Giovedì 21 Novembre 2024 - Anno XXII

L’oro bianco di Atacama

foto di Leon Petrosyan

Il deserto cileno, fra i più aridi del mondo, conserva le testimonianze dei “pampinos”, scavatori di salnitro: fatica, sofferenze e spirito di solidarietà

Aracama La Valle della Luna foto di-Diego Delso
La Valle della Luna foto di-Diego Delso

Atacama, Pochi ne conoscono l’esistenza, e non importa che siano cileni o stranieri. Atterrano tutti a Calama, direttamente dalla capitale. Salgono su un autobus che punta verso Est, e scendono a San Pedro, nel cuore del deserto di Atacama. Qualche giorno di escursioni nei dintorni, indimenticabili tramonti sul Salar popolato di fenicotteri rosa, o sulle dune di sabbia della Valle della Luna, e poi di nuovo a Calama, per prendere il primo volo diretto al Sud.
Viene voglia di dir loro che quello che hanno appena fatto è in realtà un viaggio incompleto; che hanno visto solo un frammento di questo immenso deserto del Nord cileno, lungo oltre 600 km. L’Atacama è anche altro. Anzi, è soprattutto altro.

Atavama Le dune foto di Roberto Ortuzar
Le dune foto di Roberto Ortuzar

L’Atacama è il deserto per definizione. E’ una distesa di terra secca e polverosa, portata ovunque da un vento che non concede mai tregua. Grigia, triste, piatta e inospitale, terribilmente silenziosa e dalla luce accecante e insistente, rassegnata a non riuscire a creare la più piccola ombra. Così hanno sempre descritto l’Atacama; davvero, il “deserto più arido del mondo”. Dove niente e nessuno è mai riuscito a crescere. Non una pianta, non un animale. E tanto meno un uomo.
… Almeno sino al 1809, quando un certo Tadeo Haenke, un boliviano di origine tedesca, scoprì che l’Atacama era anche sorprendentemente ricco. Ricco di minerali, come il rame, l’argento e l’oro; ma soprattutto, ricco di nitrati, indispensabili per fertilizzare i campi. Neanche un anno dopo, erano già state create le prime salnitrere, miniere a cielo aperto da cui si estraeva il prezioso salnitro. Era la regione intorno a Iquique, a quei tempi ancora territorio peruviano.

L’industria dell’”oro bianco”

Pampinos delle salnitrere
Pampinos delle salnitrere

Le miniere erano destinate a fruttare molto, vista la grande richiesta di salnitro dall’America del Nord e dall’Europa; c’era dunque bisogno di mano d’opera. Così in tutto il Sudamerica si diffuse la voce che nell’Atacama – “sì proprio lì, amico, dove non manderesti a marcire neppure il peggiore degli uomini…!” – si poteva trovare un lavoro sicuro e ben pagato.
Fu indispensabile costruire villaggi intorno alle miniere, dove gli operai potessero vivere con le loro famiglie. Autentici paesi costruiti dal nulla, con le case per i minatori ammogliati, minuscole baracche – chiamati scafi – per gli scapoli, e alloggi decisamente più belli a appartati per i dirigenti. Un’immancabile Plaza de Armas dove far crescere qualche aiuola fiorita, per illudersi di abitare in un posto normale. Una chiesa per la messa della domenica; un teatro per lo spettacolo del sabato sera – venivano a esibirsi sin qui artisti famosi come Caruso e Violeta Parra – una scuola per i figli degli operai; un ospedale dove provare a curare la silicosi; un cimitero dove ostentare una lapide in pietra; e una “pulperia”, lo spaccio interno alla salnitrera, curiosamente gestito dallo stesso proprietario, che stabiliva i prezzi della merce e scalava i debiti degli operai dai loro stipendi. E ancora, fu indispensabile costruire piscine scoperte per resistere alle temperature torride di questa terra, e locali notturni dove gli scapoli potessero dimenticare la loro malinconia tra le braccia di una sconosciuta.
Nel cuore del deserto, in mezzo al nulla, nel giro di pochi decenni furono costruite oltre 200 salnitrere, e altrettanti villaggi dotati di ogni servizio. Ci si accorgeva di essere lontani da ogni forma di vita soltanto la sera, quando il rumore della fabbrica lasciava il posto a quello del vento.

