I luoghi turistici dell’India, specie in questi ultimi anni – con l’aumento esponenziale di visitatori che giungono da tutto il mondo – sono tanti e tutti apprezzati per la loro diversità e molteplicità di interessi culturali. Il vasto sub continente è un caleidoscopio di attrattive sensazionali: natura, architettura, città e paesi in numero pressoché infinito; e poi storia, tradizioni, religiosità, vita sociale, modernità. In India c’è tutto ciò che il viaggiatore che viene da lontano può desiderare vedere e conoscere. L’India è uno di quei Paesi che chiede di essere visitato almeno una volta nella vita.
I mille aspetti di una società composita e ricca di stimoli, finisce per soddisfare le esigenze di svago, conoscenza e spiritualità di chi ha scelto questa meta. Scelta che, per quanto concerne ‘dove andare’ e ‘cosa vedere’ pone notevoli imbarazzi, in previsione della partenza. Poi, consigliati da amici che ci sono stati o da organizzatori di vacanze, alcuni luoghi finiscono per scalare la classifica dei ‘must’. Così, tappe obbligate dei molti viaggi in India sono: il Taj Mahal di Agra; le cerimonie religiose e funebri di Varanasi, nelle quali si condensano gli alfa e gli omega della vita; i templi di Khajuraho. Ed è di questi ultimi che desideriamo rendere ora testimonianza.
Nel cuore dell’India
La città-villaggio di Khajuraho (qualche decina di migliaia d’abitanti) si trova nel distretto di Chhatarpur, a sua volta situato nella parte nord del Madhya Pradesh (il paese di mezzo) a poco più di 600 chilometri da Delhi. Non fosse per la celebrità dei suoi monumenti, Khajuraho, zona pianeggiante ed essenzialmente agricola, non avrebbe molto da offrire agli escursionisti. Ma ciò che ha da mostrare è di gran lunga una delle ‘preziosità’ dell’India; il complesso dei templi è stato infatti dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’Umanità sin dall’anno 1986. I templi di Khajuraho – il cui nome deriva dalla parola hindi khajur, che signfica ‘palma da datteri’ – oggi si trovano al centro di un paesaggio erboso, fiorito e con zone alberate. Molto diverso da come si presentava all’epoca dell’indipendenza dalla Gran Bretagna (anno 1947); allora la vasta area era semidesertica, con una vegetazione scarsa, quasi inesistente.
Quello che appare ai turisti in questi ultimi anni è al contrario un paesaggio ‘costruito’. Una specie di parco all’inglese con prati, fiori e alberi ornamentali; non ha molto a che vedere con il paesaggio originario della regione all’epoca in cui i templi vennero eretti, attorno al X secolo d.C.; quello che è certo è che i numerosi templi ospitavano una grande comunità di sacerdoti; i tipici giardini indiani all’epoca erano composti perlopiù da alberi, senza prati o fiori. I templi di Khajuraho vennero tutti edificati nell’arco di un centinaio d’anni, fra il 950 e il 1050 circa. Successivamente, la capitale del regno venne spostata a Mahoba, ma la città continuò a fiorire ancora per diverso tempo.
Khajuraho di 80 templi solo 22 in buone condizioni
Khajuraho era racchiusa da mura dotate di otto porte: ai lati di ciascuna si trovavano due palme dorate. In origine, all’interno della cerchia muraria, vi erano ben ottanta templi; al giorno d’oggi quelli che si sono conservati – alcuni in buono stato, altri con evidenti distruzioni parziali – sono ventidue. I monumenti sono disposti su un’area di circa ventun chilometri quadrati. Una delle principali ragioni dello stato di conservazione è che, al contrario di altre città dell’India settentrionale, i templi di Khajuraho non hanno subito attacchi o saccheggi da parte dell’uomo, nel corso dei secoli.
Oltre a rappresentare un esempio di architettura indiana medievale, i templi godono di grande notorietà. Questo proprio in virtù delle sculture erotiche con le quali sono decorati; una rappresentazione dello stile di vita tradizionale dell’epoca. I templi vennero riscoperti verso la fine del XIX secolo, quando alcuni dei monumenti erano oramai interamente nascosti dalla folta vegetazione.
Storia e religiosità
Gli antichi fondatori di Khajuraho asserivano di essere i discendenti di Hemwalti, la giovane e bella figlia di un sacerdote bramino che venne sedotta dal dio Luna mentre prendeva il bagno in uno stagno della foresta. Il figlio nato da questa unione si chiamava Chandrawaman, fondatore della dinastaia Chandela. Cresciuto nella foresta, Chandrawaman, una volta divenuto il capo, ebbe una visione notturna. Vide sua madre che lo invitava a costruire dei templi che avrebbero dovuto testimoniare, nei rilievi scolpiti e nei fregi, la vita di tutti i giorni. Dalle fasi delle guerre combattute alla rappresentazione delle passioni umane; compresi i desideri e le manifestazioni amorose di uomini e donne, divinità comprese.
È anche possibile, a tale riguardo, che i Chandela fossero seguaci del culto Tantrico che ritiene che la gratificazione delle passioni terrene sia un passo liberatorio verso il Nirvana (perfetta beatitudine). Perché abbiano scelto il piccolo villaggio di Khajuraho per la realizzazione di un’opera così complessa è ancor oggi oggetto di svariate interpretazioni e supposizioni. Una teoria sostiene infatti che i Chandela, grazie alla complessità della loro fede e ai molti aspetti della vita rappresentati nei templi, avrebbero scelto proprio la piccola Khajuraho (isolata e tranquilla) per farne il loro luogo d’elezione, a un tempo espressione di fede, sapienza e raccoglimento.
