Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Siena si mette in “palio”

Siena

Una splendida città, fiera e ferocemente indipendente, decisa malgrado i tempi a conservare la sua "senesità". Vissuta e "spiegata" da un senese

Siena Fontebranda, citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia
Siena Fontebranda, citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia foto LigaDue

Siena è una città che per mille anni è stata speciale e che, ritenendosi tale, potrebbe cessare di esserlo in un solo decennio. “Senesi, gente vana“, diceva Dante riferendosi alla loro ostinazione nell’inseguire il sogno di se stessi: il sogno gotico, il sogno di una grandeur perduta nei fatti ma ancor oggi dolcemente cullata e blandita tra le mura urbane, il sogno di una senesità – ovvero più di uno stile di vita, dovremmo dire una filosofia dell’esistere – impermeabile non solo agli eserciti nemici, in virtù della particolare predilezione della Vergine verso la Sena Vetus, ma anche alle ben più insidiose lusinghe della civiltà dei consumi, della globalizzazione e dell’appiattimento delle differenze. “E perderagli più di speranza che a trovar la Diana…“, aggiungeva il sommo poeta, irridendo ad uno dei più solidi miti senesi, quello della Diana appunto, misterioso fiume sotterraneo di una città storicamente assetata d’acqua, che scorrerebbe nelle viscere della terra e si manifesterebbe solo attraverso il rumore degli scrosci udibili in alcuni punti topici del centro storico.

Siena intra-moenia

Siena Palazzo Spannocchi
Palazzo Spannocchi foto LigaDue

Gente vana, appunto. Strana di sicuro, se il metro della normalità è quello di tutti gli altri, cioè i non senesi. Categoria universale che, nell’accezione locale, riunisce tanto americani, asiatici, milanesi e siciliani quanto gli abitanti di Monteriggioni, borgo a nove chilometri da Siena. Anzi, perfino quelli domiciliati in periferia, che nella mentalità del senese-senese restano “contadini”. Un’espressione priva di dispregio, ma satura di significati: il contadino per definizione sta in campagna e la campagna finisce dove finisce la città, ovvero aldilà delle mura. Un sillogismo perfetto, insomma. Due mondi abissalmente lontani, separati tra loro dal diaframma, non solo psicologico, che divide la città murata dal resto. “Levate i contadini e fate un censimento: non arrivate a cento” si cantano tra loro i “popoli” delle contrade. Come dire: tra voi di senesi veri ce n’è rimasti pochi.
In virtù di quest’intima convinzione di essere diversi (e, sotto sotto, migliori), i senesi sono disposti ad accettare senza scomporsi qualunque dileggio, qualunque punzecchiatura. Per esempio sanno di essere i padroni, in senso letterale (non a caso il tema della “privatizzazione” del Monte oggi agita gli animi più di qualunque altro argomento), visto che le quote di maggioranza del capitale sono detenute dalla provincia e dal comune, di una delle più potenti banche italiane, il Monte dei Paschi. Ma a loro non importa un fico secco delle strategie di espansione, del mercato globale e delle logiche della finanza: vogliono solo che il “grande babbo” resti senese e continui a nutrire i suoi figli (il 66 per cento delle migliaia di dipendenti sparsi per il mondo è senese ed aspira a rientrare in sede a fine carriera), come accade da sempre. Un principio incrollabile per il quale si è perfino disposti a sentirsi dire che Siena “non è una città di banchieri, ma di bancari”.

