Martedì 14 Maggio 2024 - Anno XXII

Gita oltre il gran fiume padano

Broni e Stradella (ma quanto è interessante il resto del lombardo Oltrepò pavese!) costituiscono meta prossima alla metropoli, alla scoperta di personaggi storici, botteghe, specialità eno-gastronomiche. Alcune del buon tempo andato

Vigneti dell'Oltrepò pavese
Vigneti dell’Oltrepò pavese

Quanto segue costituisce un’ode alla provincia padana. Ciò premesso preciso che le ‘estrinsecazioni scaturenti dal mio afflato poetico’ (!) non vanno interpretate come anatemi antiterùn né come astiose cattiverie antimeneghine. Oltretutto, laddove spezzo più di una lancia elogiando i vini e altre delikatessen del mai troppo lodato Oltrepò, non faccio altro che scimmiottare il grande Giuanìn Brera fu Carlo (e fu lui, magister massimo dei neologismi, a inventare la Padania). E quanto alla condanna dei meneghini (che incolpo di voluta, totale assenza di curiosità nei loro palati) io, ormai uno di loro, non voglio certo sputare nel piatto in cui mangio (quasi sempre pieno, però, di insapori mangimi venduti nelle esselunghe tanto adorate dalle sciurette). Resta il fatto che tra un trasloco in un appartamento più chic e l’acquisto del più figo dei Suv (il 99% dei quali viene usato per andare a comprare le sigarette girato l’angolo), i miei concittadini milanesi (che però non esistono più) potrebbero anche dedicarsi alla conoscenza – ad esempio – di un ‘formaggio vero’ (mai provato quello – ma doc – di Fossa e/o il Bettelmatt di malga della Val Formazza?).

Dall’azzurro Ticino al fangoso Po

Le acque del Po
Le acque del Po

Eccomi dunque, spinto da ulissiana curiosità (e fin che l’apparato digestivo tiene duro) in gita nell’Oltrepò Pavese, un territorio quantomeno pieno di peculiarità e diversità come possono esserlo le terre ‘di confine’ con svariate regioni. Per info dei maniaci della geografia mi sono addentrato ‘oltre il Padus’ superando il (quest’anno) centenario ponte della Becca e mentre transito sotto la ferrea armatura Peppino, co-gitante, mi garantisce che ai sui tempi il guareschiano Piccolo Don nonché più lungo fiume d’Italia, 652 km, confluiva col Ticino un centinaio di metri più a monte. Gli credo. E arrivo a Broni, il tempo di pensare che sia un vero peccato che le fangose acque del Po insudicino quelle limpide del a me caro Ticino (le mie Maldive nel dopoguerra, transfer in 3a classe con la Nord al Ponte di Galliate, catering panino, birra & gazzosa).

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I vini “altisonanti” dell’Oltrepò

Il Club del Buttafuoco storico
Il Club del Buttafuoco storico

A Broni due piaceri. Facendo le corna ai miei amici Agnes della poco distante Rovescala (ma si rassicurino, la loro Bonarda resta da inginocchiatoio) obbedisco a Peppino, che, oriundo di questi lidi, gioca in casa, e visito le Cantine Francesco Montagna. Per la gradita ri-scoperta di due vini cult (almeno per me, da anni ne parlavo quasi si trattasse di entità ormai estinte): il Buttafuoco e il Sangue di Giuda. E poco dopo il sitibondo godimento diviene entusiasmo alla vista, con assaggio, del Barbacarlo, o meglio, di un gran vino per certo sosia perfetto del citato nettare che però non può portarne il nome (solite dispute ingrassanti gli avvocati). Mi congedo dai bravi cantinieri rampognandoli severamente (loro, che mi avevano generosamente sturato bottiglie per gustosi assaggi!). Ce l’ho infatti ‘coi piemontesi’, né commetto errori geografici perché l’Oltrepò fu dei Savoia fino al 1859 e “piemontesi” è tuttora chiamata la gens del posto (che in effetti non parla né mangia come i vicini della capitale Pavia). Sgrido i “piemontesi”, in generale, perché se si parla vini non è giusto che sì eccelse qualità di nettare debbano finire regolarmente ignorate, sovrastate da concorrenti forse divenuti celebri soltanto per “aiuti” più o meno discutibili e un marketing agguerrito. Perché mai nella maggioranza dei ristoranti milanesi invece di una buona, genuina Bonarda ti viene proposta un (faccio un nome … a caso) Nero d’Avola?

 

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