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La passione dei pampinos

Foto d'epoca: arrivo degli operai
Foto d’epoca: arrivo degli operai

Decine di migliaia di operai arrivarono sin qui da tutto il Sudamerica, portandosi dietro la famiglia, qualche mobile di casa e i ricordi della propria cultura d’origine. Le salnitrere – chiamate anche oficinas – erano affascinanti incontri di lingue, musiche, tradizioni e cucine molto diverse. Qui la differenza lasciava il posto alla necessità di socializzazione e di solidarietà, e a una passione umana come se non se ne vedeva da nessun’altra parte.
Hernan Rivera Letelier lo racconta molto bene nei suoi romanzi ambientati nelle salnitrere dell’Atacama. Lui stesso ha vissuto e lavorato in una di queste – Pedro de Valdivia – sino a pochi anni fa. Veniva chiamato “il poeta” dagli altri operai; non senza riverenza ovviamente, perché è difficile fare della poesia mentre si spala nitrati dall’alba al tramonto, si torna a casa ricoperti di polvere bianca persino sotto i vestiti, e ci si sveglia nel cuore della notte per tossire e sputare salnitro.
“I pampinos sono uomini unici, irripetibili – spiega Rivera Letelier – una volta arrivati nella pampa, la polvere del deserto li spogliava di tutto: dei ricordi, dei gesti, persino dell’abitudine all’individualismo. Per riuscire a sopravvivere diventava quindi necessario imparare ad essere passionali e solidali”. La passione serviva a umanizzare il deserto, e riuscire a vederlo meno ostile di quello che effettivamente era. E la solidarietà era utile per non impazzire di paura.
Non era vero che il lavoro era ben pagato e i proprietari delle salnitrere, per lo più inglesi e tedeschi, per tutto l’800 utilizzarono, all’interno delle oficinas, monete locali, “fichas” in bachelite con cui pagavano gli stipendi e imponevano gli acquisti alla pulperia. Un ingiusto monopolio abolito da una legge solo nel 1924 e che, insieme a molti altri soprusi, fece scatenare le prime rivolte operaie, all’inizio del 1900.

Ghost Towns nel deserto

L’oro bianco di Atacama

Il Cile aveva scoperto il suo “oro bianco”, e il mercato del salnitro era diventata la sua maggiore fonte economica. Inoltre, con la Guerra del Pacifico del 1879 contro Perù e Bolivia, si era garantito il controllo delle città costiere di Iquique e Antofagasta.
Intorno al 1830, Iquique era ancora un minuscolo villaggio affacciato sul Pacifico, che lo stesso Darwin, di ritorno dal suo lungo viaggio in Patagonia e in Terra del Fuoco, descrisse come “un porticciolo con barche insignificanti… e case miserabili”. In pochi anni divenne il maggior porto commerciale della regione, superato, solo alla fine del secolo, da Antofagasta, quasi 500 km più a sud. Decine di migliaia di uomini popolavano ora il deserto “più arido del mondo”, odiandolo e amandolo allo stesso tempo. E quando, verso il 1930, l’industria salnitrera subì un crollo improvviso a causa della produzione chimica del fertilizzante, le oficinas furono chiuse, con la stessa velocità e la stessa indifferenza con cui erano state create; e i pampinos furono costretti a trasferirsi nelle città sulla costa. “Ma avevano perso l’abitudine a guardare il mare – continua Rivera Letelier – troppa acqua dava fastidio agli occhi e faceva rimpiangere la polvere del deserto. I pampinos oggi non esistono più; quelli sopravvissuti al crollo del salnitro vivono di ricordi e creano nostalgici circoli nelle loro città, per organizzare raduni e commemorazioni in ciò che è rimasto delle loro salnitrere”.

