La gioia nel vedere quel mondo sottomarino, affollato da miriadi di pesci d’ogni dimensione e colore, è grande. Le ansie tuttavia non mancano: una grande manta ci passa vicino, e per nostra fortuna ci ignora maestosamente. Ci gironzolano intorno alcuni piccoli squali grigi ma, anche loro, non si dimostrano interessati alla nostra presenza. L’unica cosa da evitare è che sentano l’odore del sangue. A Los Róques m’ero molto spaventata quando un barracuda ci aveva stretto contro la barriera corallina, muovendosi nervosamente attorno a noi. A differenza dello squalo che, quando la tiene chiusa, ha la bocca quasi invisibile sotto il suo capo il barracuda, altrettanto carnivoro, ha la bocca ben corredata di denti acuminati proprio sulla punta del muso. Lungo com’è – può arrivare anche a due metri – ha un aspetto funesto, agghiacciante. In quel momento sott’acqua c’era con noi Italo e Guido aveva appena pescato una cernia con il fucile: il barracuda evidentemente era stato attirato dalle vibrazioni del pesce ferito. Siamo riusciti ad allontanarlo con una lunga picca che, fortunatamente, avevamo portato con noi, in previsione di brutti incontri Devo ammettere che quando sono riuscita a rifugiarmi sul gommone, ho tirato un sospiro di sollievo. Nei mesi successivi in Polinesia avremmo imparato a tirarci appresso un recipiente di plastica galleggiante, legato a una cimetta, così da mettervi dentro il pesce pescato, evitando che funzionasse da esca. Dopo tali esperienze decidiamo di far rotta a piccole tappe, verso il porto di Colon dove facciamo un trionfale entreè sulla scia spumeggiante di una grossa nave.
(22/02/2013)