Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Madrid con Fitur apre le fiere del Turismo nel mondo

Fitur 2017-moadrid2

Il Turismo Spagnolo dalla Casa de Campo a rischio bronchiti, ai nuovi padiglioni confortevoli senza problemi pleuritici. Visitatori paganti e disparità sociali. Eperienza fituriana, nel Sancta Santorum mangereccio del pabellòn dei Paesi Baschi.

Fitur stand-città Madrid

È un po’ che vado alla Fitur di Madrid. Per l’esattezza vi capitai per la prima volta un po’ di decenni fa, mi riferisco all’epoca storica in cui questa Feria del Turismo si officiava alla Casa de Campo. Preistoria, a tal punto che un’importante ‘figura’ del Turismo Spagnolo, quindi non più un pivellino (ma per me giovinotto) Carlos Hernandez, Lìder Maximo di Turespaña prima a Milano e adesso a Roma, commenta di non aver mai rischiato la pleurite non avendo mai presenziato (evidentemente ‘per limiti di età’, appunto di molto inferiore, alla mia) a queste prime edizioni della Fitur. E mi spiego. Alla bella (goyesca) Casa de Campo i padiglioni della Feria erano separati, privi di passaggi comunicanti al coperto, nel senso che per trasferirti da un padiglione all’altro dovevi attraversare, magari pure sudaticcio, uno spazio all’aperto che, in gennaio, a 750 mslm (altitudine di Madrid) e con la innevata Sierra de Guadarrama in bellavista a un tiro di schioppo, poteva risultare financo un po’ più ghiacciato della napoleonica Beresina. Da cui starnuti certi quando non possibili bronchiti. Alla ‘nuova’ Fitur, invece no, si passa tranquillamente senza problemi pleuritici tra i padiglioni pari e tra quelli dispari, mentre per trasferirsi dal pari al dispari i rischi di pleurite sono bassissimi (pochi metri di traversata all’aperto, invisibili le nevi della Sierra grazie a tante opere di muratura, temperatura un filino più alta grazie alle sigarette degli standisti usciti per una fumatina).

Fitur apre il defilé delle fiere turistiche

Fitur 2017-madrid-stand-cornamusa

La Fitur, dunque, inaugurante l’annuale defilé delle Fiere turistiche mondiali, alla quale seguono pertanto la milanese Bit (nemo propheta, non so se più valida dell’altra rassegna belpaesana, quella di Remmin/Rimini: sempre meglio stare italianamente super partes e non compromettersi mai…), dopodiché ecco la Megafiera di Berlino (secondo molti il meglio delle rassegne turistiche), indi il londinese WTM. Eppoi ci sarebbe anche lo yankee Pow Wow che ricordo ancora con affetto: che bello, già dalle ore piccole, diciamo l’una, p.m., si cominciava a bere come le spugne ma puritanamente, leggasi di nascosto (gli altri guai a saperlo) col risultato che le bottiglie di vino e di Bourbon apparivano e scomparivano a opera di standisti prestidigitatori. Alla Fitur, no, si beve e basta, laicamente, senza problemi religiosi (i citati ipocriti puritani che fanno ma nascondono e/o i cattolici che mediante grida proibiscono à gogò affinché, però, tutto rimanga come prima …).

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Inquietanti disparità sociali

Fitur stand-extremadura

Tutt’al più e, alla Fitur, come peraltro in tutte le altre Fiere, esistono inquietanti fenomeni di disparità sociale. Mi riferisco al fatto che il “popolo” nel senso dei visitatori paganti, i “paria” venuti per decidere ‘dove andare in quest’anno in vacanza’, si ritrovano nei pubblici spazi fieristici in lunga e abbrutita attesa anelando un ditino di vino in bicchierino di cartone o qualche briciola di Torta manchega. La “casta”, invece, i cosiddetti “addetti ai lavori” (ma mi faccia il piacere…) si ritrovano in spazi ça va sans dire privé, presidiato all’ingresso da gentile hostess respingente intrusi, dopodiché chi ce l’ha fatta a entrare magna & beve ”a lo grande”.
Per dirla col poeta (e andare al sodo di questa mia ennesima esperienza fituriana, nel Sancta Santorum mangereccio del pabellòn dei Paesi Baschi (imbucatomi alla ricerca del mè amìs Iñaki) ho fatto onore a, tanti, ‘pinchos’ (le minidosi di prelibatezze che nel sud della Spagna sono dette ‘tapas’ ), massime quelle di anchoa/acciuga e oliva (infilate in stecchino). Il tutto, sempre  ça va sans dire, “innaffiato” (brutto non meno che antico modo di dire, ma che rende l’idea) dal per me ottimo Txacolì (perché i bianchi son buoni se di ‘pronta beva’).

Pulpo A Feira alias A la Gallega

Fitur 2017

Eppoi, infrattato da Carlos, eccomi in Galizia (perché, caro amico, poche balle: se in Spagna vuoi mangiare e bere bene è il caso che resti nel nord, dopodiché, satollo e soddisfatto, vai pure a divertirti e ad assaporare cibi più decisi ma meno elaborati nella a me cara Andalusia…). L’atlantica Galizia, storica (fosse solo per aver dato i natali a Luisito Suarez, grande nerazzurro di una mitica Inter) terra dell’Albariño, magnifico non meno che ‘allegramente mosso’ vinito. Eppoi quel sempre tenero (ma come fanno?) Pulpo/polipo che anche stavolta ho pensato bene di onorare mediante reiterate e generose pappate stante la quasi impossibilità di prepararlo tra le mura domestiche. Ho infatti provato, svariate volte (oltre a doverosamente inserirlo nel mio dizionario gastronomico italiano/spagnolo/italiano) a cucinare questo prelibato eppur semplice mangiare (polipo bollito circa 45’ dopodiché tagliato a pezzetti, un filo d’olio, pimentòn alias paprika, sul tutto il sale grosso, indi servito su un letto di patate lesse adagiate sul doveroso piatto di legno…). Ma di cavarne fuori qualcosa di commestibile e sia pur lontanamente somigliante al cosiddetto Pulpo AFeira alias A la Gallega, manco a parlarne … da cui un ottimo motivo per fare un salto alla madrilena Fitur…

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