Lunedì 25 Novembre 2024 - Anno XXII

Molucche, antiche Isole delle Spezie

Isole Malucche

Una giovane giornalista “prestata” a Madrid ci presenta le Molucche, le mitiche isole delle Spezie, palcoscenico per avventure di spietati e intrepidi capitani, esploratori, pirati e mercanti. Un remoto arcipelago nel Pacifico, considerato una sorta di “El Dorado” da portoghesi, olandesi e inglesi

Qui il tempo si è fermato
Antica mappa
Antica mappa

Viste oggi sulle carte geografiche, le minuscole Isole Banda quasi non appaiono. Eppure non è sempre stato così. Le primitive mappe del diciassettesimo secolo, mostrano il piccolo gruppo di atolli con dimensioni del tutto ingigantite rispetto a quelle reali. La riproduzione le mostrava proporzionali rispetto all’importanza che rivestivano all’epoca.

Questo remoto e dimenticato arcipelago del Pacifico, considerato anticamente una sorta di “El Dorado” da portoghesi, olandesi e inglesi. Era, infatti, uno dei centri più ricchi delle “Drogherie”, le mitiche isole delle Spezie. Per molto tempo furono il palcoscenico per avventure di spietati e intrepidi capitani, esploratori, pirati e mercanti.

Molucche: tra le grandi isole di Sulawesi e di Papua
Molucche Ambon
Ambon

Le antiche Isole delle Spezie oggi fanno parte della provincia indonesiana di Maluku. Un folto arcipelago situato nel braccio di mare che si estende tra le grandi isole di Sulawesi e di Papua. Esattamente al centro della provincia, riparata dalla grande e selvaggia isola di Seram, si trova la capitale delle Molucche: Ambon. Un epicentro perfetto rispetto agli antichi sultanati del nord. Alle isole vulcaniche di Ternate e Tidore, i mercanti arabi si rifornivano di spezie che portavano sul mercato medievale europeo. Lo facevano per mezzo di carovane che attraversavano l’India e la Persia già dal dodicesimo secolo e, più a sud, rispetto alle intriganti isole Banda o alle più solitarie Kei.

 Molucche crocevia di popoli
Giochi di bambini
Giochi di bambini

Quelle che un tempo furono il sogno di sultani, mercanti e grandi imperi europei, appaiono oggi come uno dei luoghi meno accessibili e più autentici dell’Indonesia. Eppure, l’eredità lasciata dal fatto di rappresentare per molto tempo un intenso e trafficato crocevia di popoli è tuttora ben visibile in tutta la sua decadenza. È visibile tra la erbose rovine dei vecchi fortini olandesi; tra le facciate arroccate di quelle che un tempo furono signorili case coloniali; così come negli scheletri delle chiese e delle moschee bruciate negli scontri intestini tra cristiani e musulmani che insanguinarono le Molucche tra il 1999 e il 2002 e che le isolarono ancora di più dal resto del mondo.

Oggigiorno, fortunatamente, non sono rimaste che le cicatrici di quella tragica parentesi. Come in molti casi accade, sotto la generica etichetta di conflitto religioso nascondeva si celano tensioni di tipo sociale e politico. La spietata dittatura di Sohearto lo aveva fomentato in trent’anni di governo. Con la caduta del dittatore alla fine degli anni Novanta, passarono in eredità a un paese flagellato dalla crisi economica.

Come si raggiungono le isole
Il Traghetto
Il Traghetto

Alle Isole Banda, un arcipelago di quindicimila abitanti, situato duecento chilometri a sud di Ambon, si arriva con un piccolo aereo ad elica, da una ventina di posti. Un volo a settimana, che prosegue poi verso la grande isola di Seram e far ritorno in giornata alla capitale. Via mare non vi sono chances di poterle raggiungere con una frequenza più accelerata. Al contrario. La nave rappresenta un’opzione valida solo per chi è fornito di molto tempo e parecchia pazienza. Due virtù da non sottovalutare per girare l’Indonesia via mare. Nel lungo viaggio da Makassar a Irian Jaya (Papua) l’unico traghetto pubblico che vi approda ogni due settimane, è la Pelni Cirenai. Il suo attracco nel minuscolo porto di Banda Neira si trasforma, neanche a dirlo, in un vero e proprio assedio di pirati scalmanati, in questo caso senza scrigni pieni di dobloni d’oro, ma carichi di casse e scatoloni contenenti elettrodomestici e ricambi per motorini.

