In Australia ci sono stato 3 o 4 volte, non ricordo bene. Potrei invece essere più preciso sulle motivazioni (oltre alla ulissiana, innata –e ne son felice- voglia di vedere il mondo, non importa cosa e dove) che mi hanno convinto ad andare fin là, ma devo fare un po’ d’ordine per la loro varia origine. Per certo c’è il Tennis. E galeotto di una mia altra gita agli (quasi) antipodi fu poi un biglietto aereo vinto in uno di quei sorteggi che (almeno antan, non so se adesso si fanno più ‘ste riffe non di rado pilotate) concludevano i parties promozionali delle compagnie aeree. E infine mi ritrovai in Australia perché tappa di un Giro del Mondo che avevo programmato per andare a conoscere la Micronesia e poi proseguire per un Pow Wow (parola indiana che vuol dire mercato) del Turismo a Miami. Per la verità, da scolaro, ero già stato in Australia, ma solo col pensiero, attirato ça va sans dire dalle descrizioni dei zompanti canguri nonché dalla storia dei galeotti trasferiti colà affinché a Londra e dintorni i sudditi della regina Victoria non corressero pericoli d’ordine pubblico (e in effetti, più lontano di così -a quei tempi per arrivarvi ti toccava stare quasi due mesi dentro una nave, oggidì un giorno in un aereo- dove mai potevano confinarli?). E sempre a proposito della vicenda dei galeotti aggiungo che cominciai allora ad ammirare la saggia preveggenza di chi costruì il British Empire al solenne suono di Rule Britanni. Mi riferisco al fatto che i lungimiranti governanti londinesi pensarono bene di accompagnare ai citati galeotti altrettante galeotte, non certo per i loro passatempi sessuali nell’altro emisfero bensì per ovvi motivi di crescete e moltiplicatevi. Da cui l’odierna Australia (vabbè, con successiva aggiunta di greci, italiani e vietnamiti).
L’ Australia è il tennis…
Quanto al rapporto tra il sottoscritto, il Tennis e l’Australia, le spiegazione è chiara. Da sempre aficionado (anche perché giocatore) allo sport della racchetta (inventato, come almeno il 90% delle discipline olimpiche, e l’Australia, dai sudditi della Regina Victoria) ai miei tempi l’allora definito Nuovo Continente (venne poi quello Nuovissimo, l’Antartide) era terra di grandi tennisti. Per ricordarne l’eccellenza bastano i nomi (e qualche decennio sulle spalle di chi li legge): senza finire nella preistoria (Sedgman, McGregor) ecco Rod Laver, Ken Rosewall, il baffuto Newcombe, e più recentemente, financo tra le donne, l’aborigena Evonne Goolangong. E dopo aver tentato (da imberbe tennista) di imitare la loro eccelsa tattica (servizio e a rete, ma venivo regolarmente fottuto dal pallonetto del nemico) qualche anno dopo trovai più remunerativo organizzare e accompagnare i viaggi degli aficionados tennismen italici per andare a vedere gli australiani a casa loro. E così fui (Coppa Davis) nella vittoriana Brisbane e nella multietnica Melbourne (giocando pure, io, al Circolo Marconi, santuario dello sport praticato dagli italiani colà emigrati) laddove in gennaio si gioca l’Open d’Australia (visto anche quello), primo dei quattro supertornei del cosiddetto Grande Slam. E feci pure un salto ad Adelaide, attirato soprattutto dagli eccellenti vini del South Australia.
… dal Tennis al Bikini al Topless
A Sydney, invece, meno Tennis, e vini, bensì più turismo e tanta mondanità, tra una bella escursione in motor boat nella meravigliosa baia (con quell’Opera House che alla fine della crociera hai fotografato non meno di 80 volte) e l’escursione a Bondi (pronuncia Bondài) Beach. Sì, proprio quella della parata dei bagnini (o se preferite Lifesavers) che Gualtiero Jacopetti filmò in “Mondo Cane”, grande documentario, 1962 (chi non lo conosce, e ama viaggiare, lo veda: costituisce un giro del mondo da casa) reso viepiù indimenticabile –mi mette i brividi ancor oggidì- da “More”, eccelsa e struggente composizione di Riz Ortolani.
