Urihi
, la terra che Dio ha dato agli Yanomami per viverci generazione dopo generazione è la foresta degli esseri umani. Ma può anche essere il nome dell’intero mondo: “urihi a pree“, la grande terra-foresta. La terra per gli Yanomami non è un semplice scenario inerte, sottomesso alla volontà degli esseri umani; è al contrario un‘entità viva, animata dal soffio “wixia“, il principio immateriale della fertilità.
Gli animali che accoglie sono visti come antenati mitici che hanno subito una metamorfosi in ragione del loro comportamento scorretto; per tale motivo sono degni di rispetto e di speciali attenzioni rituali nel periodo della caccia. La foresta offre, oltre alla cacciagione, che si pratica con l’arco, e alla pesca un’alimentazione molto varia. La popolazione Yanomami alterna la raccolta di frutti selvatici, castagne, miele e funghi, alla coltivazione di manioca, patata dolce, papaia, banane.
Urihi a pree, la grande foresta dove vive il popolo comunità
La grande casa plurifamiliare, nella quale possono vivere anche duecento individui, è considerata un’unità economica e politica autonoma. Il grande anello con struttura in legno e copertura di foglie, demarca lo spazio umano sottratto alla foresta. Questo denota il carattere spiccatamente comunitario del popolo Yanomami. La casa circolare, incastonata in una natura “viva ” e lussureggiante, rimanda all’immagine della coesione del gruppo che, per sopravvivere, si stringe in un abbraccio tra “esseri umani”.
Bambini che sono adulti in miniatura
Più che esseri incompleti con spazi e luoghi separati, i piccoli Yanomami sono adulti in miniatura. Molto presto devono apprendere attività manuali di base, come accendere il fuoco senza bruciarsi o usare un coltello senza tagliarsi. È molto frequente vedere una madre che torna dalla raccolta con la cesta piena di frutta seguita dai figli piccoli; anch’essi con ceste adeguate alla loro taglia, riempite con piccoli frutti o legna.
L’uso e la costruzione di arco e freccia è insegnato dal padre. Arrivati all’età adulta, ai ragazzi non restano misteri della vita quotidiana da svelare, anche se l’apprendimento culturale, legato alla spiritualità, alla danza, al rito, continua e si sviluppa sino alla vecchiaia e alla morte.
Tra i riti annuali degli Yanomani
La celebrazione della raccolta del frutto della “pupunha” (Bactris, frutto della palma Guilialma speciosa) è tra i riti annuali più significativi. I frutti, simili a grandi nespole, vengono mangiati lessati e hanno un gusto gradevole, tra la patata e la castagna.
La pupunha, che cresce spontaneamente nell’area amazzonica, è un alimento importante per gli Yanomami. Il periodo della raccolta è accompagnato da grandi feste collettive nella urihi a pree.
La pittura del viso e del corpo rappresenta una delle fasi più importanti di preparazione alla festa. Ogni famiglia dipinge sulla pelle le sue linee di riconoscimento, disegni che sono i simboli dell’identità del piccolo gruppo, usando le pitture vegetali ricavate della rossa bacca “urucum” e dal frutto nero del “genipapo”. I pigmenti rossi e neri infonderebbero coraggio ed energia vitale a chi li usa.
La danza degli uomini durante la festa
Nel corso della preparazione gli uomini del villaggio praticano il dialogo ritmico all’orecchio, trasmissione ritualizzata della cultura orale. Questa pratica, che consiste nel “depositare” la parola nell’orecchio del compagno effettuando una sorta di danza da accovacciati, avviene solo tra maschi e denota altresì un certo grado di conoscenza dei partecipanti.
La comprensione di questo genere di comunicazione, che nella pratica diventa una ripetizione quasi contemporanea, fa parte infatti della preparazione all’età adulta ed è quindi inclusa nell’apprendimento degli adolescenti che, con le loro piume bianche sulla testa, aprono in questo modo la festa della pupunha.
La celebrazione vera e propria della festa consiste nel preparare e consumare un’enorme quantità di bevanda ricavata dalla pupunha e culmina con il vomito liberatorio di tutti i partecipanti. L’atto del vomitare è visto dagli indios Yanomami come indice di abbondanza: la presenza cioè, rara nel corso dell’anno, di una quantità di alimento o di bevanda tale da non poter più essere contenuta.
Questo è un buon segno; denota cioè il completo successo della festa, la generosità della natura o di chi ha raccolto, preparato e distribuito la bevanda. Per questo l’atto del vomitare è vissuto come il momento culminante del rito, quello che ne sottolinea, più di ogni altra cosa, la buona riuscita.
La prima parte del servizio dal titolo: Gli Indios nativi del Sud America tra Venezuela e Brasile
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