Prima ancora di stabilire la data della partenza, tu, persona mentalmente sana, hai già il mal da settimana bianca. Alla sola idea del freddo, della neve e dell’intabarramento ti si ghiaccia il pancreas. Poi compri ciò che serve e la tua psiche si infrange nello scoprire i prezzi esorbitanti di ogni singola “cosettina sociologica” e la perversione insita in ogni capo costitutivo dell’infinita attrezzatura.
Lo sci è uno sport da ricchi. Ma ai bambini piace la neve e quindi si va a fare la settimana bianca. Come negar loro tale infinitamente costruttiva esperienza? Le grandi domande sul senso della gita, sorgono nella tua piccola mente fin dal negozio di articoli sportivi, che di solito è un emporio invaso da creature antipatiche come la morte, atteggiantesi a campioni del mondo di sci, le quali spendono come se avessero trovato in metropolitana la carta di credito del sultano del Brunei.
Sette giorni da sciatore con il costoso completo da sci
Perché uno si deve comprare l’esosissima tuta da sci aderente che pare di carta velina (la moda vuole farti assomigliare a una salamella) e poi deve spendere altri cinquanta euro per la pantamutanda da mettere sotto i suddetti pantaloni e settantacinque euro per la magliettina sguiscia in super-ultra-microfibra?
Non si poteva, di grazia, congegnare delle tute magari di minor valore estetico, ma un po’ più pesanti, per esempio? Gli occhiali da sci da novantasei euro, una volta indossati, mostrano al di là delle lenti un mondo distorto, dall’inquietante colorito giallastro. È una cosa semplicemente orrenda essere circondati da una neve giallo-paglierino, punteggiata da quelle scope di saggina girate al contrario che sono gli sciatori in movimento.
Uomini e donne “scopa-di-saggina” giù per il pendio
Alcuni orrendamente magri, altri cadaverici in modo ripugnante e qui e là qualche sparuto e goffo soffice cicciforme, che ha più che altro funzione decorativo-consolatoria. Però che impressione, veder rotolare giù dal giallo pendio una scopa di saggina grassa!
Tutti si atteggiano a qualcosa, perché sciare, trascorrendo sette giorni da sciatore, vuol dire in qualche modo atteggiarsi. Osservarli mentre scendono con quella sicumera noiosa e ascoltare i loro discorsi allo chalet, fa venire voglia di comprare una casa al mare o magari di scegliere come animale da compagnia un orso polare antropofago.
I peggiori sono i cultori dello snowboard, il perverso monosci tipo skateboard che consente di sembrare ancora più boriosi degli sciatori tradizionali, nonché di fare cadute molto più rovinose. È scientificamente impossibile che tale sport sia spassoso. Si intuisce dalle facce di quelli che imparano e ancora di più da quelle degli esperti, i quali non si divertono per un cavolo, ma riescono ad assumere pose ancora più fastidiose di quelle degli sciatori con i due soliti sci al posto di uno.
Sette giorni da sciatore: dalla realtà al sogno
Alle nove sono tutti lì che sciano da ore. Ma a che ora si alzano quando sono in vacanza? E soprattutto come fanno a vestirsi così celermente, che tu alle undici del mattino sei ancora lì che ti affanni nel tentativo di allacciare gli scarponi, resi rossi dal sangue che esce a fiotti dai tagli sulle mani procurati dagli acuminati ganci di acciaio, brevettati dal marchese De Sade? Servissero poi a qualcosa, quelle calzature da Frankenstein.
Lo sanno tutti che la gamba te la romperai sempre sopra il garretto e quindi tanto varrebbe sciare con le scarpe da tennis avvolte in due sacchetti dell’Esselunga, i quali peraltro, opportunamente stesi, potrebbero anche fungere da occhiali, visto che sono gialli. Ma no, non si può. Gli sci, anch’essi taglientissimi, fino a qualche anno fa dovevano essere più lunghi di chi li indossava, ma adesso sono i mozziconi dei loro antenati: vengono definiti ultraleggeri. Se questi sono da ritenersi piume, quanto diavolo pesavano quelli in uso negli anni Trenta? Ma si usa ancora la sciolina? Tra il clangore del metallo e il fruscio dei pantaloni, che si slisano per lo sfregamento dell’interno coscia, si procede verso la sciovia.
Sette giorni da sciatore su e giù su sciovie e seggiovie
Qual è la ragione per cui qualcuno ha ritenuto comodo che essa non si fermasse, allo scopo di consentire la salita del passeggero? Dov’è insita l’ergonomicità di uno spuntone che devi prendere al volo, altrimenti rischi che ti rompa le corna?