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Molucche: mutua assistenza tra i villaggi
Una moschea a ridosso del mare sull'isola di Hatta
Una moschea a ridosso del mare sull’isola di Hatta

Da qualche anno, pare del tutto ristabilito il clima di serenità che aveva fatto delle antiche “Drogherie” un modello di pacifica convivenza. Questo è dovuto a un sistema culturale basato sul concetto di pela: un patto tradizionale che garantiva la mutua assistenza tra villaggi. Una unione verso un nemico comune (anticamente, ad esempio, contro le forze colonialiste) a prescindere dalla scelta confessionale e spesso in nome di antenati comuni (pela gandong). Un vincolo talmente al di sopra delle differenze religiose, che per gli aderenti cristiani diveniva abituale partecipare alla costruzione di una moschea e per i musulmani contribuire a quella di una chiesa.

La fine del conflitto ha dunque permesso alle Molucche di riaprire i battenti verso l’esterno. Pur sempre preservandosi in quel tepore incantato con cui devono averle conosciute i capitani di ventura inviati dalla Compagnie delle Indie Orientali nel Seicento. Niente a che vedere con le tempistiche dell’epoca, evidentemente. È inutile però nascondere la difficoltà dei trasporti per raggiungerle che restano difficoltosi. E le strutture ricettive si rivolgono a un turismo timido e per nulla invadente.

Molucche: il tempo si è fermato alle Isole Banda
La spiaggia di Ai
La spiaggia di Ai

Se queste isole hanno sempre richiesto una certa dose di pazienza agli esploratori e ai mercanti che le cercavano, anche nel ventunesimo secolo avranno da astenersi dal frequentarle nevrotici globe-trotters con ansie da incastri di orari e connections. Se ancora non fosse chiaro, alle Molucche, e soprattutto alle Isole Banda, il tempo si è fermato. Si è fermato in ognuna delle dieci isole vulcaniche che compongono l’arcipelago, di cui le cinque abitate sono: Neira, Banda Besar, Ai, Run e Hatta.

Banda Neira è la porta d’ingresso alle Banda, nonché il fulcro della vita dell’intero arcipelago grazie alla sua posizione centrale e al porto naturale creato in un’insenatura di mare su cui vigila il vulcano Gunung Api, letteralmente la “montagna di fuoco”. Una sentinella naturale temuta e cara ai bandanesi. Ricordano come nel 1599, in seguito a un’antica profezia, il Gunung Api, risvegliatosi da un sonno durato secoli, scatenò una violenta tempesta di fuochi e lapilli come avvertimento per gli isolani: era lo stesso giorno in cui gli olandesi gettarono per la prima volta l’ancora al largo del porto di Neira.

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Molucche: il lungo sonno del Gunung Api
Il vulcano Gunung Api al tramonto
Il vulcano Gunung Api al tramonto

In tempi recenti il vulcano ha sfogato la sua ira nel 1988, distruggendo tutte le case che sorgevano sulle sue pendici e delle quali è rimasta solo qualche traccia. Da allora, ha ripreso a dormire così pacificamente da lasciarsi perlustrare dalla punta. Con una faticosa camminata all’ora del tramonto ripaga con una splendida vista sull’arcipelago, fino alle pendici sottomarine, dove si trovano alcuni dei migliori “spot” per lo snorkelling e le immersioni.

Tra le sommerse colate di lava e gli splendidi coralli, si aggirano pesci multicolori e serpenti marini lunghi fino a tre metri, che pare abbiano scelto come unica dimora dei dintorni il fondo roccioso che circonda “la montagna di fuoco”. Senza fare troppa fatica, in realtà non è poi così male osservare il vulcano anche solo a pochi metri di distanza. Per esempio dai moli in legno delle guest-house che danno direttamente sul corridoio di mare che separa il Gunung Api da Neira, magari con una birra ghiacciata all’ora del tramonto, quando i pescatori fanno ritorno a casa a bordo dei loro praho, le locali barche a bilanciere.

L’animato mercato di Neira
Molucche Scaricando la merce a Neira
Scaricando la merce a Neira

Neira è il nodo delle attività dell’arcipelago, nonché il centro di un animato mercato ittico e di alcuni negozi nei pressi del porto, attorno al quale ruota la vita del villaggio.
Una passeggiata tra le tranquille strade, percorribili esclusivamente a piedi o in ojek (motorino) sveleranno il passato coloniale dell’isola. Nel nascosto Benteng Nassau, si trova un avamposto risalente al 1529, lasciato in eredità dai portoghesi agli olandesi; oramai seppellito sotto una folta coltre di edera, non restano altro che le galline a scorrazzare tra vecchi dobloni e qualche cartuccia di moschetto.

