Venerdì 26 Aprile 2024 - Anno XXII

Passaggio a nord-ovest. Sulle tracce di Amundsen

Poeta e scrittore genovese, Maggiari approda a
Gjøa Haven, un insediamento Inuit del Nunavut in Canada, vicino al Circolo Polare Artico. Nel gelo incontrerà Paul Ikuallaq, il nipote di Roald Amundsen, l’intrepido norvegese, esploratore dei poli. Un viaggio avventuroso lungo le rotte dell’Artico scandito da prosa e poesia nel libro “Passaggio a nord ovest”, Alpine Studio editore

Inuit sul pack vicino a Gjoa Haven
Inuit sul pack vicino a Gjoa Haven

Destinazione Nunavut. Nuovo territorio federale di amministrazione inuit. Partenza alle quattro e mezzo del mattino. Mi ci vorranno otto aerei e oltre venti ore di volo per raggiungere la destinazione artica e ritornare alla base di Charleston dopo dieci giorni. Lassù sulle sponde di una baia a forma di uncino, in un territorio immenso oltre il Canada, si trova Gjoa Haven.

Il solo menzionare quel nome richiama le peripezie di una storia bellissima. Questo villaggio è stato fondato da Roald Engelbregt Amundsen tra il 1903 e il 1906 durante un’epica esplorazione del passaggio a nord-ovest che sbalordì il mondo intero. Sorprese tutti l’impresa del vascello Gjøa per la sua partenza lampo, i mezzi limitati a disposizione, la passione negli animi dei sette esploratori, l’influenza benevola della sorte.

E alla fine, lo straordinario annuncio di Amundsen, dopo un’interminabile corsa in slitta lungo il fiume Yukon fino al primo telegrafo in Alaska. Il gruppo di norvegesi passò in quella baia ben due inverni, incontrando nelle vicinanze dei cacciatori inuit e fraternizzando con loro e le loro famiglie. Così, per caso, si formò proprio allora una piccola comunità che ancora oggi vive coi suoi milleduecento residenti una quotidianità fatta di incontri, affettuosità e profonda umanità.

Amundsen imparerà da quella umile gente a vestirsi come un inuit, a cacciare e a pescare in ogni stagione, a usare con astuzia cani e slitte, a costruire l’igloo, a leggere la neve e il ghiaccio, a saper aspettare il momento propizio e a comprendere le rotte iscritte dal vento sui mari di ghiaccio. Proprio lì, nel passaggio a nord-ovest, Roald ritornava alle radici vichinghe per preparare la più grande impresa della sua vita: la conquista del polo sud (1911-13).

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Passaggio a nord ovest, Alpine Studio editore, pagine 224,prezzo  15,00 euro
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All’arrivo il piccolo aereo tocca la pista con un tonfo sordo, stiamo scorrendo veloci su di una superficie ghiacciata circondata a trecentosessanta gradi dal biancore artico. A bordo siamo in cinque e in silenzio attendiamo l’attracco. Tutto va liscio. S’apre il portellone. “Welcome! Benvenuti!” Siete arrivati quasi in cima a tutta la terrestrità del mondo. Il sole vola basso sull’orizzonte ed è lì che appartiene a queste latitudini, mentre i profili di oggetti e persone, bersagliati dalla luce intensa, s’accendono di bagliori che vanno subito a evaporare nell’infinito. Mi aspetta Gerard nella gelida sala d’aspetto, un simpatico irlandese dal baffetto vispo, che mi darà uno strappo al rustico alloggio di cui è il gestore.

Il gelo è feroce. Siamo a -40 e tra una folata e l’altra, il mirino della temperatura a volte scorre molto più in giù. Facendo conversazione, mi racconta del luogo e della gente che abita qui, mentre io rivelo lo scopo preciso della mia visita. Sono a Gjoa Haven per incontrare il nipote di Roald Amundsen, un certo Paul Ikuallaq che sarà anche la mia guida nei dintorni di Uqsuqtuuq (nome inuktitut di Gjoa Haven che significa “abbondanza di grasso”).

Con Paul intendo esplorare i dintorni, incontrare i membri della comunità, parlare dell’antenato e capire da dentro e fuori quello che il norvegese ha imparato da quella gente che riesce a farla franca in quei luoghi così ostili.

Cacciatore Inuit a Gjoa Haven
Cacciatore Inuit a Gjoa Haven

Gerard capisce allora che sono uno degli occasionali pellegrini che compaiono sulle traccia di Amundsen e della sua memoria. Un ricercatore volenteroso, probabilmente curioso di capire di più. Lasciate le mie cose in camera, provo a recarmi al monumento dell’esploratore su di un promontorio di fronte alla baia. Inutile quel frettoloso tentativo. Il freddo e il vento mi costringono a un rientro forfettario. L’equipaggiamento alpino non è sufficiente da queste parti. Devo trovare una soluzione con Paul che senza dubbio potrà aiutarmi. È lui, la mia guida inuit.

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Con il suo retaggio e la mia ammirazione per l’avo, non può che esserci un buon feeling sin dall’inizio. L’indomani vado a casa sua e da subito faremo amicizia. Incontrerò la moglie, i nipotini e quasi tutta la famiglia. In un inglese sillabato pazientemente la signora Ikuallaq mi confesserà di essere nata in un igloo e che lì faceva freddo a pensarci bene, ma che stando tutti insieme si sentiva meno quel freddo. Finisce il racconto con una frase lapidaria, pronunciata da chi l’ha vissuta nei contenuti: sì, la natura può essere crudele.

Mi vestiranno con parka e stivali del figlio e poi scivoleremo via oltre la doppia porta di casa verso l’avventura dei ghiacci e di Amundsen. Prima tappa i luoghi dove i norvegesi hanno costruito i rifugi per vivere e per condurre lo studio scientifico del polo nord magnetico. Fotografo le placche commemorative e leggo con attenzione le informazioni che riportano. Alla storia ufficiale si aggiungono le testimonianze di anziani locali.

Uno di loro è Bob, il fratello di Paul. Penso di essere proprio sulla pista buona. Poco dopo andiamo a fargli una visita nella sua casa di fronte alla baia. Entriamo, siede vicino alla finestra, ci saluta con un sorriso distaccato e prudente. Prende i binocoli e per un attimo guarda lontano parlando tra sé. “Ci sono i cacciatori di foche sulla banchisa, stanno seguendo le tracce della volpe in cerca di una preda…” “Fantastico!” mi dico, sto davvero entrando nell’anima del luogo, nei suoi intimi meandri.

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