Giovedì 28 Marzo 2024 - Anno XXII

Dall’Africa alla Cambogia, la speranza scorre sull’acqua

Vite in viaggio per amore e desiderio di riscatto. Comincia nella foresta tra i pigmei l’avventura di “Papà Mekong”, Infinito edizioni. Il primo capitolo del libro fa da preludio alla storia che seguirà. Una donna cercherà la verità sulla vita del padre. Attraversando Vietnam, Birmania, Thailandia e Cambogia incontrerà missionari e prostitute, ex guerrigliere e avventurieri. Sulle rive del più affascinante fiume d’Asia

Dall'Africa alla Cambogia, la speranza scorre sull'acqua

La canoa scivolava lenta: c’era poca acqua nel fiume. La stagione delle piogge stava per arrivare e avrebbe finalmente restituito vita al cuore dell’Africa. Ora tutto era secco: la terra, le piante, le bocche degli animali. Silvia e Luigi stavano raggiungendo il villaggio dei pigmei, un paio di chilometri più a valle. Il fiume era l’unico modo per arrivare fin là: altrimenti avrebbero dovuto attraversare la giungla a piedi, e per loro non sarebbe stato facile. Erano tranquilli. Non li spaventava né l’idea di finire in acqua – un rischio altissimo, perché la piccola canoa era davvero instabile – né la possibilità di dover proseguire camminando, se la barchetta si fosse arenata.

«Quanto manca?» chiese Luigi alla guida che teneva il timone.

«Ci siamo quasi, pochi minuti».

 

Il fiume si allargò all’improvviso, le sponde si allontanarono e poi piegarono a destra, in una larga curva. «Eccoli là, ci aspettano sulla riva».

C’era quasi tutta la tribù schierata. Il capo andò loro incontro, la mano destra tesa a dare il benvenuto all’occidentale, con una calorosa stretta che serviva anche da appoggio per scendere dalla canoa.

«Mamma mia quanto sono brutti» sussurrò Silvia.

Luigi sorrise. Per darle ragione. Certo non si aspettavano un popolo bello ed elegante, ma quella piccola tribù li sorprese. Erano una ventina di persone, compresi cinque o sei bambini. In pratica tre famiglie che vivevano dentro capanne di paglia. Alti come ragazzini di dieci anni, vestivano gonnellini di foglie ed erano armati di archi e frecce. L’alba dell’uomo.

 

La guida fece le solite spiegazioni di rito su abitudini alimentari, religione, tradizioni. C’era un’atmosfera strana in quella porzione di mondo: Silvia e Luigi si guardavano senza parlare e senza sorridere. Si sentivano estranei e colpevoli, come se fossero lì a osservare un film animato, a frugare nell’intimità di chi veniva proposto come uno zoo umano. Non fecero domande, non regalarono soldi. Accarezzarono i bambini, tutti con la pancia gonfia, piena d’aria e di poco altro.

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«Venite, sono pronti» li chiamò la guida.

«Pronti per cosa? » chiese Luigi.

«Per la caccia. Andiamo a caccia con loro».

Non rifiutarono, perché sarebbe stato offensivo. E abbandonarono la radura del villaggio per lasciarsi inghiottire dalla giungla. Si ritrovarono in fila indiana, il capo tribù in testa, loro in mezzo agli altri cacciatori e la guida per ultima, a chiudere il gruppetto. I pigmei erano a piedi nudi e avanzavano senza fare il minimo rumore, attenti a quello che accadeva intorno, alle prede che potevano presentarsi. Silvia e Luigi sembravano due bulldozer, rumorosi come carri armati, anche se cercavano di muoversi con leggerezza. Faceva caldo nella giungla, quell’afa umida che toglie il respiro e fa sudare senza sosta.

 

Silvia e Luigi si cercavano con gli occhi, non erano intimoriti ma un po’ a disagio. A caccia con i pigmei: era un’esperienza straordinaria. Tacevano. Luigi, che era subito dietro Silvia, la accarezzava appena poteva: un modo per rassicurarla. Camminarono qualche minuto prima di assistere allo spettacolo. I cacciatori videro un gruppo di scimmie appollaiate sugli alberi a una decina di metri da loro. Si fermarono e fecero segno a tutti di restare immobili. Non si sentì neppure un fruscio quando presero le frecce e le sistemarono sugli archi. Ciascuno scelse la sua preda e quando furono pronti tirarono tutti insieme, come se avessero obbedito a un comando silenzioso. Dagli alberi ci fu una pioggia di scimmie. Caddero a terra tutte, tranne quella che avrebbe dovuto colpire il capo. Aveva sbagliato e le grida di soddisfazione per la buona caccia si trasformarono in urla di presa in giro per chi aveva commesso l’errore. Era la loro democrazia tribale.

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Silvia era stanca. Ma contenta. Anche se la fine della caccia le aveva riservato una delle esperienze più brutali della sua vita. I pigmei mangiavano le scimmie e le avevano proposte anche a loro. Luigi si era immediatamente rifiutato. Lei no. Proprio la scimmia era una delle pietanze che mancavano a quella che gli altri consideravano la sua collezione di orrori alimentari. Silvia aveva mangiato di tutto, dall’elefante ai vermi, ma il cervello di scimmia non l’aveva ancora assaggiato.

Dall'Africa alla Cambogia, la speranza scorre sull'acqua

«Almeno ti sarai pentita, visto che è la quarta volta che vomiti» le disse Luigi.

Erano in un piccolo albergo, una stamberga di quelle che ancora si trovano in Africa, dove si riesce a dormire soltanto se si è davvero esausti. Lenzuola color grigio usura, materassi con avvallamento, cuscini giallo sudore, sui quali bisognava infilare una maglietta pulita prima di poggiarci la testa.

«Posso dirlo? – riuscì a sussurrare Silvia – Una delle cose più immonde che abbia mai ingurgitato. I vermi australiani sono una vera delizia al confronto».

 

«Piantala, fai schifo!» replicò Luigi, digiuno, ormai, da un giorno intero.

Erano una coppia affiatata, rodata da tante esperienze di viaggi fatti insieme ma anche da soli, ciascuno per proprio conto. Erano a un passo dal matrimonio, ma era davvero come se fossero sposati da tempo. Vivevano insieme e condividevano molte cose: passioni e lavoro. Il giornalismo era stato per entrambi il sogno della gioventù: ora, superata da un po’ la soglia dei trent’anni, lo avevano realizzato. Silvia lavorava per un magazine di viaggi, Luigi era caporedattore di un quotidiano. Vita a volte affannosa, con orari difficili, ma piacevole, senza grossi problemi.

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Come tutte le coppie, avevano il loro privatissimo equilibrio. Silvia era la più energica fra i due: più curiosa, più disposta alla novità e anche all’imprevisto. Luigi si lasciava rassicurare dalle abitudini e aveva l’ossessione della pulizia. Ogni volta che affrontavano un viaggio nei Paesi che lui definiva «senza confort», si riproponeva il solito problema: come evitare malattie, infezioni, sporcizia. Per convincerlo a seguirla nel Congo, Silvia aveva dovuto far ricorso a tutte le arti femminili. Ma non le era stato affatto difficile. Era furba, intelligente e bella. E sapeva come trattare gli uomini. Luigi si arrese, ma per lui fu un viaggio durissimo.

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