Già, Bondi Beach, laddove gli anglicani epigoni bacchettoni della già lodata imperatrice Regina Victoria fecero lunga guerra allo (è proprio il caso di dirlo) scostumato Bikini (ahi ahi ahi quel peccaminoso ombelico in bellavista, perché il clero mica esiste solo nel Belpaese). Se non che (sempre a proposito di peccato, e del piacere di commetterlo) anni dopo, passeggiando lungo la Bondi Beach il qui scrivente si estasiò ammirando –per la prima volta nella sua esistenza, in pubblico- tante belle tette ‘live’, nude, in bella vista (e beninteso sode assai) appartenenti a tante belle ragassuole Aussies indossanti il Topless (e quanto disagio provavo a fotografarle, sorridenti nel concedersi, ancorchè solo all’obbiettivo, per far contento uno sfigato proveniente da un Paese democristianamente prude …. e parlo dei tempi in cui Scalfaro, futuro Presi della Repubblica insultava le donne solo perché esibenti un normalissimo, ahinoi nemmeno tanto generoso, decolletè).
Ayers Rock e i fantastici tramonti infuocati
Meno arrapato, soltanto come un qualsiasi tranquillo turista doc, mi comportai, invece, in gita sui monti Olga laddove ammirai fantastici tramonti rosso-fuoco, e identici entusiasmi di attento viaggiatore vissi ad Ayers Rock, estremamente impegnato a fotografare quel maestoso monolito e tanti altri magnifici panorami dell’Outback (nonché gli avvisi suggerenti attenzione –ai coccodrilli- se mai si fosse pensato di fare il bagno in uno dei peraltro non numerosi corsi d’acqua).
Non potevo, poi, non andare a Darwin, Northern Territory, laddove nel dicembre del 1941 l’Australia temette seriamente un’invasione giapponese come conseguenza dell’attacco a Pearl Harbor. E nella citata capitale del territorio, a due passi dall’Asia, più che dalla abbondante presenza di Crocs (ricordate il divertente film “Crocodile Dundee”?) fui turbato da un volantino, letto durante una visita in un piccolo museo cittadino dedicato alle vicende della WWII (World War Two, la Seconda Guerra mondiale) in cui i giapponesi notificavano ai prigionieri alleati la non allegra possibilità di essere accoppati eppoi buttati in mare ai pescecani qualora avessero dato anche il minimo fastidio (tipo parlare o pisciarsi addosso) nel trasferimento marittimo ai campi di concentramento. Banzai Nippon (altro che la Madama Butterfly … roba da non comprare prodotti Sony e Honda per altri cento anni…).
La grande Barriera Corallina
Già, ma che turista, e buon reporter, sarei mai stato se durante una delle mie 3 o 4 gite in Australia non mi fossi spinto fino alla Great Barrier Reef leggasi Grande Barriera Corallina? Tante isole, tutte interessanti ma non completamente perfette, nel senso che quelle belle sulla terraferma non possono vantare un meraviglioso mare, e viceversa.
Un viaggio, nel nordest della Australia, con curiosa chicca. Perché a Cairns, Queensland, non ritrovo –del tutto casualmente- il Peter Nicholls? Eravamo diventati amici –quando si dice il destino- nella allora Rhodesia (Cascate Victoria) durante un’escursione notturna in motoscafo sullo Zambesi, lui, inglese, capo della polizia locale col compito di proteggere lo scrivente, non solo turista e scrivano ma anche potenziale vittima di qualche guerrigliero in lotta per l’indipendenza della –a quei tempi- ex colonia britannica ma governata dai bianchi di Ian Smith). Rimpatriata in un bar di Cairns, qualche pinta di birra ci salutiamo. Lui sale in macchina e torna a lavorare, nell’Outback, a (più o meno) 2000 kilometri di distanza (ma, no problem, mi fa: è quasi tutto desertico rettilineo, quand’è notte metto il pilota automatico e l’auto va da sola). Là nell’Outback, a una distanza che i miei amici novaresi avrebbero considerato siderale (ritenevano “distante” andare a Milano, solo un paio di km oltre i 40), Peter dirige l’ufficio del Turismo di un territorio grande (più o meno) come mezzo Piemonte, con un business dell’incoming che –mi commenta serio- vanta un totale di 2 alberghi e un B&B, in totale una ventina di letti.
E poi ti stupisci se gli Aussies invece di un normale inno nazionale hanno scelto una sorta di canzone western (Waltzing Matilda). O forse erano soltanto stufi del bacchettone e serioso God Save the Queen (chissà se) cantato da galeotti (& galeotte) che anticiparono la venuta di Peter in Australia.