Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Guatemala, civiltà Maya e gioia di vivere

Tikal

Fiumi, foreste, vulcani e l’archeologia del passato, questo è il Guatemala. Ma come in tutto il centro America, le piacevoli scoperte di una giovane viaggiatrice mettono in risalto l’allegria e la vitalità della gente del luogo, orgogliosa della storia e delle bellezze del proprio Paese

Guatemala La città di Flores
La città di Flores

Per la seconda volta, dopo il Belize, mi immergo nel verde di un Paese stupendo, il Guatemala, con il cuore fatto di colline e rilievi morbidi; palme verdi e vallate piene di bestiame al pascolo mi fanno da compagne, pendii strappati alla voracità della boscaglia e coltivati a campi e fitte foreste tropicali si alternano. È un vero spettacolo, osservo i villaggi e qualche casa in muratura mentre il tassista ride, e la canzone che parla dei guai combinati da un ubriaco fa da sottofondo. Dopo più di due ore supero il cancello delle guardie al parco di Tikal; popolare meta turistica del Guatemala. è tardo pomeriggio ed ha appena smesso di piovere; tutti i turisti si sono diretti a Flores per la serata lasciando la visita alla mattinata successiva: in tutto il sito, durante le tre ore di camminata, incontro meno di una dozzina di persone. È magnifico: percorro sentieri lasciati sterrati, tra buche, fango e liane, e ogni tanto vedo sbucare un antico tempio, coperto di muschio. Tutto è in un armonia difficile da descrivere: nel silenzio, le rovine nascono dalla terra come un fiore sboccia dal suo ramo, con le radici ai piedi e le fronde per manto.

Flores, supermarket e case colorate

Guatemala

Sul far della sera sento strani movimenti sui rami. Alzo lo sguardo, e vedo una scimmia in cerca di cibo; mentre mi sforzo di fotografarla, quasi fosse l’unica, mi accorgo che sbucano qua e là gruppetti di animali, prima sospettosi, poi urlanti; il sentiero si tinge dell’arancione dei bruchi usciti dalle tane, e sulla scalinata di un tempio vedo il primo pizote, animale simile a un tasso, mite e tranquillo; ormai avvezzo alla vista dell’uomo, non si distrae nemmeno quando discretamente mi avvicino mentre si ciba. Un pezzo dopo il tramonto, il taxi mi attende sulla via per Flores; credevo fosse più vicina, ma mi ci vuole un’altra ora e mezza per raggiungerla. Il taxista mi spiega che il padre è originario della cittadina, e me ne descrive alcune caratteristiche: si tratta di un’isola, connessa alla terraferma per mezzo di un ponte. La sorpresa è grande quando arrivo: tutti i fast food, enormi supermercati in stile americano, gli enormi general store spariscono appena attraverso il canale. Flores è stupenda: bagnate dalla recente pioggia, le viuzze ciottolate risplendono sotto i lampioni; mi ricordano alcuni centri storici delle nostre vecchie città. Le casette colorate, dal giallo, al rosso, all’azzurro e rosa, si alzano l’una a fianco dell’altra tra la rete sospesa dei cavi elettrici; nessuna è più alta delle altre, tutto è raccolto, e perfino sull’unico Mc Donald’s non svetta l’onnipresente M, solo una discreta insegna in legno compare sulla facciata dell’edificio.

