Lungo l’Appia antica, a dieci chilometri da Matera in una delle gravine dell’altopiano della Murgia, c’è uno dei siti artistici più suggestivi del Sud Italia: la Cripta del Peccato originale. In una cavità naturale a strapiombo sulla “Gravina di Picciano”, la mano sapiente del “Pittore dei Fiori di Matera”, come è stato definito questo artista sconosciuto, ha narrato scene dell’antico e del nuovo testamento in un ciclo affrescato risalente al IX secolo dopo Cristo, cinquecento anni prima di Giotto. La Cripta del Peccato Originale rappresenta una delle testimonianze più significative della pittura altomedievale dell’area mediterranea. Il suo ciclo di affreschi evidenzia i caratteri tipici dell’arte benedettino-beneventana (secc. VIII-IX): Dio Padre Creatore, la Luce, le Tenebre, la creazione di Adamo, la nascita di Eva, la tentazione e il Peccato Originale. Il racconto della Creazione lascia spazio, nelle tre conche absidali, alle triarchie degli Apostoli (Pietro, Andrea e Giovanni), degli Arcangeli (Michele, Gabriele e Raffaele) e alla venerazione della Vergine Regina.
Riscoperta nel maggio del 1963 da un gruppo di giovani appassionati materani, da ricovero per greggi la Cripta è diventata una delle tappe nella visita alla Città dei Sassi. Il restauro voluto dalla Fondazione Zétema di Matera e realizzato con la consulenza dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, ha restituito gli straordinari affreschi alla piena fruizione. Un percorso di visita valorizzato dalla suggestione di luci e suoni invita a godere delle meraviglie della “Cappella Sistina” della pittura parietale rupestre, come è stata da più parti definita (info: www.criptadelpeccatooriginale.it).
La grotta dei Cento Santi, tutta da studiare
La grotta o cripta del peccato originale di Matera, già oggetto di attenzione da parte di Donato Giordano, con una pubblicazione che risale al 1989, torna oggi alla ribalta con un nuovo studio curato da Gioia Bertelli, ordinario di Storia dell’Arte Medievale all’Università degli Studi Aldo Moro di Bari e Marcello Mignozzi, dottore di ricerca in Arti, Letterature e Lingue italiana ed europee, sempre all’Università degli Studi di Bari. Il frutto del loro lavoro è racchiuso in un volume che sarà presentato il 12 marzo prossimo, alle ore 16.30 nel Salone degli Affreschi nel Palazzo Ateneo di Bari. “La Grotta del Peccato Originale a Matera. La gravina, la grotta, gli affreschi, la cultura Materiale”, Adda editore, racconta della stessa scoperta avvenuta nel 1963 da parte di ignari pastori che la ribattezzarono, come scrive Raffaello De Ruggeri nel suo intervento di presentazione, “la grotta dei Cento santi”. Il recente studio, “il primo organico e interdisciplinare su quell’invaso grottale scoperto il 1° maggio 1963”, a detta di De Ruggeri, “finalmente giunge dopo cinquant’anni”, grazie alla costanza e alla qualità scientifica di Gioia Bertelli.
Cripta del peccato: un luogo di culto che incanta
Il testo, scritto a più mani, si apre illustrando le caratteristiche geomorfologiche del luogo, accompagnando il lettore e il futuro visitatore nello straordinario sito rappresentato dalla Murgia materana, dalle sue gravine, veri canyon di civiltà e insediamenti rupestri. Il lavoro di squadra ha avuto il pregio di documentare le condizioni e le tensioni di un’epoca complessa, come fu quella dell’Alto Medioevo in Basilicata. Gli autori cercano di rintracciare nelle fonti documentarie la denominazione di questo eccezionale luogo di culto: che potrebbe essere individuata nel Chronicon Sanctae Sophiae di Benevento (del 774), là dove si ricorda una donazione del principe longobardo Arechi II al monastero beneventano di S. Sofia, la donazione di una «ecclesia sancte Marie que posita est in Matera in Affle» (nel documento, tra le righe, si aggiunge che la chiesa era intitolata anche all’Angelo). E il fatto che la Vergine e i tre arcangeli vengano qui raffigurati in due nicchie, potrebbe avvalorare questa identificazione. A conclusione, è lecito lasciarsi andare a una considerazione. L’aver puntato e consolidato la ricerca su questo genere unico di pittura, sul fascino che ha conservato nei secoli, ci fa andare con la mente non solo a quel tempo remoto ma anche a uno più vicino: il 2005, quando l’antico insediamento, con orgoglio fu definito “La Cappella Sistina” delle chiese rupestri. Mai definizione fu più pertinente e veritiera, anche se audace e un po’ temeraria.
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