Per ore vai in giro su quegli infernali aggeggi con addosso una caterva di tessuti antitraspiranti di fibre ultramoderne testati sugli astronauti della NASA, ma tu non sei in gita all’orlo esterno della Galassia, bensì in vacanza (vacanza?) in Trentino e passi il tempo a sudare nella neve color urina di cane anemico.
All’arrivo dell’imbrunire, approfitti dell’ultima corsa dell’impianto di risalita, non perché tu abbia la benché minima voglia di affrontare l’ennesima discesa, ma per ammortizzare lo skipass e tutte le spese fin qui affrontate, anche se sei conscio che ti sarebbe costato meno noleggiare lo Shuttle con dentro il pilota.
Sette giorni da sciatore con stress: dopo la neve, il “riposo”
Sconvolto e devastato approdi in albergo, dove la temperatura di aggira intorno ai 45 gradi centigradi, con buona pace del buco nell’ozono. Dopo tre minuti sei una mummia in un sudario. Allora cosa fai? Vai alla spa dell’albergo, dove ti sottoponi a quei bei trattamenti alla moda, che tanto rilassano e rigenerano. Sauna finlandese, percorso ugro-finnico, doccia siamese, massaggio drenante. Alla fine di tanta ricreazione, disidratato come un pompelmo spremuto, vai in stanza a fare la doccia e ti prepari per la cena.
Stravolto e accaldato, ti abbuffi di parmigiana di melanzane, caponata, cuscus di tonno e cassata, perché il cuoco è siciliano e non concepisce una cucina senza radici meridionali. È imperdibile una puntata al baretto per concludere la serata in società. La serata si esaurisce in quattro minuti, durante i quali ingurgiti un alcolico di produzione locale per poi correre ad accasciarti a letto.
Sette giorni da sciatore con notte da topi
Ma non riesci a prendere sonno. I motivi sono cinque.
Primo: neurologico. A duemila metri il cervello si ossigena poco. Gli altri ospiti dell’albergo ronfano. Non hanno quel problema e non perché abbiano a disposizione una scorta di ossigeno a te ignota.
Secondo: fisiologico. Soffri di dolori muscolari lancinanti, causati dall’abuso di attività sportiva.
Terzo: monsonico. In stanza c’è un caldo torrido e le tute da sci messe sui caloriferi ad asciugare, unitamente all’immarcescimento progressivo dei doposci bagnati, creano un clima da foresta pluviale del pianeta Mercurio.
Quarto: digestivo. La parmigiana di melanzane, innaffiata dal cordiale di erbe a ottanta gradi alcolici che hai sorbito dopocena, ustionandoti il cavo laringo-faringeo, ha preso vita propria e minaccia una causa se non la porti ad Aci Trezza prima di luglio.
Quinto: soRciologico. La notte stessa attraversi una profonda crisi esistenziale. Ti identifichi in una cavia da laboratorio, prigioniera in un labirinto con parti gelate e parti bollenti e devi passare dall’una all’altra fingendo di divertirti un mondo. Se gli scienziati non si faranno convinti del tuo spasso, sarai ridestinato ad altro esperimento e ti inietteranno il virus Ebola per vedere se ti piace più dello sci.
Problema: come fa un ratto sull’orlo della pazzia a mostrarsi esilarato, a esprimere tanta nevosa gaiezza?
Sette giorni da sciatore: The day after
Tutto si ripete il giorno successivo, nella stessa tragica sequenza. Sette giorni sette la tua condanna si dipana, in progressione biblica. L’arrivo del sabato (sarà un caso che le settimane bianche durino da sabato a sabato o la faccenda ha un collegamento con l’Antico Testamento?) ti vede raggiante.
All’alba del giorno benedetto dell’addio, raccogli tutta quella gran robaccia, la infogni senza cura alcuna nella valigia e torni in città, inalando con goduria monossido di carbonio a pieni polmoni. Dei tuoi sette giorni da sciatore racconterai di quanto ti sei rilassato e di come hai scaricato i nervi. Eviterai di sottolineare come tutto ciò sia avvenuto dopo – e rigorosamente dopo – il tuo ritorno dalla vacanza.
Al termine di una settimana o due di normalità, il mondo intorno a te non avrà più quelle raccapriccianti sfumature giallognole causate dalla deformazione ottica provocata dagli occhiali da sci. Eppure – cosa che va sottolineata – ti dispiacerà di non essere ancora lassù a soffrire, a sudare e contestualmente a congelare.
Una ragione logica non c’è, ma tu soffrirai, fosse solo pensando a tutti i soldi che hai speso. Ti farai delle domande e dovrai affrontare un tuo personale dramma interiore. Dopo una lunga e intima macerazione – la stessa che hanno subito i tuoi piedi nei Moon Boot – giungerà la risposta ai tuoi quesiti esistenziali ed economici e l’anno prossimo, per risparmiare, saggiamente andrai un mese alle Cayman.