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L'incredibile pavimento del Duomo di Siena
L’incredibile pavimento del Duomo di Siena

Sulla “balzanità” dei senesi del resto (e la balzana, cioè lo scudo bianconero a fascia orizzontale, è non a caso l’emblema della città) gli aneddoti si sprecano. “Avete Santo Sano e v’ammalate, avete San Savino e matti siete, avete San Crescenzio e vu’ calate, avete San Vittore e vu’ perdete: o che razza di santi vu’ c’avete?”, cantavano i fiorentini nel medioevo alludendo ai santi patroni senesi e alle stranezze del carattere degli avversari prima della caduta della Repubblica del 1555, quando la rivalità militare tra le due città era fortissima. Una rivalità, sia chiaro, che c’è ancora. Anche se spesso è a senso unico, visto che a Siena tutto ciò che sa di fiorentino è come fumo negli occhi ma non viceversa. Racconta la leggenda che negli anni ’30 il conte Guido Chigi Saracini, fondatore della prestigiosa Accademia Chigiana e senese doc, all’offerta di includere i suoi sconfinati possedimenti vitivinicoli chiantigiani nell’allora nascente consorzio del vino Chianti Classico avrebbe risposto: “Io coi fiorentini? Mai!”. Autogol economico, ma trionfo della coerenza per una scelta di cui i viticoltori di oggi, probabilmente, piangono lacrime amare. E’ invece realtà il fatto che i tifosi del Siena Calcio, passata l’anno scorso dalla serie C alla serie B, prima del trionfale accesso alla serie A di quest’anno, si siano dispiaciuti moltissimo del fallimento della Fiorentina e della sua rovinosa caduta in C2: il massimo per loro sarebbe stato poter finalmente affrontare gli storici avversari sul campo, ad armi pari, e non guardarli dall’alto in basso delle due categorie di differenza senza incontrarli mai. Un evento che a Siena qualcuno aspetta dal 4 settembre 1260, data della battaglia di Montaperti (…”lo strazio e il grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso…”, dice il solito Alighieri), vittoria che ovviamente qui si celebra ancora, a quasi 750 anni di distanza, con ceri e processioni.

Palio di passione

Siena Il palio
Il palio

Così va la senesità. Il Palio non è che la punta dell’iceberg. Il fantino si picchia, ma il cavallo si coccola. Se si fa male, si piange disperatamente. Perché il cavallo (al contrario del fantino, che è prezzolato) si riceve “in sorte”, è un dono della fortuna e quindi del destino che sovrintende alla vita degli uomini, della città e ovviamente della corsa. Se si vince, si fa una cena pantagruelica in cui il cavallo è a capotavola. Dei grandi cavalli da palio si celebrano le commemorazioni a decine di anni dalla morte. Per quelli che, “caduti sul campo”, non possono più correre, è stato creato una sorta di ospizio: è il modo tutto particolare che Siena ha per ringraziare comunque quegli sfortunati quadrupedi che l’hanno aiutata a celebrare se stessa.
Per i senesi Siena è una fissazione, una monomania. E’ più facile trovare stampe antiche su Siena da un antiquario di Amsterdam o di Boston che in città. Qui tutto ciò che riguarda Siena va a ruba. Le librerie dedicano vetrine intere ed enormi scaffali alla ricchissima produzione bibliografica dei senesi per i senesi. Mai visti dei progressisti incalliti (o comunisti di ferro, come altri pensano, viste le maggioranze elettorali bulgare che da sempre si registrano) più conservatori di loro. E’ come se vigesse una legge non scritta ma inderogabile: la gloria, il decoro, l’onore della città ante omnia.

