Israele e i suoi luoghi sacri. Cosa rappresentano per il pellegrino, il turista, il visitatore Cana, Nazaret, Betlemme, Gerusalemme, il Santo Sepolcro, il Muro del pianto? È un viaggio ricco di forti emozioni, superiori alle aspettative della gran parte dei visitatori.
Per il pellegrino il significato di “ricerca” oltrepassa qualunque scopo turistico, mentre per i tanti laici (o cattolici soft) la semplice “scoperta” stimola riflessioni profonde. Ed è proprio il rapporto tra un laico e i luoghi sacri della fede, in fondo, la vera sorpresa.
Veder materializzare per la prima volta questi posti leggendari, significa dare una fisionomia ai racconti d’infanzia imparati a dottrina. Scoprire che nomi avvolti dalla mitologia sono veri e reali che vibrano di una vita quotidiana che sembra inconsapevole.
Una statale taglia a metà un paesino affollato, senza attrazioni, un negozietto dopo l’altro di prodotti variopinti di consumo popolare: è Cana, il luogo delle nozze, dove Gesù esordì con il primo miracolo, trasformando ad uso della festa l’acqua in vino. Un villaggio arroccato sopra un monte, in Cisgiordania, in una delle varie fasce in cui si alternano i domini israeliani e palestinesi, è più volte indicato con delle frecce: Gerico, dove il cieco riebbe la vista grazie alla sua fede.
I paesi del “passaggio” di Gesù, cartoline immortali
Esiste davvero, e non solo nei fumetti infantili, anche il Lago di Tiberiade, che fu teatro della pesca miracolosa. Nel ristorante che vi si affaccia si mangia il pesce San Pietro, che prende il nome dall’apostolo più celebre, il quale in queste acque, prima di incontrare Cristo, faceva il pescatore.
A Cafarnao, sempre sul lago, sui resti della sua casa, si sono stratificati quelli delle successive chiese e il tutto è sovrastato da una struttura moderna, ad uso dei fedeli.
A Nazaret la basilica dell’Annunciazione è una stupefacente opera di un architetto italiano, Giovanni Muzio, costruita nell’intero arco degli anni Sessanta e accolta, allora, con critiche e polemiche. Si tratta invece di un’opera grandiosa ma rispettosa; articolata su più piani, ma incentrata sulla valorizzazione della grotta, al livello più basso, in cui l’Arcangelo Gabriele annunciò a una giovinetta del posto, Maria di Nazaret, la nascita di Gesù. Per ricchezza di materiali, di decorazioni, per opulenza ideativa, è stato detto che questa chiesa contrasta con la semplicità del luogo; ma la Chiesa, nella sua storia, ha spesso privilegiato la magnificenza esteriore al raccoglimento interiore, che resta comunque un’attitudine individuale. L’edificio ospita decine e decine di grandi opere d’arte provenienti da tutto il mondo e raffiguranti temi mariani; ampi mosaici sono firmati da artisti italiani, il principale da Salvatore Fiume.
L’emozione indescrivibile della Natività
A Betlemme (che oggi appartiene ai Territori palestinesi) al contrario, domina la semplicità e il senso del tempo. L’antica chiesa ortodossa, povera e ricca, con le colonne in pietra annerite dal fumo e l’altare tripudiante d’ori, sovrasta la grotta della Natività. Questa è un locale semibuio, spoglio ma denso di sentimento. Un altare indica il luogo della nascita del Bambin Gesù e alla sua base, nel marmo, del metallo dorato disegna il sole: è proprio lì, in quel punto preciso, che egli nacque, tra San Giuseppe e la Madonna, scaldato dall’asino e dal bue.
