Venerdì 26 Aprile 2024 - Anno XXII

Uganda, i grandi Parchi dell’Ovest

Silverback Bwindi Impenetrable National Park (ph. © Aldo Pavan)

Paesaggi di selvaggia, indescrivibile bellezza, nei quali gli animali e gli uomini non hanno sempre vissuto in pace. Un percorso che si snoda tra montagne, foreste, savane, fiumi e laghi. Davvero l’ultima, superstite Africa

Bwindi Impenetrable National Park (ph. © Aldo Pavan)
Bwindi Impenetrable National Park (ph. © Aldo Pavan)

Ci sono già trentacinque gradi e una grande umidità. Siamo bagnati fradici, il sudore corre a rivoli lungo la schiena.
Abbiamo impiegato tre ore per arrivare fino a qui, al “Bwindi Impenetrable National Park”: salite ripidissime, superati cinquecento metri di dislivello, tagliate liane con il machete, guadato torrenti e, miracolosamente, evitato un cobra che aveva deciso di darci il benvenuto.

A tu per tu con Silverback
Bwindi Piccoli di gorilla (ph. © Aldo Pavan)
Piccoli di gorilla (ph. © Aldo Pavan)

Ora siamo stremati ma il cuore batte forte, oltre che per la fatica anche per l’emozione. Siamo a tu per tu con i gorilla; siamo di fronte a una famigliola di sei elementi che si profonde in coccole. Sono tutti distesi a fianco di Silverback, il possente maschio. Le femmine accarezzano i piccoli; qualcuna allatta. Poi si spulciano. Il maschione si appisola, chiude gli occhi, forse per la pennichella.Russa; per l’amor di dio non svegliamolo! Non si sa mai.

Ma ecco che due cuccioli si arrampicano su una liana, saltano di qua e di là sugli alberi. Uno di loro ci affronta battendo il petto con le piccole zampe: cerca di spaventarci, ma sono solo prove tecniche. Caspita, come rompono le scatole questi piccoli! Improvvisamente cade qualcosa proprio sopra Silverback che, svegliato di soprassalto, si alza in piedi di colpo, si appende a un grosso ramo di un albero che sta sopra la sua testa e lo schianta con un fragore indescrivibile. E’ come un cataclisma. Noi tremiamo. Ma loro, per fortuna, scappano.

Il regno di Dian Fossey
Uganda Dian Fossey
Dian Fossey credit Dian Fossey Gorilla Fund

I gorilla devono parte della loro notorietà agli studi compiuti dalla ricercatrice americana Dian Fossey (1932-1985) che ha vissuto in Ruanda per tredici anni fra questi primati. Dopo averne studiato le abitudini è stata misteriosamente uccisa, probabilmente dai bracconieri.
In Uganda i gorilla si possono avvistare in due parchi. Nel “Bwindi Impenetrable National Park”, dove vivono tre famiglie avvicinabili dall’uomo e nel “Mgahinga Gorilla National Park”.

Il “gorilla tracking”, cioè l’avvistamento, è a numero chiuso, con gruppi di sole sei persone per ogni famiglia di primati. Si sta a contatto con gli animali per un’ora circa. Noi, dopo la fuga dei gorilla, siamo rientrati al campo base all’imbrunire.
Nel cielo c’erano minacciose nuvole nere. I tuoni si rincorrevano insistenti, con fragore. L’acqua era nell’aria. Qui, nella Impenetrable Forest di Bwindi, piove quasi tutti i giorni. E sono cateratte che si aprono, fiumi che tagliano la terra rossa e che segnano come ferite i pendii ricoperti dalla giungla rigogliosa. Alberi alti decine di metri, come campanili.

