Mi scuso per il titolo, più ermetico di una poesia di Ungaretti, ma la vicenda che passo a narrare è abbastanza complessa e complicata, tra sconfinamenti oltre Ticino, accademie del palato, reminiscenze giovanili, gorgonzola e vini amati dal Cavour.
Provo a spiegarmi. Il Nicola è uno dei pochi amici che annovero a Milano, e giustifico questa mia deficienza con la severità che riservo alla parola amico. Un sostantivo ormai inflazionato e svilito a tal punto da esser scaduto a sinonimo di conoscente. Oltretutto, se si parla di amici, a Milano – laddove più che la Madunina è adorato il dio Danèe – c’è da stare un filino in campana, imperocché per molti anche le amicizie hanno (soprattutto) un valore (economico).
Nicola, meglio di Gualtiero
E sempre a proposito del Nicola aggiungo poi che – dettaglio altrettanto importante – oltre che amico è pure raffinato gastronomo, benché nato a Milano (evidentemente in lui ha fatto aggio la discendenza da genitori ferraresi doc). È infatti noto che i milanesi (e, con tutto il rispetto, tanti altri lombardi, massime i manzoniani brianzoli) non sanno mangiare, anche perché, per loro, più che il piacere del palato conta il quanto costa, col risultato che un buon ristorante è quello caro e un cuoco è valido solo se apparso in tivù. E tanto per fare un esempio, a proposito delle diverse esigenze palatali nel Belpaese, ve lo vedete voi il divino Gualtiero Marchesi ammannire il suo noto risotto condito con foglioline di oro zecchino a piemontesi temprati dalla Bagna Caoda o a romagnoli adusi a sapide braciole di Castrè?
Finezze cuciniere e chiusa al zabaione
A fronte di tanta enciclopedia (e nessuno sappia che a me va già di lusso con l’umile ma busciante Lambrusco mantovano della Cantina Sociale di Quistello) eccomi, dicevo, silente, e parimenti lo fui (ma qui mi zittì la fretta degli accademici vogliosi di una siesta) nell’agape (con gli accademici sempre meglio contarla su bene) officiato alla trattoria Olimpia di Veruno (risotto con asparagi, scaloppe d’anatra con foie gras e patate sautès, dolce al mascarpone … al quale aggiunsi, come mia rustica progenie suggerisce, una giusta dose di vino per ricavarne ricavato una sorta di buon zabajone). Riportato a Milano dal Nicola (che da gran sior – e ringrazio – m’ha offerto lu magnare e nemmeno m’ha imposto una penale per l’abortita prestazione) non mi resta che narrare (almeno) al cortese lettore ciò che della bevereccia e mangereccia Novara d’antan, dovevo raccontare agli accademici cucinieri.