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foto d Diego Delso
foto d Diego Delso

Una volta abbandonate, le oficinas furono consumate dal vento, ricoperte di terra e trasformate in ruderi irriconoscibili e a volte senza neppure più un nome. Autentiche ghost-towns cariche di storia, che negli ultimi tempi hanno finalmente convinto il Governo cileno e alcune associazioni straniere a dedicarsi al loro recupero. E così, accanto alle turistiche San Pedro de Atacama e Valle della Luna, ora è possibile visitare alcune delle salnitrere più belle, trasformate in musei nazionali. Il silenzio del deserto si è ripreso il suo antico spazio, ma non la solidarietà e la passione dei vecchi pampinos. Che ancora oggi lasciano mazzi di fiori sulle tombe dei loro antenati, e scrivono bellissimi romanzi sull’epopea del salnitro. Proprio come continua a fare “il poeta” di Pedro de Valdivia che, dopo aver ripreso l’abitudine a guardare il mare, è diventato uno dei più promettenti scrittori cileni.

Itinerario tra le salnitrere

Atacama

Dell’epoca del salnitro, Antofagasta ha mantenuto l’antico molo in legno, la stazione ferroviaria, la dogana e alcuni vecchi palazzi nelle vie Arturo Prat e Baquedano. Da qui, seguendo la Ruta 5 in direzione Nord, si incontra Baquedano, un tempo importante stazione ferroviaria del Longitudinal Norte, il treno che partiva da Santiago e, in 4 giorni e 4 notti di viaggio, raggiungeva Iquique. Tra le botteghe e i locali notturni di Pampa Union (1912-1930), Rivera Letelier ha ambientato il suo “Fata Morgana d’amore”: non era una salnitrera, ma l’unico pueblo commerciale di tutta la pampa, raggiunto nel fine settimana da migliaia di minatori, per fare acquisti e divertirsi. Si trova sulla Ruta 25, che taglia in due il villaggio; a destra si trovano le rovine di case e negozi, a sinistra l’antica stazione.
Proseguendo sulla Ruta 5, si raggiunge Chacabuco (1922-1940), che produceva sino a 15mila tonnellate di salnitro al mese, e che tra il 1973 e il ’74 fu utilizzata da Pinochet come campo di prigionia. Più a nord si trova Pedro de Valdivia (1931-1960), una delle salnitrere più belle e meglio conservate. Maria Elena (1926) è poco distante ed è l’unica salnitrera ancora attiva; ha 14mila abitanti e si individua in lontananza dalla polvere bianca alzata dal vento.
Iquique è sulla costa, venne fondata all’inizio dell’800 e conserva ancora edifici di quel periodo intorno ad Av.Baquedano e Plaza Arturo Prat. Oggi è famosa soprattutto per gli affari che si possono concludere a Zofri, la zona franca più grande del Sudamerica. 45 km. verso l’interno, sempre sulla Ruta 5, si incontrano l’oficina Santa Laura (1872-1960), di cui è rimasta soltanto la zona industriale, e Humberstone (1861-1960), decisamente la più interessante, con un teatro, gli alloggi, la piscina, il campo da tennis, la pulperia e il mercato.

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Magica San Pedro de Atacama

San Pedro-foto di Christer T Johansson
San Pedro-foto di Christer T Johansson

100 Km a est di Calama; 2438 metri di altitudine; XVI° secolo. Queste sono le coordinate di San Pedro de Atacama, il piccolo pueblo pre-coloniale , con le case costruite in “adobe” (argilla) trasformate oggi in botteghe artigiane e guest-house, poche strade ancora sterrate e una bellissima chiesa seicentesca in argilla e legno di cactus. Ha il vantaggio di trovarsi nel cuore del Salar di Atacama, e di essere considerato la capitale archeologica del Cile, grazie ai preziosi reperti pre-incaici e alla mummia millenaria del suo “Museo Padre Gustavo Le Paige”. Partendo da San Pedro, si può visitare l’Atacama più spettacolare: le rovine archeologiche di Pukarà, 3 km a nord-ovest del paese; la zona geotermica di El Tatio, con i geysers più alti del mondo (a 4320 metri di quota), da ammirare prima che sorga il sole. E ancora, la Cordigliera di Sale e la Valle della Morte, dove il deserto si è accartocciato in montagne e canyon emozionanti; e le dune di sabbia, i pinnacoli e le “sculture” rocciose ricoperte di sale, dai riflessi bianchi e rosati, che si susseguono nella Valle della Luna.

foto di Gerard Prins
foto di Gerard Prins

Il Salar di Atacama è infine il più grande lago salato del Cile, riserva nazionale di flamingos rosa e altri uccelli rari che qui migrano ogni anno.

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