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Bwindi nel cuore dell’Africa tormentata
Bwindi Il cupo dei colori e il rosso della terra (ph. © Aldo Pavan)
Il cupo dei colori e il rosso della terra (ph. © Aldo Pavan)

I colori sono: verde cupo e rosso sangue sulla terra, nero e squarci di blu nel cielo. Un contrasto che fa male, che rimesta l’anima, che fa riemergere vicende recenti, troppo vicine per non vederle riapparire come fantasmi.
Il Ruanda, con le sue migliaia di morti, è a pochi chilometri oltre la foresta di Bwindi. E il Congo, con la guerriglia che imperversa, si raggiunge attraversando un banale fiumiciattolo. Sull’altra sponda ci sono animali terrorizzati che fuggono di fronte ai kalashnikov e gorilla decimati; uomini e animali, stretti nello stesso destino tragico.

Ma qui sembra un altro mondo. Da questa parte del confine tutto è tranquillo. L’Uganda appare come un Paese da cartolina. Un’Africa immaginifica, con Hemingway che gira ancora tra la savana con la sua jeep, alla ricerca delle verdi colline. Gli abitanti, per la maggioranza di etnia Baganda, sono socievoli e gentili, aperti con lo straniero. E poi vi sono cittadine di carattere e parchi naturali di grande fascino che a poco a poco si stanno ripopolando dopo le stragi perpetrate prima dai bracconieri, nel periodo del dittatore Idi Amin e poi dalla guerra civile che ne è seguita.

Paesaggi mutevoli
Bwindi Strade rosse e pochi alberi (ph. © Aldo Pavan)
Strade rosse e pochi alberi (ph. © Aldo Pavan)

Adesso piove a dirotto. La terra rossa della pista ha quel colore scarlatto che usano i pittori naif. Le donne vanno ai campi con la zappa sulla testa, senza ombrello, incuranti della pioggia, ma inzaccherate. Dal cielo “scendono cani e gatti”, come usano dire gli inglesi, i colonizzatori che hanno lasciato un profondo segno del loro passaggio.
Voltate le spalle a Bwindi, ci mettiamo in marcia verso nord ed è un susseguirsi di piantagioni di tè; sì, di tè. Questo è il cuore del continente nero, ma il paesaggio sembra quello dell’India o dello Sri Lanka. È un po’ come se qui la globalizzazione fosse arrivata anzitempo. E infatti i padroni sono indiani, gente arrivata sull’equatore dal British Raj. Tutti commercianti e imprenditori. Anche oggi sono l’anima mercantile di questa parte dell’Africa.

La Rift Valley e la cima Margherita
Uganda Donne al lavoro nelle piantagioni (ph. © Aldo Pavan)
Donne al lavoro nelle piantagioni (ph. © Aldo Pavan)

L’Uganda è un Paese molto vario: qui ci sono coltivazioni di tè, lì è giungla impenetrabile che ricopre come una pelle i monti che si alzano erti verso il cielo, ma a un centinaio di chilometri più a est il paesaggio cambia completamente e si trasforma progressivamente in savana, arida prateria. Può mancare anche l’acqua, come nel caso della severa Karamoja, che si estende al confine con il Kenya: pochi alberi, quasi un deserto assetato.

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A occidente di acqua ce n’è a volontà. Questa parte dell’Uganda è segnata dall’estremità più occidentale della Rift Valley, la grande spaccatura terrestre che si incunea nel cuore del continente. Su questo catino tettonico si sono disegnati grandi bacini idrografici che confluiscono tutti verso il lago Vittoria, dando origine al fiume Nilo, il più lungo dell’Africa. Le nevi perenni della catena montuosa del Rwenzori, che gli africani chiamano con il suggestivo nome di Monti della Luna, sono la linfa vitale di questa parte del Paese. Il Margherita, la cima più alta, con i suoi 5109 metri, è una specie di statua bianca che fa da riferimento a coloro che viaggiano lungo le vaste pianure sottostanti.

