Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Teodolinda: la Grande Regina e la Corona stretta

Teodolinda la grande regina Il Duomo di Monza

Nel Duomo di Monza, in una cappella splendidamente affrescata, si trovano i resti mortali di Teodolinda, regina di gran classe; a un passo da lei c’è la celebre Corona Ferrea. Storie straordinarie, le loro, che si sfiorano e si compenetrano

Teodolinda La Cappella
La Cappella del Duomo di Monza

Gloriosissima donna pratica, Teodolinda la Grande Regina si sapeva organizzare. Bavarese trapiantata in nord Italia, non scelse una città dove vivere, no. Lei la fondò. Vedova di un re, scelse e sposò un uomo più giovane di lei. Regina dentro e fuori, fece forgiare la Corona Ferrea, il diadema dei re.

Oggi questa sovrana la vedi dipinta nella cappella del Duomo di Monza che ospita il prezioso monile e il suo sepolcro di regina. Bionda, esile, elegante, sembra tutto eccetto ciò che era: una donna solida e forte, capace di modificare la realtà con la volontà. Quelle manine affusolate e bianche avevano la forza di plasmare le cose. E lei era una donna libera, devota ma libera, onorata ma libera. E bella. Il prototipo della “sciura” lombarda.

Dalla regina Baiuvara, ecco Modoetia

Famiglia Zavattari, Sogno di Teodolinda e partenza della regina alla ricerca del luogo ove erigere la sua chiesa, 1444, affresco e tecnica mista. Monza, Duomo, Cappella di Teodolinda. Foto Piero Pozzi
Famiglia Zavattari, Sogno di Teodolinda e partenza della regina alla ricerca del luogo ove erigere la sua chiesa, 1444, affresco e tecnica mista. Monza, Duomo, Cappella di Teodolinda. Foto Piero Pozzi.

Anzi, è più di un prototipo: Teodolinda è un archetipo, l’immagine di saldezza e indipendenza alla quale tutte noi dovremmo conformarci. Innanzitutto fondò la città di Monza. Su consiglio divino, ovviamente, perché, se fosse stato di altra natura, non l’avrebbe granché ascoltato.
L’agiografia racconta che a un certo punto apparve alla sovrana longobarda una colomba e le disse: “modo”, cioè “qui”. Lei le rispose “etiam”, che sta per “ok”. Ne venne fuori Modoetia, antico nome di Monza.

Una leggenda metropolitana, ovviamente, che però la dice lunga su questa donna per la quale si scomodava addirittura lo Spirito Santo. Teodolinda fa costruire una chiesetta, dove poi sorgerà il duomo e la dedica a San Giovanni Battista, da allora patrono di Monza. “La gloriosissima regina offriva a San Giovanni una donazione” dice Paolo Diacono, lo storico che stranamente divenne un suo grande fan. Nella sua “Storia dei Longobardi”, egli riserva un ruolo di primo piano alla sovrana, che per lui – e anche grazie a lui – diventa un’icona del suo tempo. In ogni caso è noto come “glorioso” sia sempre stato un aggettivo riservato agli uomini.

Agli uomini lo scettro, a Lei i destini del regno

Teodolinda Cappella di Teodolinda (particolare). Foto Piero Pozzi
Cappella di Teodolinda (particolare). Foto Piero Pozzi

Pia e modesta, fratricida quanto basta, Teodolinda era giunta in Italia al seguito del marito Autari, re dei Longobardi. Il marito muore quasi subito. “Morto Autari, i Longobardi, che si erano affezionati alla regina Teodolinda, non solo le permisero di conservare la dignità regale, ma la invitarono anche a scegliersi come marito l’uomo più indicato per fare il re”  racconta il nostro Paolo.

Così Teodolinda, regina che conosceva il suo ruolo e il suo potere, si sposa con il cognato Agilulfo, e lo fa diventare re, perché purtroppo allora le donne non potevano ereditare i regni maritali. Almeno esplicitamente.
Teodolinda governa al fianco del consorte e, siccome è cattolica, i Longobardi si convertono al cattolicesimo. “Agilulfo, dietro suggerimento di sua moglie Teodolinda, che era stata tante volte esortata per lettera da papa Gregorio a intervenire presso il marito, stipulò una pace saldissima con il pontefice e con i Romani.” Eccola che si mostra ancora, la sua indomita volontà.

