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Cinesi bravi in tutto. Nel costruire dighe, città avveniristiche e migliaia di oggetti che hanno invaso i mercati mondiali. Ma è con la cucina cinese, ricca di sorprese e sapori, che i cinesi hanno creato un vero “legame” con le altre genti della terra. Non esiste praticamente posto al mondo dove non si riesca a trovare un ristorante cinese. Dalle strade polverose di New Delhi, alle Avenue di New York punteggiate dalle lanterne rosse di carta di riso. Dalla Chinatown milanese in zona Sarpi e dalle afose strade di Rio de Janeiro, salgono i fumi dell’anatra laccata alla pechinese, dei won-ton fritti, delle zuppe di mais, della carpa in agrodolce, del pollo alle arachidi.
La filosofia culinaria del mitico Kathay di Marco Polo è diventata uno dei must più raffinati del nuovo millennio. Nella società multirazziale, nel melting pot dei nostri anni, la cucina cinese del “Grande Impero” è diventata uno dei “files” (archivi) più ricercati nel computer della gastronomia mondiale.
Cucina cinese, cibi leggeri e soprattutto gustosi
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La cucina cinese è raffinata e saggia. Ha un numero immenso di ingredienti e di materie prime. Frutto di una ricerca antica, volta a rendere commestibile ogni frutto, ogni vegetale e tutte le specie animali.
Un proverbio cinese rivolto ai commensali recita: “Ten, yen, hen”. Cioè “attendi, evita, attacca”, che significa aspettare a giudicare quando un cibo non piace. Evitare una pietanza nella quale la qualità è sottomessa alla quantità e andare all’attacco (gastronomico) quando si capisce di avere di fronte un piatto perfetto. Perché il China’s food è tanto amato e ricercato? C’è chi asserisce che mangiare cinese significa alzarsi da tavola senza sentirsi appesantiti.
…antica arte culinaria
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Di certo, alla base di questa antica arte culinaria orientale, c’è un’estrema parsimonia degli ingredienti. Con tre etti di pollo, un po’ di verdure e del to-fu (formaggio di soia) si riesce a preparare una zuppa abbondante per sei persone, perché tutto è tagliato a piccoli pezzi col vantaggio di abbreviare la cottura, conservare inalterati i principi nutritivi e salvaguardare i sapori. Con gli stessi ingredienti, preparati all’europea, a mala pena un paio di commensali riuscirebbero a mettersi a tavola. Infatti, uno dei pilastri della cucina cinese è il taglio della carne, del pesce e delle verdure.
Un cuoco in oriente passa i primi due anni di studio ad imparare a tagliare gli alimenti. Da qui si capisce quanto sia importante nella cucina cinese sapere affettare, sminuzzare, ridurre a listelle e in sottili “tranches” gli ingredienti prima della cottura. I cuochi cinesi hanno ventuno modi base di preparare e lavorare il cibo e ognuno è suddiviso a sua volta in decine di altre varianti che riguardano la cottura veloce, lenta, al vapore, a base di brodi di erbe, di carne o di pesce.
Cucina Cantonese, la più diffusa nel mondo
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La Cina ha quattro grandi settori gastronomici: il nord e Pechino sono famosi per i piatti ricchi di spezie e molto piccanti. A nord-ovest, nella regione di Sechuan, predominano i sapori dolci; al centro, Nanchino e Shanghai, sono sedi della più rigorosa tradizione culinaria; al sud, nella zona di Canton c’è la cucina cinese più ricca e rinomata. Ad essa si ispira la maggior parte delle ricette e dei ristoranti sparsi per il mondo.
Il concetto di pranzo cinese è diametralmente opposto al nostro. Le pietanze sono servite tutte insieme e i commensali pescano secondo il loro gusto ora da un piatto, ora dall’altro. Estetica e presentazione del cibo sono due punti cardine della filosofia gastronomica nella cucina cinese. Non dimentichiamo che il gusto cromatico dei piatti, l’equilibrio dei sapori, le guarnizioni (piccoli animali, o fiori fatti con carote, pomodori, ravanelli incisi e intagliati come vere e proprie mini-sculture) sono state create secoli fa dai primi chef cinesi, dando il via a un nuovo gusto compositivo e a una “nouvelle-cuisine ante-litteram”.
Alle prese con tè e “bastoncini” cinesi
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Mangiare o no con i bastoncini? Questo è un dilemma, ma non per i puristi dei “chopsticks” (così si chiamano in realtà questi due piccoli pezzi di legno, plastica o porcellana). C’è chi asserisce che l’acciaio della forchetta e del coltello alteri il gusto dei cibi e quindi perché rischiare di sciupare con una forchetta il gusto vellutato dei ravioli di verdura, del pollo al limone, del maiale con bambù e funghi, dei gamberetti agro-piccanti con ananas e peperoni o delle saporite verdure alla buddista? A tavola i cinesi bevono brodo, vino (Hoang-Tsieu) tè, mai acqua. Quello che usano non è un vero e proprio vino, ma un distillato di riso (da 14° a 20°) di colore giallo che viene bevuto praticamente in tutta la Cina e servito in piccolissimi bicchieri.
Il tè è la bevanda più importante: i cinesi conoscevano le virtù di questo infuso già 2700 anni prima di Cristo e nel 780 d.C. fu scritto il “Cha-Chin”, il primo trattato completo sulle proprietà delle deliziose foglioline. In quest’opera Lu-Yu, l’autore, spiega le modalità per la preparazione di un ottimo infuso, usando tè nero (la traduzione corretta dal cinese è “tè rosso”) che una volta servito assume una colorazione vermiglia, con un sapore forte, un profumo di orchidea e un gusto rinfrescante. Il tè verde ha un aroma marcato e viene consigliato da Lu-Yu per creare i tè aromatici, miscelandolo con fiori secchi di “yulan”, di “tai tai” e di gelsomino, che conferiscono alla bevanda aromi d’Oriente delicati e inconfondibili.
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