Un tuk-tuk targato Gato

 In viaggio sul tuk-tuk
In viaggio sul tuk-tuk

Non ci sono hotel, solo affittacamere. Trovo una stanzetta piccola e rosa, con un grande ventilatore vicino a cui appendo i vestiti zuppi; il ristorantino verso cui mi dirigo è la mensa di una scuola di lingue poco più avanti, raccolta e con ottimo cibo. Mentre attendo, mi fermo ad osservare le pareti di un giallo caldo coperte di mappe e offerte di viaggi per visitare il Guatemala , pubblicità di agenzie e gechi in cerca di un pasto; alcune ragazze scendono dalla loro camera e fanno esercizi di spagnolo attorno a un tavolo. Flores, come altre cittadine guatemalteche, è famosa per gli istituti linguistici e i corsi di spagnolo per studenti in scambio culturale o semplicemente in vacanza studio. C’è anche chi vi si ferma a lavorare per una stagione. La mattinata seguente è dedicata all’esplorazione del centro storico, con le sue chiese e la sua musica; dalle terrazze di quella che sembra una scuola, ragazzi di età diverse mi osservano, mentre alcuni ascoltano le lezioni, chi seduto, chi in piedi, con la luce fioca di una lampadina appesa al soffitto verde. In Guatemala i tuk tuk in  accompagnano rumorosamente la mia passeggiata trasportando turisti e lavoratori. Sono quasi tutti rossi, ma ognuno è personalizzato: mi rimane impressa la scritta “El gato” su uno di essi.

Livingston, acqua nel fiume e dal cielo

 Il Rio Dulce
Il Rio Dulce

Quando parto al pomeriggio non so ancora dove sarò diretta, ma mi fermo a Rio Dulce, come molti mi hanno consigliato. Dopo qualche ora di bus arrivo in una cittadina ridente e colorata, con la strada principale piena di negozietti e di turisti; non mi convince abbastanza da fermarmi per la notte, quindi dopo un rapido sopralluogo prendo il tour in barca che mi porta a Livingston, piccolo porto alla foce del fiume. Le nubi rapidamente scese dalle montagne scaricano sulla barchetta tutta l’acqua di cui sono capaci, mentre la schiena batte costantemente contro le assi di legno che fungono da sedile. Il fiume è movimentato dal vento e la pioggia battente non dà scampo: la mantella tirata fuori a strattoni dai bagagli non basta per coprirsi e l’unica cosa che importa è proteggere le fotocamere con qualsiasi mezzo, anche con sacchetti di plastica. Lo scrollo si placa, poi ricomincia per un altro paio di volte; ormai rassegnata, dimentico l’acqua e lo sguardo si perde tra le colline che rovesciano nel fiume il verde dei loro alberi, le rocce e le grotte.

Piccolo hotel “nursery”

Trascino la mia valigia sulla salita che dal porto conduce al centro della cittadina. Il primo hotel in cui entro, malgrado l’aspetto dell’esterno, si rivela lussuoso e senza stanze libere. Ormai fradicia, cammino sotto l’acqua fino a trovare l’insegna in legno di un piccolo hotel, al cui interno trovo una ragazza di cui non saprei dire l’età. Sta sistemando le coperture dei divani in quella che sembra più una sala di una reception e quando le chiedo se ha qualche camera libera si guarda attorno, spaesata. Dopo qualche minuto, ripresasi dalla defaillance, mi conduce al piano superiore dalla “padrona”. Entro in una stanza, la sua casa, di cui il letto occupa quasi tutta la superficie; sdraiato, un uomo in canottiera mi sorride, mentre una donna molto bella mi si avvicina e mi dà le chiavi di una stanza; di fianco al letto, un bambino appena nato dorme nella cassetta della frutta, la sua culla. La donna si scusa di non potermi accompagnare alla reception, e spiega di avere partorito poche ore prima; prende tra le braccia il suo bimbo e me lo poggia in grembo, mentre il cagnolino corre festoso ai miei piedi. Il pomeriggio passa ozioso, in attesa che smetta di piovere. Al primo raggio di sole esco ad esplorare i dintorni, e il luogo più curioso che vedo è una spiaggia fatta d’erba, non di sabbia, che si stende sotto un faraglione a picco sul mare.