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Teodolinda la Grande Regina: Un delitto per la ragion di Stato

Teodolinda Particolare degli affreschi nella Cappella di Teodolinda. Foto Piero Pozzi
Particolare degli affreschi nella Cappella di Teodolinda. Foto Piero Pozzi

Rimane vedova per la seconda volta nel 616, ma né il matrimonio né la vedovanza né tanto meno la maternità, mai le impedirono di decidere e di governare, cosa che fa al fianco del figlio Adaloaldo. Invece diventare suocera le crea qualche problema in più, giacché alla fine viene deposta dall’affezionato genero Arioaldo, consorte della figlia Gudeberga. Fatti i conti, la signora detenne il potere per quasi quarant’anni.

Le piaceva sembrare una donna pia e timorosa, ma quando a suo fratello Gundoaldo, in occasione della morte di Agilulfo, viene in mente di rivendicare la propria sovranità sui Longobardi, Teodolinda si prende la briga di garantire la successione al figlio e il fratello viene misteriosamente assassinato. Questa forse è una delle ragioni per le quali la devota regina non fu mai candidata alla santità.

Teodolinda la Grande Regina, fragile e forte, rispettata dai “Grandi”

Chioccia con sette pulcini, secolo VI e interventi successivi, Museo e Tesoro del Duomo
Chioccia con sette pulcini, secolo VI e interventi successivi, Museo e Tesoro del Duomo

Teodolinda non era tipo che si fa dare gli ordini, ma che li impartisce. Era la donna nell’accezione originaria del termine: era domina, anzi Domina, Signora con la lettera maiuscola. La sua immagine affrescata nella cappella del Duomo di Monza a lei intitolata la mostra fragile come una statuina di cristallo. Invece Teodolinda era una dama di ghisa, uno spirito molto vicino a quello forgiato dentro la Corona Ferrea, il diadema dei re. Il mondo di uomini in cui visse le tributò rispetto.

Papa Gregorio Magno trattava con lei da pari a pari, l’intellettuale Paolo Diacono diceva di lei “merita di essere la nostra regina”. Di mariti e figli si è detto. Teodolinda muore nel 627 a Monza e viene seppellita insieme a una chioccia d’argento con sette pulcini dagli occhi di ametista, attualmente esposti nel tesoro del Duomo di Monza e simbolo della città. Tutto ciò cosa porta a pensare? Che la chioccia giusta, messa nelle condizioni opportune, diventa un gran bel gallo.

Fra ori e gemme, anche un chiodo della Croce?

La Corona Ferrea, Museo e Tesoro del Duomo
La Corona Ferrea, Museo e Tesoro del Duomo

La Corona Ferrea è un monile antico, passato nelle mani – e sulla testa – di decine di uomini davvero importanti. Le sue vicende gli hanno conferito l’aura di amuleto potentissimo. Ma com’è fatta? Si tratta di un diadema costituito da sei placche in lega d’argento e oro, unite da cerniere ornate da gemme e da rose d’oro. Al suo interno corre una lamina di metallo che all’apparenza ha l’aspetto del ferro: si tratta del famoso chiodo della croce di Cristo che, in via del tutto miracolosa, non si è mai arrugginito. Questo perché in realtà la lamina non è di ferro e non è mai stata un chiodo in vita sua.

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Salta subito all’occhio come l’oggetto sia un po’ troppo piccolo per calzare sulla testa di un uomo adulto, a meno che i re del passato non fossero dotati di cranietti di poco conto, il che non pare, considerato che il solo Carlo Magno si dice fosse alto almeno un metro e novanta. In realtà le placche in origine dovevano essere otto, ma due erano scomparse durante uno dei molti spostamenti dell’oggetto, comunque prima del 1300. Nel 1345 la corona fu restaurata e da allora ha l’aspetto attuale, ma le dimensioni ridotte non impedirono a Napoleone di usarla per auto-incoronarsi imperatore.

