I nativi dell’Alaska venerano e rispettano il “dio salmone” che fornisce loro nutrimento abbondante e sicuro in ogni tempo dell’anno.
Ecco i segreti di questa pesca miracolosa e della sua lavorazione, tipiche di questa terra pura e selvaggia.
Mitica terra dell’oro e delle corse con le slitte sulla neve, l’Alaska è un territorio coperto da immense foreste e circondato da acque purissime, nelle quali abbondano pesci e molluschi che il freddo rende particolarmente sodi e saporiti. Granchi giganti, i king crabs dalle enormi zampe; smisurati halibut dalla carne bianchissima e poi merluzzi, capesante, ostriche e altro ancora, fanno da base per una cucina che per fortuna prevede cotture molto semplici, perfette per valorizzare qualità e sapori del variegato pescato.
Balene più da “guardare” che da “mangiare”
A volte in menu anche la balena (di una varietà particolare, la cui pesca è però attentamente regolamentata) ma in genere si preferisce fare whale watching e limitarsi a osservare gli enormi mammiferi che si immergono e riaffiorano in una specie di danza incredibilmente aggraziata, punteggiata da alti sbuffi di acqua.
Nelle zone interne della regione prevalgono, com’è ovvio, la selvaggina, di grossa taglia come orsi e alci, e di piccole dimensioni come conigli e volatili. Poi, tra i cibi preferiti dai nativi, i pesci d’acqua dolce, i frutti di bosco abbondanti e spontanei delle foreste e il riso selvaggio, che è una graminacea e non vero riso.
Tragitti pericolosi, prima di deporre le uova
Tuttavia il re dell’Alaska è il salmone, un pesce anadromo, cioè un pesce che nasce nelle acque dolci dei fiumi e migra in alto mare. Qui trova l’abbondante nutrimento che gli serve per crearsi la riserva di grasso sufficiente per il lunghissimo viaggio a ritroso fino al torrente dove è nato e nel quale deporrà le uova; fase questa che ha inizio d’estate, periodo in cui i salmoni raggiungono la maturità sessuale. Ogni specie ha un suo percorso; per esempio il king risale il fiume Yukon per arrivare fino al lago Teslin, a ben quattromila chilometri di distanza e a seicentosettanta metri sul livello del mare. Un percorso in “salita” non indifferente! Non è un viaggio facile. Insidiati non solo dagli uomini ma anche da orsi, aquile e mammiferi vari che conoscono i loro percorsi tradizionali, i salmoni sono tuttavia così numerosi che si ammassano sotto il pelo dell’acqua in un enorme nastro argenteo e guizzante, dal quale di tanto in tanto si levano gli spruzzi provocati dai pesci che escono dal branco per poi rituffarsi. Una volta deposte le uova i salmoni, ormai sfiniti e con la pelle divenuta rossastra, si rifugiano nei tranquilli ruscelli dell’interno dove concluderanno il loro ciclo senza mangiare, fino a lasciarsi morire. Dopo cinque-sette mesi nasceranno gli avanotti; alcuni inizieranno subito il viaggio verso l’oceano, altri dopo alcuni anni, tutti fermandosi negli estuari per nutrirsi fino a raddoppiare o addirittura triplicare il loro peso, prima di affrontare le fredde acque del nord dell’Oceano Pacifico.
Alaska i magnifici “cinque”
Il salmone selvaggio, dalla carne squisita, soda e non grassa, è sempre stato per gli antichi abitanti dell’Alaska, i nativi delle tribù indiane, una fonte insostituibile di nutrimento e quindi di vita. Cinque sono le varietà che ancora si pescano in Alaska: Red King, il più grande e pregiato, perfetto per l’affumicatura; Sockeye, più piccolo e adatto per sushi e sashimi; Coho, simile a quello reale ma più piccolo; Chum o Keta, delicato ed economico, adatto anche per la conservazione; infine Pink, il più abbondante e versatile, impiegato soprattutto per l’inscatolamento. Le aziende di lavorazione sono poste proprio sulla riva dei fiumi per ricevere direttamente il pescato. I pesci vengono scaricati, selezionati per taglia, eviscerati e quindi sfilettati, decapitati o sezionati, a seconda della loro destinazione. In questa fase si estraggono anche le uova di salmone, grosse e saporite, che vengono subito trasferite presso le aziende che trattano questo delizioso “caviale”, qui davvero a buon mercato.
L’affumicatura è ancora quella tradizionale a legna, aromatica ma leggera, eseguita a basse temperature, a volte con l’aggiunta di spezie e aromi che colorano i filetti di giallo, rosso o arancio, senza tuttavia snaturarne il sapore.
Il cinquantadue per cento del pescato viene esportato in Giappone, ma la rete commerciale verso gli altri Paesi si sta ampliando e la disponibilità di salmone selvaggio è ora molto più abbondante, anche in Italia.
