Mercoledì 1 Maggio 2024 - Anno XXII

Nubia, l’altra metà del Sudan

La regione a nord di Karthoum è ben diversa dal devastato Darfur. Lungo il Nilo vive un popolo che un tempo ha conquistato l’Egitto dei Faraoni e ha respinto Assiri e Arabi. La costruzione di tre dighe ne minaccia oggi l’orgogliosa autonomia

“Indizi” rivelatori

Case variopinte
Case variopinte

Che la Nubia resti un mondo a sé, anche in tempi di globalizzazione selvaggia, lo si vede da molti indizi. Il primo è appunto l’“Islam dolce” di cui si diceva. Il secondo indizio è la mancanza totale di negozi di souvenir: anche nelle località più frequentate è impossibile trovare persino una cartolina. Il terzo è nei tratti somatici delle donne, scure di pelle ma dai lineamenti fini come principesse francesi. Il quarto è che, mentre in tutto il mondo arabo l’esterno delle case è sobrio e monocolore, qui è spesso variopinto, con decorazioni a fiori. Il quinto indizio ci riguarda da vicino; quando qualcuno ti individua come italiano, non ti abborda subito con le solite facili equivalenze, tipo “Italia-Totti” o “Italia-Buffon”. Caso mai capita (a noi è successo al mercato di Selim) che un venditore di arance ti saluti dicendo: “Italia-Romanoprodi”, con nome e cognome fusi rigorosamente in uno. Lì per lì ci siamo guardati in faccia, chiedendoci se il nostro interlocutore alludesse a un nuovo centravanti; invece si trattava solo di un premier, che col calcio non ha nulla in comune, neanche la presidenza del Milan.
Il sesto indizio è che le case sono costruite come secoli fa, cioè cinte da mura come fortini, nonostante l’ambiente sia pacifico.

Nubia

Villaggio Nubiano foto di Memphis TourQuelle mura non servono a difendersi da (inesistenti) nemici, ma dalla sabbia, che tende a coprire tutto. Fermarla è impossibile, al massimo si può frenarla; così, con gli anni, piccole dune si accumulano contro le mura, poi le superano e invadono i cortili e le costruzioni interne. Quando il ciclo arriva all’epilogo, cioè nel giro di tre-quattro generazioni, la vecchia casa viene abbandonata e se ne costruisce un’altra.

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Sotto la sabbia, la “storia”

Nubia Il sito archeologico di Meroe
Il sito archeologico di Meroe

È la condanna della Nubia, la sabbia. Ma è anche il suo archivio, perché quella soffice coperta conserva tutto: basta scavare per trovare città di millenni fa sepolte, che provano come l’autonoma identità nubiana abbia radici ben più antiche dello stesso Regno di Makuria. Tre siti archeologici meritano senz’altro una visita: Kerma, Napata e Meroe. Kerma fino a tremila e cinquecento anni fa era una città così fiorente da suscitare l’invidia dei faraoni egizi. Tanto che proprio un faraone (Tutmosis III, il “Napoleone d’Africa”) la attaccò e la distrusse. Napata invece è il simbolo della rivincita: da lì, sette secoli dopo, i re nubiani partirono alla conquista dell’Egitto e dilagarono fino al Delta, dando vita a una dinastia di faraoni dalla pelle scura (la XX

Nubia I Faraoni neri di Nubian
I Faraoni neri di Nubian

V). Le rovine dell’antica capitale sono sparse sulle due rive del Nilo, intorno all’attuale città di Karima, in vista di un’altura scoscesa detta Jebel Barkal (Montagna Pura) che i “faraoni neri” consideravano sacra: ai suoi piedi ci sono piramidi e vari templi, uno dei quali rivaleggia per dimensioni e imponenza con quello egiziano di Karnak. Meroe, infine, è una sorta di Stalingrado, cioè una città della resistenza a oltranza. Quando, duemila e cinquecento anni fa, gli Assiri invasero l’Egitto e risalirono il Nilo, i Nubiani arretrarono in questa città ben protetta, dove continuarono a vivere da padroni di sé stessi, costruendo altre piramidi e adorando oltre ai vecchi dei egizi un dio-leone tutto loro, Apedemak. Poi Meroe passò la mano a Makuria e Apedemak fu sostituito da Gesù Cristo. Ma in fondo i due culti avevano valenze simili: entrambi erano simboli di autonomia rispetto alle culture circostanti.