Il santo chiodo di Sant’Ambrogio

Il santo chiodo, Museo e Tesoro del Duomo
Il santo chiodo, Museo e Tesoro del Duomo

Mai stato un problema, il diametro dei simboli. Per quanto riguarda l’inossidabile chiodo, esso non si è arrugginito perché non è di ferro, bensì d’argento. Cristo non fu crocefisso con chiodi d’argento. Probabile invece che il restauratore Bracciforte avesse inserito la lamina d’argento per rinforzare la struttura del gioiello. Sant’Ambrogio in ogni caso sosteneva che nella corona, la quale egli vide personalmente in occasione delle esequie di Teodosio da lui officiate, era inserito il santo chiodo, il quale in realtà, se mai c’è stato, stava in due pezzi accessori che si persero durante un viaggio a Bisanzio. In qualsiasi caso, perché si dovrebbe dare per forza torto al grande santo, togliendo mistero e poesia allo splendido manufatto?

Corona Ferrea, dal Golgota in Brianza

Costantino I, Elena e la Vera Croce
Costantino I, Elena e la Vera Croce

La storia della Corona del Ferro inizia sul Golgota, dove la regina Elena, madre di Costantino il Grande, trovò la vera croce di Cristo con i relativi chiodi. La croce fu lasciata dov’era, mentre i chiodi vennero in Italia. Uno di essi Elena lo utilizzò per confezionare un diadema da mettere sull’elmo del figlio, affinché fosse protetto in battaglia. Secondo alcuni storici la Corona Ferrea è il diadema dell’elmo di Costantino e quindi Teodolinda avrebbe poco a che fare con l’oggetto.

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La corona viaggiò, andando avanti e indietro da Costantinopoli, finché Teodorico il Grande la volle a Monza, dove egli aveva la sua residenza estiva. La tradizione invece vuole che papa Gregorio Magno donasse uno dei famosi chiodi, pervenuti a lui in modo rocambolesco, a Teodolinda per i suoi meriti religiosi e che la regina facesse forgiare la corona, inserendo all’interno il chiodo, battuto fino a diventare una lastra sottilissima.

Ambita da famose teste coronate

Il Sarcofago di Teodolinda
Il Sarcofago di Teodolinda

In ogni caso la corona rimase quasi sempre a Monza, spostandosi solo per andare a incoronare grandi sovrani. La usarono Carlo Magno e da lui in poi tutti gli imperatori del Sacro Romano Impero, tra cui Federico Barbarossa. Nel 1324 fu portata ad Avignone, ma vent’anni dopo tornò a casa. Fu posta sulla testa di Carlo V nel 1530 e su quella di Ferdinando I nel 1792.
Napoleone Bonaparte se la impose da solo nel 1805 e in quell’occasione disse la celebre frase “Dio me l’ha data, guai a chi me la toglie!”. Toltagliela, fu in seguito utilizzata dagli imperatori austriaci, ma quando l’Italia iniziò a lottare per l’indipendenza gli austriaci se la portarono a Vienna.

La restituirono nel 1866 e a casa Savoia nessuno se la sentì mai di indossarla, poiché l’oggetto ricordava troppo sinistramente la dominazione austriaca. Temendo che i nazisti si volessero appropriare di tale millenario simbolo di potere, durante l’ultima guerra il cardinale Ildefonso Schuster la trasferì in Vaticano. La Corona tornò a Monza nel 1946, nascosta dentro una cappelliera.

Ora e per sempre, accanto a Teodolinda

Cappella di Teodolinda (particolare). Foto Piero Pozzi
Cappella di Teodolinda (particolare). Foto Piero Pozzi

Singolare custodia per un oggetto da mettere in testa, il quale tornava in una cittadina da secoli famosa per la produzione di cappelli. Dalla nascita della repubblica il diadema sta chiuso dentro una teca di vetro che viene estratta da una cassaforte durante le non molte visite giornaliere. A due metri di distanza, circondati dagli affreschi che celebrano le sue imprese, riposano i resti mortali del fondatore della città, essere umano di sesso femminile.

È appassionante – almeno lo è per una donna – entrare nella cappella degli Zavattari e ammirare la Corona Ferrea, il diadema che incoronò Carlo Magno, Federico Barbarossa e Napoleone Bonaparte, pensando a questi uomini che ratificarono il proprio potere imponendo sul proprio capo il gioiello di una persona che, per dimostrare la propria autorità, non ebbe mai bisogno di indossarlo.

Info: www.museoduomomonza.it

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