Fermiamoci qui per qualche osservazione. Si può credere o non credere, aver fede o non averla. Ma il richiamo storico è fortissimo: qui, in questo punto, lo si voglia o no, ha preso un indirizzo netto tutta la nostra storia, quella di ciascuno di noi, collettiva e individuale. Molti provano un’emozione al Louvre, davanti alla Gioconda, non tanto perché sia un capolavoro, ma perché è il quadro più famoso del mondo e vederlo dal vero, dopo mille diverse raffigurazioni, fa provare il brivido della celebrità. Che dire allora del marmo dov’è nata, duemila anni fa, la nostra civiltà? Toccarlo è un’emozione che da sola vale l’intero viaggio.
Dov’era la croce, la sepoltura di Cristo, fedeli rapiti
Stessa emozione al Santo Sepolcro, a Gerusalemme, dove le testimonianze storiche sono tante. Qui c’è anche il Golgota, l’altura dove avvenne la crocifissione che è compresa nella chiesa, al suo interno e alla quale si accede con una ripida scala; poi, nel centro degli spazi confusi e articolati dell’edificio, c’è il sepolcro, un angusto locale dove il marmo che copre la tomba si offre con assoluta semplicità al visitatore.
Vale lo stesso discorso di emozioni fatto per la grotta della Natività: che cosa comunichi un contatto così intenso, questo è un mistero che ciascuno deve cogliere, umilmente, filtrandolo con la propria fede, cultura e la propria sensibilità.
Un altro marmo è venerato dal popolo, forse di più ancora perché è accessibile senza code: si tratta del marmo posto all’ingresso della chiesa, sotto al Golgota, dove il corpo di Gesù fu deposto dopo la morte sulla croce. La gente s’inginocchia, si stende pancia a terra, lo tocca, lo bacia, in un crescendo di gesti che stanno su un sottile crinale tra fede e credulità. Le guide spiegano: quel marmo è un falso, ha sostituito quello vero nell’Ottocento. La gente non lo sa, o se lo sa fa lo stesso: è la forza del simbolo. Da qualche anno si è diffuso poi un nuovo comportamento: la gente appoggia sul marmo oggetti per i quali invoca la protezione divina: un paio di scarpe, un maglione, un giocattolo, anche il sacchetto della spesa pieno di frutta e verdura; e se ne va convinta di possedere una nuova reliquia.
Luoghi santi disputati per troppo amore
La basilica del Santo Seplocro è un incessante susseguirsi di testimonianze antiche e moderne, belle e brutte; è frequentata come un mercato da continui flussi di gente di ogni fede o credo, spinta da sentimenti mistici che si materializzano in rituali ai confini tra religione e superstizione. La compresenza delle varie confessioni sui luoghi sacri è testimonianza della complessità spirituale che aleggia ovunque.
A Nazareth la grande basilica è dei francescani. A Betlemme la stella della natività è di proprietà francescana ma è gestita dai greci ortodossi, che coabitano nella basilica con gli armeni.
I francescani hanno titolarità solo sull’altare della mangiatoia. Il Santo Sepolcro è il luogo più ambito e più coabitato: armeni, greco ortodossi, copti, francescani, etiopi e siriani si spartiscono spazi, altari, cripte, immagini: Sul Golgota, due cappelle contigue sono una ortodossa e l’altra cattolica. Visto che possedere le chiavi del Sepolcro darebbe un’innegabile supremazia alla confessione che le possedesse, cent’anni fa fu deciso di affidarle a una famiglia musulmana che, in quanto tale, è super partes, o comunque priva d’interesse. La rissa tra religiosi apparsa mesi fa in tutte le tv del mondo è la prova che il condominio è piuttosto turbolento.
Qui, le tensioni della guerra sono lontane
Israele, quello almeno offerto ai turisti, è un luogo tutt’altro che pericoloso, dove gli echi delle tensioni politiche e religiose sono lontani e non avvertibili. Può capitare, al massimo, di veder passare in autostrada una bisarca che trasporta un carro armato infangato; di notare delle telecamere-spia nei luoghi più frequentati; di imbattersi in coppie di poliziotti di guardia ai monumenti più “sensibili”.