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Dal Nilo, un “mosaico” di laghi

Nubia Ragazzi nei pressi di Khartoum
Ragazzi nei pressi di Khartoum

Chi vuol vedere la Nubia com’è, deve affrettarsi; presto questo mondo intrigante non sarà più lo stesso. A minacciarlo non è la guerra del Darfur, realtà lontana, ma una serie di dighe che cambieranno la geografia. La prima sarà inaugurata entro l’anno sulla quarta cateratta del Nilo, a monte di Karima. Il suo invaso non sommergerà siti archeologici importanti, ma ha già provocato lo sgombero di decine di villaggi. E il Nilo, con quello sbarramento, non potrà più portare a valle il fertile limo che alimenta l’agricoltura della regione. Non è tutto, perché ad aprile sono iniziati i lavori per un altro sbarramento sulla terza cateratta, verso il confine egiziano e già si parla di un’opera simile a valle di Meroe. Quando il progetto sarà finito, la terra dei faraoni neri diventerà un mosaico di laghi artificiali e i suoi abitanti saranno in gran parte dispersi altrove.  Ne vale la pena? I piani di sviluppo del Sudan, che richiedono molta energia elettrica, dicono di sì. Ma il dio-leone Apedemak e l’arcangelo Gabriele, protettori di questa terra, dissentono. E molti contadini anche.

Darfur, una guerra “conto terzi”

Nubia, l’altra metà del Sudan

Ufficialmente la guerra del Darfur (costata finora forse quattrocentomila morti, un milione di sfollati e duecentomila rifugiati all’estero) iniziò nel 2003 con un paio di attacchi di ribelli autonomisti contro posizioni dell’esercito di Karthoum.  Ma il conflitto ha radici più antiche; da sempre infatti la regione è teatro di rivalità fra etnìe diverse, tutte musulmane: da un lato ci sono contadini di pelle nera (Fur) dall’altro nomadi di sangue arabo (Baggara) che si contendono l’uso del territorio. Insomma, una riedizione dell’eterno scontro fra Caino e Abele, cioè fra agricoltori e allevatori. Ma di recente su queste rivalità locali si sono inseriti altri interessi: i ribelli Fur sono aiutati dal Ciad (filo-americano) i Baggara dal governo sudanese (filo-cinese). In palio ci sono le ricchezze minerarie della zona (petrolio e uranio).
Il conflitto ha assunto connotati più feroci dal 2004, quando sono entrati in scena i Janjaweed (Diavoli a cavallo) miliziani reclutati tra i Baggara, che hanno infierito sui Fur. Un accordo siglato nell’estate 2006 fra il governo e il maggiore gruppo autonomista (SLA) è rimasto sulla carta. Inutile anche l’intervento di settemila  soldati dell’Unione Africana, che l’Onu vorrebbe sostituire con ventimila caschi blu, contro il parere di Khartoum, che considera il Darfur un problema interno.

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La Nubia in pratica

Come Arrivare –  Tra l’Italia e il Sudan non ci sono voli diretti, ma si può andare a Karthoum via Francoforte con Lufthansa (via Larga 3, Milano, telefono 02 58372319, www.lufthansa.it) sia da Roma che da Milano.

Dove Dormire – Il miglior albergo di Khartoum è il Grand Holiday Villa (Nile Avenue, P.O. box 316, telefono 00249 183 774039, www.holidayvillakhartoum.com;) in stile coloniale anglosassone sul Nilo Azzurro. In Nubia gli hotel affidabili sono scarsi: uno dei pochi è la Nubian Rest-House di Karima (telefono 00249 231 820368, www.italtoursudan.com). A Meroe (località Bagarwiya) c’è poi un campo tendato fisso; per il resto bisogna portare tende proprie.

Viaggi organizzati – Leader del turismo italiano in Nubia è l’operatore “I Viaggi di Maurizio Levi” (via Londonio 4, Milano, telefono 02 34934528, www.deserti-viaggilevi.it)

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