Venerdì 26 Aprile 2024 - Anno XXII

In Corea ripensando alla Cena dei Ricordi

Non delle Beffe (la Cena) ma proprio dei Ricordi di un ormai datato viaggio nel Paese del Calmo Mattino, fra tennis, grandi magazzini, luoghi di vita (e ‘perdizione’!) e gustosa cucina all’insegna dell’aglio. Nel momento in cui spirano venti di guerra, il ricordo di un momento felice laggiù nel Sud Corea

Tempio coreano
Tempio coreano

La mè sciura (mia moglie in milanès e first sciura, in anglo/milanès, fu una ventina di anni la consorte del sindaco lumbard) invitata a una cena dalla Korean Air perché tour operator (nessuno è perfetto) mi segnala la possibilità di accodarmi. Saputo che avrei mangiato non solo in un ristorante coreano ma pure alla coreana (l’anno scorso a Berlino mi ritrovai in un ristorante messicano di polacchi ammannenti schifezze russe) accetto con piacere l’invito (e comunque, come mia prassi, contraccambio con la presente, doverosa marchetta) che oltretutto mi faciliterà un piacevole amarcord.

Antichi ‘contatti’ italo-coreani; tennis e pallone

Coppa Davis, 1987
Coppa Davis, 1987

Grazie alla manifestazione della Korean Air posso infatti ‘tornare indietro’ di 26 anni, anno del Signore 1987 e di una gita turistico–tennistica da me inventata per vedere Seoul, un po’ di Corea e assistere a un match di Coppa Davis. Per la cronaca l’Italia trionfò sul team locale (uno striminzito 3 a 2) ma ci fu poco da vantarsi: erano finite le glorie di Pietrangeli e Panatta e ci arrangiammo col fratello minore del secondo, al secolo Claudio, e col nervosetto Paolo Canè che il Gianni Clerici pensò bene di battezzare Neuro.

Che bella trasferta fu. Anche perché, prima di partire, nonostante fossi già non più imberbe viaggiatore, della Corea sapevo poco. E penso che pure adesso i neoamici della Korean Air debbano faticare per farla conoscere, fosse solo per quella posizione, quasi un vaso di coccio, tra Cina e Giappone e per quel nome che si ritrova a dover spartire con la birichina Corea del Nord (come noto, in economia la moneta cattiva, nella cronaca la cattiva notizia e nella vita la mala fama fanno aggio, contano di più dei loro virtuosi opposti).

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Amarcord fra Nord e Sud: la penisola divisa

In Corea ripensando alla Cena dei Ricordi

Pertanto, ai miei tempi, la Corea era una sorta di Carneade, noto solo per la Guerra (anni ’50, quanto tifo feci per i Marines, avanti e indietro dal 38° parallelo) e per la tragica disfatta (Mondiali pallonari del ’66, 1- 0) rifilataci dalla Corea del Nord. Caporetto fu uno scherzo (ancorché a me poco fregasse, tenevo, e tengo, solo per l’Inter). E ricordo ancora nome e cognome del giustiziere degli ‘Assurri’ di Mondino Fabbri. Fu Pak Doo Ik (n.b. in Corea si chiamano tutti o Park o Lee o Kim, c’è mica tanto da scegliere), “dentista” e suddito del Grande Leader Kim Il-Sung a gettare nella disperazione lo Stivale, che però fece in fretta a dimenticare: era estate e l’Italia di allora, agli inizi di una allegra ciucca consumistica prodotta dal miracolo economico, pensò subito bene di andare al mare a scurir le chiappe chiare. E c’era pure un’ulteriore Corea, ma si riferiva soltanto a un immaginario collettivo meneghino (l’è ona Corea, si diceva antan a Milano per designare edifici superabitati ma chissamai quando, come e perché nacque questo detto in una città che prima dei managers della Korean Air di coreani deve averne visti pochini).

La lunga ferita delle due Coree

In Corea ripensando alla Cena dei Ricordi

E fu così che con le suesposte, scarne conoscenze alla voce “Corea” giunsi a Seoul per trascorrervi un soggiorno di una settimana che mi divertì al netto del già descritto Tennis e della canonica visita turistico-culturale.

Un sopralluogo a residenze (con bei giardini) voluti dalle tante dinastie (importante la Silla, pressappoco all’inizio dell’era di Cristo) che come prima incombenza dovevano stare in campana dagli appetiti delle vicine potenze, in primis la Cina. Per non parlare del Giappone che nella prima metà del secolo scorso fece della Corea una sorta di colonia. Un storia complessa, quindi, quella coreana, destinata a concludersi, ai nostri giorni, con una particolarità davvero unica, a suo modo un record. Non è infatti azzardato commentare che la penisola coreana è occupata, contiene due Stati dalle differenze totalmente abissali, si parli di opposti. Al Nord quei balossi adoranti i loro Cari Leader che nel nome di chissà cosa (Marx non abita più a Pyongyang o non vi ma mai abitato) non permettono ai loro adoratori di poter combattere almeno la fame. I terùn del Sud Corea (un terzo dell’Italia, 50 milioni), invece, partiti da zero (e ci credo: con quei allora fanatici dei Japs in casa terrore e miseria garantiti) da brave formiche hanno creato quel signor impero della tecnologia e delle costruzioni che abbiamo sotto gli occhi (tanto per dire, nel Belpaese la meniamo a volte per decenni con tanti blablabla; per tirar su un ponte o metter giù un’autostrada un’impresa coreana impiega una notte).

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Il Paese dell’aglio e del ‘Calmo Mattino’

Danza dei veli
Danza dei veli

A rendere piacevoli i miei giorni coreani contribuirono le seguenti vocazioni: risparmio causa pochi danèe; gusto della trasgressione; bel canto; passione per l’aglio. E accadde quanto segue. Ossessionato dal figlio richiedente di vestire come i suoi consumistici (non loro, i genitori) amichetti, appena a Seoul mi fiondai a It’aewon e feci incetta di magliette, tute e scarp de tènis (taroccate? manco Sherlock Holmes se ne sarebbe accorto) pagando 10 volte meno che a Milano. La trasgressione: che serate al Texas (quartiere Luci Rosse, non so adesso) altro che Amsterdam! Il bel canto: in onore del genetliaco del Gianni gli cantai Granada e nella piazza sottostante si radunò (roba che nemmeno il Claudio Villa) una folla di seouliti osannanti incuranti del diluvio. E quanto all’aglio, solo in Corea lo amano quanto me (che goduria gustarne i denti gentilmente omaggiati nel pittoresco mercato degli alimentari (non ne ricordo il nome, forse Myong-dong). E parimenti (torno a Milano) abbondante aglio mi deliziò nel Kimchi e nel Bulgogi proposti nella cena milanese del Korean Air.

P.S. Unico rammarico mutuato dalla suesposta gita: non avere sperimentato quella Calma del Mattino che il Turismo coreano (unitamente all’info che Cheju-do è una bellissima isola, ma avendola sacrificata al tennis mi astengo) agita a mò di slogan-bandiera magnificando il Paese (quello, appunto del Calmo Mattino). Sono curiosissimo.

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