La fotografia e la Pop Art:
una mostra racconta un rapporto inscindibile
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia ha festeggiato da pochi giorni i suoi primi tre anni di attività (11 mostre principali, 15 collaterali per un totale di oltre 100 mila visitatori) e propone fino al 13 gennaio una delle sue mostre più riuscite, “CAMERA POP, la fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co.” Walter Guadagnini, curatore della mostra e direttore di CAMERA, è uno dei maggiori esperti di una corrente artistica esplosa negli anni Sessanta negli Stati Uniti e in Europa, per poi diventare un fenomeno globale.
“La fotografia è stata, per gli artisti Pop, non solo una fonte di ispirazione, ma un vero e proprio strumento di lavoro, una parte essenziale della loro ricerca”, sottolinea Guadagnini.
Fotografia e Pop Art: il body builder
La mostra prende avvio con un famoso collage “What is it that makes today’s homes so different, so appealing” di Richard Hamilton, considerata la prima opera Pop della storia. Un collage fotografico con il body builder, la televisione e altri simboli della società dei consumi dell’epoca: un’opera destinata a diventare un simbolo di un’epoca, quasi come la Marilyn di Warhol, icona assoluta dell’arte della seconda metà del XX secolo, presente anch’essa – in una serie da 10 del 1967 – in mostra a Torino. Le Marilyn di Warhol nascono infatti da una fotografia, come tutte le opere dell’artista di Pittsburgh, cosi come il Mike Jagger arrestato per droga rielaborato da Hamilton, o il Tommy Carlos con il pugno alzato di Joe Tilson. Significativamente nella prima sala, che è dedicata a quelli che potremmo definire “gli incunaboli della pop art”, Gaudagnini ha voluto due artisti italiani Schifano e Angeli che si ritraggono a vicenda in una serie di scatti che testimoniano l’attenzione che i due artisti hanno sempre conferito alla macchina fotografica. “Se dovessimo fare un podio degli artisti più importanti della Pop art – ha sottolineato Gaudagnini in occasione dell’inaugurazione della mostra – accanto a Warhol e Hamilton farei sicuramente salire Schifano”.
Il linguaggio pop negli oggetti di uso comune
Nelle altre sale, le opere esposte fanno emergere il tema degli oggetti di uso comune come soggetto del linguaggio Pop, ad esempio il libro d’artista di sette metri di estensione concepito da Ed Ruscha. “Every Building on the Sunset Strip” non è solo una documentazione sull’architettura di Los Angeles ma una riflessione su come la fotografia e il lavoro dell’artista possano decontestualizzare gli oggetti e gli ambienti comuni e renderli interessanti nell’opera d’arte. Più avanti il lavoro di Ugo Mulas che incontra la Pop art in occasione della Biennale del 1964 quando si assegna a Robert Rauschenberg il Gran Premio della Pittura e poi, fra il 1964 e il 1965, è a New York negli studi degli artisti Pop e in particolare nella Factory dove nascono alcuni celebri scatti di Warhol. Una quarantina di questi provenienti dall’Archivio Mulas, alcuni dei quali pressoché inediti, sono in mostra e raccontano – secondo Guadagnini – uno dei momenti più alti del rapporto fra fotografia e Pop art, dove documentazione e creazione si intrecciano, come spesso succede nel lavoro di Mulas.
Fotografia sensuale
Fra gli artisti presenti nella Sala V intitolata “Sexy”, per sottolineare quanto la sensualità e la sessualità abbiamo importanza nell’universo Pop, c’è anche Michelangelo Pistoletto con l’opera “Ragazza che cammina” del 1966 proveniente dalla collezione Intesa-SanPaolo. Poi ancora opere di Allen Jones, Brian Duffy, Mimmo Rotella, Gerald Laing (che lavora su un’altra icona Pop come Brigitte Bardot).
Eccezionale la grande tela elaborata da Robert Rauschenberg partendo da una foto scattata dal fotografo italiano Gianfranco Gorgoni che riprende lo stesso artista americano in piscina. Rauschenberg interviene con il suo stile, inserendo brani di immagini fotografiche tratte dai giornali e dalla realtà, dando vita ad un’opera dove pittura, fotografia e grafica si confondono in un’immagine stratificata.
Info: www.camera.to
Personae la grande retrospettiva di Elliott Erwitt
Elliott Erwitt è una delle icone della fotografia del Novecento: nato a Parigi nel 1928 da genitori russi emigrati, nel 1953 viene invitato a diventare membro di Magnum Photos direttamente dal fondatore Robert Capa. Nel 1968 diventa presidente della prestigiosa agenzia e ricoprirà tale carica per tre nomine. I suoi scatti in bianco e nero di Marilyn, Che Guevara, Sophia Loren, John F. Kennedy, Arnold Schwarzenegger sono entrati nella storia della fotografia e sono tutte esposte nella mostra ospitata dalle Sale dei Paggi della Reggia di Venaria Reale, appena fuori Torino, a cui non a caso è stato dato il nome “Personae”, fino al 24 febbraio 2019.
Leggi razziali, la fuga a Parigi e poi in america
Sui grandi personaggi del secolo scorso e anche negli altri scatti dove non compaiono personalità, Erwitt posa il suo sguardo ironico ma sempre pieno di empatia nei confronti dei suoi soggetti. A metà del percorso si legge una dichiarazione del fotografo diventato americano: “Grazie a Benito Mussolini sono americano. Ho vissuto in Italia fino a 10 anni, ma nel 1938 il fascismo ci costrinse a fuggire.” Erwitt che nasce Elio Romano Erwitz e trascorre i primi anni della sua vita a Milano, allude alle leggi razziali. La famiglia emigrò a Parigi, ma l’anno successivo è già a New York e poi a Los Angeles dove frequenta la Hollywood High School. Nel 1949 ritorna in Europa e viaggia e fotografa in Italia e in Francia.
“Erwitt, che oggi ha 90 anni, rimane molto legato al nostro paese” ricorda Biba Giacchetti, curatrice della mostra, che ha trascorso parecchio tempo con il fotografo per selezionare le opere da esporre in mostra.
Oltre alle celebri fotografie in bianco e nero, si è lavorato molto sulla selezione delle immagini a colori usate da Erwitt prevalentemente per commissioni di carattere editoriale e pubblicitario.
A distanza di decenni dal momento dello scatto, Erwitt ha compiuto un vero e proprio viaggio, durato mesi, nel proprio archivio a colori, analizzandolo con uno sguardo critico e contemporaneo. Da questo lavoro è nata una raccolta pubblicata per la prima volta nel 2013 in un volume edito da teNeues ed è stato la base su cui operare la selezione degli scatti a colori proposti alla Reggia di Venaria.
Ma le sorprese non si esauriscono qui, perché “Personae” – la più grande retrospettiva dedicata a Elliott Erwitt – si chiude con una sezione molto particolare ovvero il progetto che il fotografo ha firmato con lo pseudonimo di Andrèe S. Solidor, un suo alter ego molto irriverente e divertente.
Info: www.lavenaria.it/it/mostre