Praterie, laghi, uomini e animali. Un grande “puzzle”
Leonesse sui rami degli alberi (ph. © Aldo Pavan)
Leonesse sui rami degli alberi (ph. © Aldo Pavan)

Nevi in alto ed elefanti in basso. Il contrasto si fa stridente quando imbocchiamo la pista che come una serpentina si inoltra nel parco Queen Elizabeth (altro nome in onore degli inglesi colonizzatori; il lago si chiamava Kazinga, ma dal 1954 è stato ribattezzato con il nome della regina Elisabetta).
Ora ci attraversa la strada una mandria di elefanti seguiti da una stormo di garzette bianchissime. Sembra una processione religiosa. L’erba alta nasconde le prede, per lo più eleganti antilopi del tipo Uganda Kop. Ma ora fa troppo caldo e i leoni non hanno voglia di faticare. È scesa un’antipatica foschia e la colonnina di mercurio segna quaranta gradi.
Le leonesse se ne stanno sui rami degli alberi a sonnecchiare; sembrano tanti “Gatto Silvestro”. I cuccioli e i leoni maschi sono in basso, all’ombra, nascosti tra il fogliame. Aspettano. Verrà l’ora buona e allora le prede si sposteranno per bere verso le rive del lago Edward e loro saranno lì ad aspettarle, per cacciarle.

Bwindi: in barca tra i laghi Edward e George
Queen Elizabeth Park (ph. © Aldo Pavan)
Queen Elizabeth Park (ph. © Aldo Pavan)

Già. Il lago Edward, vasto come un mare e collegato a un altro lago, il George, tramite un canale, il Kazinga Channel. Spostarsi in barca lungo questo braccio d’acqua è un sogno. Come in un documentario, sfilano animali e persone: ragazzini in bicicletta sulla riva e ippopotami semi-sommersi, pescatori con la radio accesa e coccodrilli sonnecchianti, donne che riempiono le taniche d’acqua e bufali che fanno il bagno, neonati che gridano e clamori di uccelli: aquile, aironi, cicogne, gru, martin pescatori, cormorani, pellicani, ibis sacri, eccetera, eccetera.
Un’enciclopedia africana. Il tutto con tanto languore, perché ora il sole sta calando e l’orizzonte si colora di rosa e viola. Gli alberi con la chioma a ombrello disegnano ricami contro il cielo. È un’altra cartolina, fin troppo bella, sdolcinata e romantica.

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Nella fertile terra di antichi vulcani
Uganda Lago vulcanico nell’area del Bunyaruguru (ph. © Aldo Pavan)
Lago vulcanico nell’area del Bunyaruguru (ph. © Aldo Pavan)

Proseguiamo ancora verso nord, lungo piste di terra battuta, su e giù tra colline, tra alberi giganteschi, brandelli di foresta e incendi voluti dall’uomo per disboscare, per ricavare terre coltivabili. Le nuvole nere del cielo si confondono con quelle del fumo.
Le fiamme sono alte, a volte così  torreggianti da far paura, mentre si sente il legno crepitare come se nella foresta fossero stati gettati tanti mortaretti.
I ragazzini in divisa escono da scuola, cartella sottobraccio, fanno chilometri a piedi. Scappano quando sentono arrivare un’auto e si mettono al sicuro tra l’erba alta o i papiri che crescono spontanei nelle zone umide. E riecco l’acqua: questa volta è quella dei laghi vulcanici, una quarantina, che si trovano sul fondo di altrettanti crateri in una regione dal nome cacofonico: Bunyaruguru.

Bici-per-trasporto-delle-banane-(ph.-©-Aldo-Pavan)
Bici adibita a trasporto delle banane (ph. ©Aldo Pavan)

In quest’area i sentieri e le poche piste si snodano seguendo le perigliose creste che delimitano capricci orografici di antichissima origine. Questa zona deve essere stata simile a una grande caldera borbottante. Poi, nel corso dei millenni, i crateri si sono solidificati e i vulcani hanno smesso di produrre lava e lapilli.
Ma il risultato è che ora il terreno è fertilissimo, ideale per la coltivazione delle banane, della manioca, del mais e del sorgo. Così quando arriviamo qui scopriamo ancora una volta un’altra Uganda, diversa da sé stessa. Questa è rurale, contadina, semplicemente arcaica. Ancora un Paese dal volto inaspettato, ma immerso in uno scenario, l’ennesimo, da cartolina.

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