Ma non si percepiscono inquietudini, anzi, si coglie un diffuso senso di sicurezza; e, se capita di incontrare un gruppo di soldati in divisa, il loro spirito assomiglia più a quello di una gita scolastica che a quello di un esercito belligerante; con i turisti, anzi, posano gioiosi e sorridenti per le foto.
Anche superare il muro di cemento che separa, come un bunker, Israele dai Territori palestinesi – Betlemme è in terra musulmana – non è un’esperienza né sinistra, né complicata, né carica di sospetto.
Israele, la storia infinita
Dalle tracce della presenza romana ai deserti scavati dal vento fino ai Kibbutz. Non si può cercare di capire Israele se non si conoscono gli avvenimenti e la geografia di questa terra. Un viaggio in Israele può avere molte chiavi di lettura oltre al misticismo dei luoghi della fede cristiana. C’è la presenza romana, che ha lasciato splendide testimonianze archeologiche, alcune in corso di recupero, come Beith Shean. Sembra un romanzo la storia di Massada, costruita con un’incredibile opera d’ingegneria da Erode il Grande come rifugio, alla sommità di una rocca isolata, poi diventata città di ribelli, che furono assediati e poi attaccati dai romani: ma piuttosto che farsi vincere, gli abitanti decisero per il suicidio collettivo. Era il 73 dopo Cristo.
È interessantissimo anche, semplicemente, l’aspetto naturalistico di un Paese che offre deserti scavati dal vento (Giudea) o dominati da montagne pietrose (Negev). In questo contesto il Mar Morto è un’esperienza unica da più punti di vista: quello naturalistico, appunto, visto che è salato, senza vita e posto nel punto più basso della terra, a quattrocento metri sotto il livello del mare; quello, diciamo così, balneare, poiché la curiosa alchimia delle sue acque dà anche a un obeso la leggerezza di un turacciolo; quello, infine, salutistico, visto che le proprietà dei suoi fanghi sono considerate la miglior cura contro fastidiose e diffusissime malattie della pelle.
Kibbutz, insediamenti del “socialismo reale”
C’è poi l’aspetto politico-sociale offerto dai Kibbutz, villaggi-comunità, d’ispirazione comunista (e pauperistica) dove non circola moneta e non esiste la proprietà privata, ma ciascuno vive dando il contributo del proprio lavoro e vedendosi restituire beni e servizi. Sono luoghi anche molto diversi tra loro, alcuni d’ispirazione religiosa, cresciuti attorno a una sinagoga, altri laici.
Tutti hanno strette regole di vita sociale, con un senso di austerità che limita al minimo i divertimenti. Una mensa per tutti, asilo, scuola, laboratori, spacci. Un clima un po’ cupo. Spesso strutture ricettive più o meno spartane, sono a disposizione di turisti nazionali e stranieri o di gruppi di pellegrini.
Immancabili, i “mercatini” della fede. Ma sempre Fede è
Gerusalemme, splendida città levantina stratificata nei secoli e avviluppata nelle sue complicazioni ideologiche, politiche, religiose, vede convivere etnie e ortodossie differenti, oggi in (apparente almeno) tranquillità. Gli ebrei ortodossi esprimono il loro orgoglio di popolo anche indossando gli abiti neri, le calze bianche, le palandrane squadrate, i grandi cappelli da cui scendono lunghi riccioli.
Al Muro del pianto si riuniscono per le sacre scritture e per la preghiera, che alle nostre orecchie suonano come una nenia, accompagnandosi con movimenti ritmici del corpo. Tutto questo non fa che aumentare il diffuso senso della storia e della tradizione.
La via Dolorosa che si snoda tra i vicoli del mercato fino al Sepolcro, cadenzata dalle quattordici Stazioni, è un luogo essenzialmente profano, dove si affittano le croci a chi voglia provare l’emozione della Via crucis fai-da-te, dove si offrono ceste ricolme di immaginette-souvenir, di madonne lacrimose, di sacre figure accompagnate da versi in rima in ogni lingua. Sorprendentemente kitsch le corone di spine incorniciate insieme al loro ineffabile “certificato di autenticità”.