Alaska, la pesca sport nazionale
I pescherecci, numerosi e riuniti in consorzio, pescano con l’amo o la rete un bottino che è sempre abbondante, anche se i salmoni non sono più numerosi come una volta. Vi sono pescatori di tutte le età, perfino giovani donne e madri di famiglia, alcune delle quali possono essere il capitano della loro barca o fungere da marinai insieme agli altri membri dell’equipaggio; i bambini e i ragazzini si limitano a gettare le loro lenze nelle acque dei porticcioli per catturare i pesciolini che poi rivenderanno come esca ai pescatori di halibut. I pescherecci più grossi ospitano a volte turisti che vogliono provare l’ebbrezza di una battuta di pesca, da immortalare con foto ricordo. Parte delle prede vengono cotte a bordo subito dopo essere state pescate. Il pesce viene sfilettato, leggermente condito con sale e aromi quindi avvolto nella carta stagnola e cotto per pochi minuti alla griglia, giusto il tempo perché la carne cambi leggermente colore. A questo punto il pesce, davvero squisito, è servito con pane bianco morbido, verdure e patate cotte al cartoccio. Ma la pesca è diffusa anche tra gli sportivi che arrivano da varie parti dell’Alaska e da altri Paesi, a volte con le enormi navi da crociera che scaricano i turisti nelle cittadine della costa. Tra le mete preferite dai pescatori sportivi c’è Yakutat, tra Juneau e Anchorage, un luogo rimasto più o meno come ai tempi dei pionieri. I pesci pescati vengono man mano puliti e congelati e quindi sistemati in contenitori con ghiaccio secco per decollare con i pescatori dal piccolissimo aeroporto circondato dalla foresta e finire poi la corsa nel congelatore di casa. Chi volesse portare in patria il salmone acquistato può comunque procurarsi le scatole di polistirolo e il ghiaccio secco nei grandi magazzini e supermercati e confezionarlo in modo che sia possibile spedirlo come bagaglio.
Lo storico Pike Place Market di Seattle, negli USA
Fresco, affumicato o congelato, il salmone, come tutti gli altri prodotti ittici, è venduto nei negozi e nei mercati delle città dell’Alaska e degli Stati confinanti. Però il luogo dove l’acquisto è un’esperienza da non perdere è il Pike Place Market di Seattle, il cuore dello shopping alimentare della città, situato nello storico edificio dei primi anni del Novecento. Il mercato ospita centinaia di stand di carne, pesce, formaggi, ortaggi, fiori, artigianato e altro ancora; articoli che sono venduti dagli stessi produttori che ben volentieri fanno assaggiare quanto è stato messo accuratamente in mostra sui banchi.
Spettacolare la sezione ittica, con gli enormi granchi allineati sul ghiaccio, argentei salmoni di qualche chilo che sembrano ancora guizzare, sfilate di halibut simili a bianche vele. Tra gli stand, chioschi e punti-vendita di cibi pronti, bar e ristorante, il mercato vive una sua vita, ogni giorno uguale e diversa allo stesso tempo, perché può cambiare la merce o i produttori alternarsi, ma non cambia la vivacità di un ambiente che non è solo un centro commerciale ma una vera e propria comunità, praticamente autosufficiente. Infatti attorno al Pike Place Market c’è un dentista, un centro per anziani e per bambini, una clinica medica, un albergo, ristoranti, una locanda e altri servizi ancora. C’è persino un esperto di tarocchi!
Le antiche tradizioni dei nativi
Cultura e alimentazione in Alaska vantano una tradizione antichissima che è quella dei nativi; oggi vivono nelle grandi città ma anche nei villaggi delle zone delle foreste e dei ghiacciai. Gli abitanti dell’Alaska non hanno dimenticato le loro tradizioni, pur approfittando di alcune delle comodità della vita moderna, come i piccoli e un po’ malconci aerei, che imparano a pilotare già a sedici anni d’età. I velivoli hanno infatti sostituito i cavalli e vengono utilizzati per andare a fare la spesa, così come in città si usa l’automobile. Tra i nativi è molto antica la tradizione del tabacco poiché già prima dell’arrivo degli Europei le tribù Tlingit e Haida ne coltivavano una varietà locale nella zona prossima a Sitkha. Non lo fumavano, ma lo succhiavano dopo averlo mescolato con lime e cenere. Dopo l’introduzione di quello industriale da parte dei Russi, i locali cominciarono ad annusare il tabacco o a trasformarlo in piccole palline morbide che tenevano tra la guancia e la gengiva; lo chiamavano wash at cioè cheek thing in inglese (cosa da guancia). Da qui a chewing it, il movimento che si faceva per succhiare il tabacco, e a chewing gum il passo è stato veramente breve.