Resti della vita coloniale di fine secolo
Molucche- Forte Benteng Belgica
Molucche Forte Benteng Belgica

Il più imponente Benteng Belgica è, invece, un fortino recentemente ristrutturato. Ben visibile dal mare, occupa una posizione dominante sopra il porto con i suoi cannoni ancora puntati contro le navi nemiche. Ai suoi piedi, lungo le arterie principali del villaggio, si trovano disseminate le antiche dimore signorili, alcune delle quali restaurate; la maggior parte, invece, abbandonate e vuote. Come la residenza del governatore olandese, dove qualche lampadario barocco e alcune tracce sui muri hanno il potere di richiamare alla memoria il fasto e la frivolezza che contraddistingueva la vita coloniale nelle Banda fin-de-siècle.

Un tenore di vita tipicamente europeo e molto al di sopra rispetto alle risorse del momento, portò infine gli olandesi a dilapidare le ricchezze e ad abbandonare l’arcipelago. In realtà, l’età dell’oro delle Banda era terminata già molto prima: l’estenuante sfida tra inglesi e olandesi per il controllo di questo minuscolo e remoto arcipelago, trova come unica spiegazione il fatto che la ricchezza per cui si sfidavano, ovvero la noce moscata, nasceva solo ed esclusivamente alle Banda e, in particolare, nell’isola di Banda Besar e nella più lontana Run.

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La noce moscata spezia di lusso
La sagoma dell'isola di Run
La sagoma dell’isola di Run

Il valore della noce moscata, oggi niente più che una spezia per cucinare, nell’Europa del Seicento era il lusso più ambizioso che si potesse desiderare. Si pensava che la noce moscata fosse dotata di virtù terapeutiche e miracolose in grado di curare perfino la peste.
Quando gli olandesi riuscirono a strappare agli inglesi l’ultima e la più ricca delle isole, Run, paradossalmente iniziò per loro il declino.

Prima di abbandonare l’isola, gli inglesi raccolsero tutta la noce moscata a disposizione e la trapiantarono a Ceylon e negli altri possedimenti. Da quel momento la noce moscata non fu più l’oro che cresceva solo alle Banda. Non solo. L’accordo che aveva portato alla fine della guerra tra la due nazioni europee aveva garantito agli olandesi la giurisdizione su Run, a patto che questi consegnassero agli inglesi un’altra isola di loro proprietà: quell’isola era Manhattan.

Run in festa quando arriva qualche turista
Atollo di Neilaka
Atollo di Neilaka

La – un tempo – celebre e ambita Run è ora un luogo sonnolento e sperduto e il paragone con la Grande Mela non può che risultare paradossale. Normalmente la si raggiunge in giornata dalla vicina isola di Ai, poiché non è dotata di nessuna struttura ricettiva. L’arrivo di qualche turista rappresenta una festa collettiva. Comincia fin dal difficile ormeggio in un porticciolo poco attrezzato; prosegue durante la sfilata per le stradine in salita su cui si affacciano i balconi fioriti delle case e i polpi appesi ad essiccare; fino alla cima rocciosa dell’isola, dove, con orgoglio, gli abitanti trascinano i turisti a visitare il fortino inglese. Lo stesso che resistette fino all’ultimo all’aggressione olandese e di cui, in realtà, non è rimasta più nessuna traccia.

Così come non è rimasta alcuna traccia del fortino inglese un tempo stanziato nella vicina Neilaka, un minuscolo atollo, che durante la bassa marea si congiunge alla sorella maggiore Run. L’essenza di Neilaka si riassume in una spiaggia di sabbia bianca, un limpido mare turchese e qualche albero di noce moscata. Uno sguardo sott’acqua, invece, regala la vista di uno splendido reef nel lembo di mare che unisce l’atollo con Run. Prima che tramonti il sole, però, bisogna far ritorno a Neira o nella vicina Ai, dove, sul far della sera, il mare si popola di lucciole: i pescatori sono usciti e il mare brilla delle lampade attaccate ai loro praho. Nel frattempo, si accendono i fuochi e l’aria si carica dell’odore della brace, del pesce e, ovviamente, del profumo inebriante della noce moscata.

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