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Siena extra-moenia

Siena Il centro storico
Il centro storico

Vige…oppure forse vigeva. Perché in questo complesso e granitico sistema da un po’ è apparsa qualche crepa. Vissuta per un millennio chiusa dentro se stessa e le sue mura, avvezza ad una concentrazione civica ed istituzionale forse senza eguali, in cui i luoghi del potere, della vita pubblica e di quella privata sono per secoli rimasti ristretti e stratificati, da un po’ la città sembra avere tracimato dai suoi confini. Confini fisici certo, le “mura” cittadine, ma soprattutto psicologici. Siena si è allargata. I quartieri di periferia, fino a ieri quasi dormitori privi di una loro identità che non fosse riferita ad un collegamento funzionale con il centro storico, stanno trasformandosi in comunità autonome. Non solo la nascita di grandi centri commerciali, ma soprattutto il decentramento di uffici pubblici e privati ha di fatto allargato i confini urbani, finendo però per annacquare lo spirito e soprattutto le condizioni affinché questo potesse sopravvivere con il nerbo che gli è congeniale e necessario. Un’opera di strategica ricucitura urbanistica che, se da un lato ha reso la città certamente più moderna, dall’altro l’ha fatta diventare anche più “normale”. Di una normalità però che è all’opposto della senesità. L’integrità interiore di quella sorta di polis medievale che era Siena, in cui le tensioni si scaricavano nell’incrociarsi delle strade storiche e nel catino della Piazza del Campo, potrebbe ora essersi rotta per sempre. Da luogo della vita civile, politica e culturale che è sempre stata, la città murata potrebbe divenire – in un beffardo capovolgimento delle sorti – di notte un nuovo dormitorio per turisti e di giorno un parco giochi per i medesimi, in un’orgia di negozi con falsi prodotti tipici e venditori di souvenir. Un vero e proprio sfratto capace di dare il colpo di grazia alle contrade, già da decenni alle prese con il problema dello spopolamento dei quartieri antichi e del mantenimento della propria identità. Privata la contrada della sua naturale funzione di “parrocchia laica”, di educatore civico, di intermediario tra il cittadino e lo spirito della città, è la senesità stessa a trovarsi in pericolo.

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Città viva, ma un po’ “spalmata”

Il Palio
Il Palio

I segnali abbondano. Stridono con la tradizione certe recenti passioni paliesche, più acconce alla tensione del tifo calcistico che alle radici ludiche del Palio. Che è sì emozione, ma è anche sberleffo, gusto per la canzonatura e per il dileggio delle avversarie. Il Palio come forma di esorcizzazione del destino e della vita stessa, autocelebrazione, dimostrazione di forza, di arguzia, di destrezza all’interno di un regolamento immutabile e profondamente etico, anche quando volano pugni e cazzotti. Oggi non sempre è così. Da città verticale, stratificata su stessa, accavallata architettonicamente e socialmente, Siena sta diventando una città orizzontale, spalmata in funzione di esigenze modernissime e ragionevoli, ma estranee all’anima cittadina.

Vetrata eseguita da Duccio di Buoninsegna
Vetrata eseguita da Duccio di Buoninsegna

Catastrofismo? Forse. Ma a poco a poco la senesità lentamente si spegne ed i senesi non sempre se ne accorgono. Fino a ieri il turismo era una grande risorsa economica ed eppure, in quanto portatrice di “stranieri”, tollerata. Perché il senese ama l’ospite finchè si limita a fare l’ospite, non accetta invece che egli si intrometta negli affari cittadini, ivi incluso il rito del Palio e certe sottaciute convenzioni, salotti, modi di essere e di pensare. Il turista era una presenza a volte fastidiosa, ma necessaria: forestieri da accogliere con cortesia. Oggi il turismo tende a diventare un business prevalente. Migliorano i servizi, ma peggiora l’humus che, in fondo, dovrebbe essere il massimo dell’autenticità e dunque dell’attrazione turistica.
Ciò che resta è lo splendore di una città ancora viva, ma a rischio di estinzione. Dove la senesità non è più qualcosa di ovvio, ma potrebbe diventare occasionale. Un peccato, perché Siena ha ancora tesori tutti da scoprire e destinati ad accrescerne la leggenda. L’ultimo? Il “duomo romanico” duecentesco, ritenuto perduto e da poco riscoperto quasi intero sotto quello gotico, con uno strabiliante ciclo di affreschi, rimasti praticamente intatti, dei grandi maestri senesi del XIII secolo, ai quali faceva da ragazzo di bottega un certo Duccio di Buoninsegna.

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