Guatemala City, capitale a scacchiera 

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La mattina dopo parto per Puerto Barrios e dopo alcune ore di bus sono di nuovo in stazione; lascio la cittadina per dirigermi a Guatemala City, e un ragazzo tibetano, viaggiatore dall’ottimo spagnolo, mi fa compagnia chiacchierando mentre attendo di partire nuovamente. La tratta in bus è infinita e penosissima: la gente accalcata sui sedili che fa spazio a chi è in piedi, un sedile diventa lo spazio per due o tre persone. Accanto a me siede una ragazza con dei bambini che ripassano alfabeto e numeri cantando filastrocche, senza smettere per ore. Il caldo afoso e poi il freddo serale della zona montuosa non aiutano. Dopo sette ore sono finalmente a Guate; cerco un alloggio sulla Sexta, la via pedonale centrale, come mi hanno consigliato gli ufficiali in stazione. La mattina seguente mi sveglia la fame, insieme alla musica delle bande di scolari dei differenti istituti che festeggiano la riapertura dell’anno scolastico; tutto è in festa, e passeggiando osservo loro, le chiese, la Cattedrale, la fiera dei libri. Breve ma intensa, lascio alle spalle l’esperienza della capitale del Guatemala diretta ad Antigua, non molto distante.

In bus: pioggia battente e cioccolato

Guatemala

Il taxi mi porta in stazione, dove prendo al volo un bus colorato che si è già messo in strada, mentre un ragazzo carica il mio bagaglio. Un omone con un sombrero in testa e la sua signora dal vestito colorato siedono davanti a me; non ci sono fermate, solo l’aiuto autista appoggiato alla porta del bus lasciata sempre aperta che grida ad ogni angolo “Antigua, Antigua”. All’improvviso la strada è un fiume: una pioggia violentissima inizia a battere sui vetri, e in meno di un quarto d’ora le auto hanno le ruote quasi sommerse dall’acqua, mentre i rigagnoli al lato delle strada sono divenuti così grossi che a malapena si distingue il marciapiede. I tubi che per qualche strana ragione partono dai campi riversano litri di fango in strada, mentre la gente scappa da ripari improvvisati, ponti e scalinate, per correre sul bus. Salgono anche due ragazzi carichi di uno scatolone pieno di barrette al cioccolato; mentre uno le distribuisce ad ogni passeggero, l’altro urlando ne descrive il gusto unico, e dopo qualche minuto di discorso comunica il prezzo; chi è interessato le paga, gli altri le restituiscono al giovane che ripassa tra i sedili.

Antigua, all’ombra del vulcano

 Antigua
Antigua

Circa un’ora e mezza dopo sono ad Antigua, antica capitale del Guatemala; simile a Flores, ha un non so che di storico, e le immancabili pozzanghere con cui la città viene costantemente dipinta danno idea della piovosità media della zona. Il vulcano, suo simbolo, svetta tra nebbiolina e nuvole; l’atmosfera è umida ma piacevole, e le casette colorate rallegrano i vialetti ciottolati. L’arcata in muratura di un portone conduce al centro e alla sua chiesa, bianca e con le decorazioni di un giallo carico; donne con i vestiti tradizionali offrono tessuti o cucinano pannocchie. Tento di fotografare un gruppo di tre ragazze che vendono fragole sul marciapiede, mi piace il contrasto di colori tra i loro abiti, il grigio della strada e il cesto rosso, ma una di loro è visibilmente infastidita da altri turisti con le macchine fotografiche a portata di mano. Si difende lanciandoci contro le sue fragole, quindi capisco che è meglio lasciare perdere e mi allontano in fretta. Il mercato, colorato e vario, riceve i primi raggi del mattino nella piazza di Antigua. Cibi ed oggetti in quantità vengono stesi pazientemente sui banchi, come ogni giorno, mentre sfilo per strada con la valigia in mano ed un’ombra di tristezza nel cuore lascio il Guatemala. È sempre difficile rassegnarsi alla fine di un viaggio, anche se la consapevole brevità dell’esperienza, in fondo, è proprio lo stimolo che ci permette di viverne appieno ogni istante.

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