Le famosissime ‘sculture erotiche’
Va detto subito. La ‘cifra’ erotica delle sculture presenti a Khajuraho è di fatto molto modesta. Solo il 10% dei manufatti intagliati nella pietra sono specificamente di contenuto erotico. La grande maggioranza delle sculture ritraggono al contrario momenti della vita quotidiana e delle attività lavorative, oltre ché scene di guerra e di conquista. Le sculture all’esterno dei templi mostrano esseri umani e tutti i cambiamenti che avvengono nel corpo umano. Un’altra particolarità delle statue di Khajuraho è data dal fatto che quelle a sfondo erotico non sono presenti all’interno degli edifici o vicino alle rappresentazioni delle divinità; si trovano al contrario nella parte esterna del muro interno, quando i templi dispongono di due cerchie di mura intorno all’edificio principale.
La testimonianza della purezza delle divinità
Nel tempo, sono state formulate svariate ipotesi e interpretazioni circa l’antica creazione e la successiva notorietà mondiale di tali sculture. Secondo alcuni studiosi le statue contengono un preciso messaggio per i fedeli: per giungere al cospetto della divinità è necessario lasciare i propri desideri, accompagnati dalle pulsioni sessuali, all’esterno del tempio. Le statue testimoniano ancora che le divinità sono pure come l’atman (essenza, soffio vitale) non essendo preda di desideri sessuali né percorse da pulsioni carnali. Prima del periodo del Gran Mogol (dinastia imperiale seguita alla conquista islamica dell’India) i giovani vivevano in eremitaggio fino al momento in cui diventavano uomini; potevano così venire a conoscenza dei ‘fatti’ della vita proprio studiando le sculture dei templi di Khajuraho, unitamente ai desideri e alle manifestazioni terrene che le statue dei templi ritraevano.
Le sculture erotiche introducono, o meglio, sono una rappresentazione del Kamasutra, il cui fine dichiarato è quello di trattare dell’amore, che viene posto al terzo posto nella scala dei valori del trivarga; al primo posto vi è il rispetto di dio e della morale e al secondo la cura degli affari.
Meraviglie di un piccolo paese
Il più antico fra i templi (930-950) è quello di Lakshmana; l’unico che conservi la sua forma originaria. All’esterno mostra scene di guerra ed erotiche. All’interno rappresentazioni di Brahma, Lakshmi, Shiva; sull’architrave i nove pianeti e nella cella la statua di Vishnu con tre teste (leone, cinghiale, uomo). Fra i più antichi, in granito, vi è anche il tempio di Chausath Yogini, dedicato a Kali e alle sue 64 chausat yogini (donne ascete sue ancelle). Nel gruppo orientale, formato da cinque templi induisti e tre jaina, spiccano fra gli altri le 12 colonne scolpite che reggono il soffitto decorato del tempio di Ghantal (1148), mentre nel tempio di Vamana, Vishnu è rappresentato con l’aspetto di un nano.
Una gentile sorpresa riserba al contrario il tempio di Parsvanath, il più vasto dei tre templi jaina; uno dei pannelli interni scolpiti mostra una figura di donna che si trucca gli occhi. Infine, nel gruppo meridionale, che si trova a circa 4 chilometri da Khajuraho, vi sono i templi di Duladeo (XI secolo) dedicato a Shiva e quello di Chaturhuj, parzialmente in rovina. Negli spazi del primo prevalgono le sculture delle apsara e delle surasundari (ninfe celesti), mentre il secondo all’interno ha una statua di Vishnu alta 3 metri e una di Shakti con la testa da leonessa. Queste sono alcune delle ‘meraviglie’ del piccolo paese di Khajuraho, che si trova nel ‘cuore’ geografico dell’India e in quello pulsante dei moltissimi fedeli.
Il complesso dei Templi
Alcuni templi di Khajuraho sono dedicati a divinità giainiste, ma la maggior parte sono al contrario stati eretti in omaggio a divinità dell’Induismo (come ad esempio Brahma, Vishnu e alcune delle forme femminili di Devi). Spesso i templi venivano costruiti con un corpus centrale e quattro santuari minori ai quattro angoli del perimetro.
Questi santuari secondari si sviluppano notevolmente in verticale, con un gran numero di forme a guglia che creano una base appropriata per la guglia principale del tempio centrale.
L’insieme di guglie e pinnacoli, principali e secondari, danno ai templi di Khajuraho il loro aspetto esteriore unico. Lo sviluppo graduale in altezza, via via che ci si avvicina alla guglia più importante, richiama la forma dei picchi himalayani. Nei vari edifici religiosi dei tre gruppi (occidentale, orientale e meridionale) tra le centinaia di statue che li abbelliscono, ve ne sono alcune dedicate a divinità, a personaggi, a fatti o avvenimenti. Ad esempio nel tempio di Vishvanath (XI secolo) vi sono numerose apsaram (ninfe celesti) che danzano, tra le quali, famosissima, quella colta nell’atto di levarsi una spina dal piede.
Nel tempio di Parvati, all’interno c’è una statua della dea Ganga che cavalca un coccodrillo, mentre in quello di Chitragupta l’effigie in pietra di Vishnu mostra undici teste, tante quante sono le sue reincarnazioni. Nel tempio di Devi Jagadamba, dell’XI secolo, sulle pareti esterne risaltano figurazioni erotiche riproducenti l’unione degli dèi (mithuna) da cui tutto si genera: l’energia femminile (shakti) entra in rapporto con quella maschile. Il tempio di Kandariya Mahadev (1025) è il più vasto: 20 metri di larghezza, 23 di lunghezza, 31 di altezza. Sul suo shikhar (base portante) sono collocate ben 870 statue. Ricorrente è la raffigurazione di Shiva con il tridente (trishula) attorniato da ninfe celesti.