impero sovietico, si ribellò ai russi, incurante di scendere in strada praticamente disarmata contro moderni carri armati. Lo fece nel pieno della Guerra Fredda e fu abbandonata dal cosiddetto “Mondo Libero”.
Fortunatamente (ma forse perché, ahinoi, si trattava solo di “fiction”) meno cruente – e in questo caso fu un’opera letteraria a fare da stereotipo dell’Ungheria – furono le barricadiere battaglie dei “Ragazzi della Via Pal”. Quanti anni luce sono trascorsi dalla generazione che fremette per i teneri e valorosi protagonisti del racconto di Ferenc Molnar, all’attuale gioventù che assiste senza emozioni né pathos agli spot delle merendine e del computer (ma questa, direbbe Kipling, è un’altra storia).
Terra amata da Sissi e dagli Tzigani
A metà dell’Ottocento, più o meno contestualmente alla nascita dell’Austria-Ungheria, si univano i due antistanti municipi di Buda e Pest, divisi dalle acque del Danubio, per la nascita dell’attuale metropoli tanto cara alla sullodata imperatrice Sissi. I motivi di tanta “passione ungherese” provata dalla sposa di Cecco Beppe? Probabilmente – romantica com’era – alle severe regole e comportamenti della quasi germanica corte viennese (e alla militaresca concezione della vita da parte dello sposo) preferiva gli struggenti lamenti dei violini e i languidi corteggiamenti di conti e baroni più dediti alle romantiche conquiste di talami che di fortezze e guarnigioni.
Quanto al carattere degli ungheresi, semmai fosse mancato ancora un filino di allegria, inventiva, fantasia e buonumore, ecco aggiungersi al folclore locale quello tzigano (poco meno di mezzo milione di zingari, unica componente etnica non totalmente integrata).
Lingua ugro-finnica, spirito latino
La sera, nei ristoranti di Budapest e alla Cittadella (bello il panorama) l’allegria è spontanea e se qualche risata tardasse a spuntare ci pensano i vinelli del lago Balaton e i violini di suonatori dai variopinti costumi. L’estate, a somiglianza delle altre città mitteleuropee, anche a Budapest è festeggiata alla grande (il Danubio, attraversante l’Europa continentale, è un fiume “freddo”; non sono molti i mesi all’anno per goderlo) e per le strade, nei locali pubblici si respira quell’atmosfera “latina” che ha unito nei secoli, e non solo per coincidenze storiche, il popolo ungherese e quello del Belpaese (pure i colori delle due bandiere designano simpatie e affinità elettive tra l’Italia e l’Ungheria).
Da qualche anno, poi, a dimostrazione che gli ungheresi non sono soltanto inguaribilmente romantici ma sanno pure far bene i loro affari (sennò quel marpione di Ecclestone non sarebbe mai sbarcato in Ungheria) ecco il ferragostano Gran Premio di Formula 1, solitamente “ufficiato” nei Paesi ricchi e in quelli dal grande sviluppo economico.
Il 20 agosto, allegri festeggiamenti, religiosi e non, in onore di Santo Stefano, primo re di Ungheria. Per i meno pii e più scavezzacollo è stato invece riaperto lo storico “Moulin Rouge”, fratello minore dell’omonimo parigino: di giorno caffè, quindi vita notturna, con spettacolo, danze e minicasinò.
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