
Situato al nord del paese, il Maranhão comprende una zona costiera di lunghe spiagge di sabbia bianca che si sviluppa attorno al delta di un fiume e una zona semifertile chiamata “zona de mata”, affiancata da un’altra di transizione definita “agreste” che a sua volta finisce all’interno con il grande “sertão”, regione arida cui il Brasile deve la sua endemica miseria.
Qui, a periodi di siccità totale, si alternano inondazioni spaventose nella stagione delle piogge che non consentono la crescita di alcuna forma di vita, tranne che di una boscaglia spinosa e inutile chiamata “caatinga”. Ed è proprio da queste zone, come del resto dal sertão di tutto il Brasile che emigrano, nella speranza di trovare cibo e lavoro, miriadi di persone destinate a popolare le favelas di San Paolo e di Rio de Janeiro.
Di questa strana, immensa regione che è il Maranhão, le zone più interessanti dove esiste un’attrezzatura turistica sono quella desertica del “Parque dos Lençois” e la capitale São Luis, con le isole di quello che viene chiamato il “Delta das Americas”. Spostarsi da una zona all’altra non è semplice; le strade sono poche, spesso sterrate e sovente l’unico mezzo di locomozione è rappresentato dalle barche con le quali navigare sui fiumi, oppure per mezzo di piccoli aerei.
Lenzuoli di sabbia

Lo definiscono il “deserto” brasiliano. In effetti il Maranhão sviluppa, lungo la costa occidentale, ventisettemila chilometri quadrati di dune. In mezzo alla sabbia, fra novembre e marzo, si formano con l’acqua piovana dei laghetti color smeraldo.
Come in tutti i deserti, anche qui le dune non sono mai le stesse; di anno in anno, di mese in mese, perfino di ora in ora – quando il vento vi scorrazza sopra, cambiano forma. Possono raggiungere anche i quaranta metri d’altezza e allora lo spettacolo dei laghetti diventa più che mai surreale.
La regione è chiamata Parque dos Lençois, letteralmente parco dei lenzuoli, proprio per quell’aspetto bianco, morbido, fluttuante. Le uniche tracce umane sono le capanne di paglia che da giugno a settembre, quando i venti dell’Oceano soffiano implacabili, gli abitanti (per lo più pescatori) abbandonano, per rifugiarsi nell’entroterra. Ogni tanto capita di trovarci gruppi di ragazzi che scivolano sulle dune, come con uno snowboard sulla neve, per poi tuffarsi in acqua. I turisti si spostano con dei fuoristrada.

A Lençois si arriva in due ore di navigazione da Barreirinhas, la città più grande in prossimità del parco, sul fiume Preguiças, che in portoghese significa “pigrizie”, forse perché il suo percorso tutto curve rallenta la navigazione. Qui lo considerano un fiume minore, anche se è largo quasi tre volte il Po.
Sulla riva, boschi di buriti, açai, coqueiros, poco più che arbusti, ma così vicini l’uno all’altro da formare un groviglio compatto. Barreirinhas è un villaggio con le strade non asfaltate e un grande mercato che il venerdì mattina lo invade completamente. Sui tetti rossi delle case stanno appollaiati gli urubù, uccelli neri simili ad avvoltoi, pronti a buttarsi in picchiata sui cumuli di spazzatura. Barreirinhas si raggiunge da São Luìs de Maranhão con piccoli aerei rumorosi, dai quali si gode l’incredibile paesaggio delle dune.
“Amarcord” portoghese

São Luìs è una città di più di mezzo milione di abitanti; sorge su un’isola nella baia dallo stesso nome, collegata alla terraferma per mezzo di un ponte.
Venne fondata nel 1612 da colonizzatori francesi. Di questi, che vi rimasero solo tre anni, non esistono tracce, come del resto non ne esistono degli olandesi che la invasero nel 1641, dominandoli per altri tre. L’impronta portoghese è quella più forte, se non l’unica.
Si avverte soprattutto nelle case decorate da “azulejos” blu, gialli, bianchi e verdi. Costruita su un terreno scosceso, la città è caratterizzata da strade strette che scendono verso il porto e da ancora più stretti vicoli che le collegano.
Nel 1997 è stata decretata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, proprio per il centro storico in perfetto stile coloniale.
São Luis, città coloniale

Tra gli edifici più interessanti la Cattedrale Sé del XVII secolo, con le due torri laterali, restaurata alla fine degli anni Novanta dalla Fiat, che in Brasile produce la Palio, qui diffusissima. Annesso, il Palacio Episcopal e dirimpetto la scenografica Avenida Pedro II che porta al mare. Non distante la chiesa di Sant’Antonio, con la Cappella dei Naviganti, costruita sui resti di un antico convento.
Progettata da un architetto italiano, la Scuola di Musica, in una delle strade che scendono verso il lungomare, risente vagamente dell’Art Nouveau.
Piuttosto curioso il Teatro Arthur Azevedo, con la facciata neoclassica del XIX secolo. Ricorda nella forma una chiesa, particolare che si spiega con il fatto che i padri carmelitani della vicina chiesa di Nostra Signora del Carmine, trovavano disdicevole edificare “un tempio del profano” vicino a un tempio sacro.
Nella zona del porto ci sono piacevoli locali e negozi dove è possibile trovare oggetti di buon artigianato, come borse di paglia intrecciate, stoffe stampate, sandali con decorazioni in conchiglie e in perle.
L’isola che c’è

L’Ilha du Caju è una delle ottanta isolette situate sul delta del fiume Parnaiba, un’area di circa duemilasettecento chilometri quadrati, chiamata anche Delta das Americas. Per raggiungerla ci si imbarca a Carnaubeira, paesotto anonimo con case fatiscenti sul fiume Prejuiças. Ci si arriva in barca o lungo un percorso molto accidentato nella zona paludosa dei “buriti”.
Non a tutte le ore però è possibile navigare, per la forte marea. Ci si muove sulle “gaiole”, vaporetti in legno che portano una decina di persone, oltre che merci.
In poco più di due ore si raggiunge l’isola, che è una delle due isole private del Brasile. Appartiene a Ingrid, erede di una delle più importanti famiglie brasiliane, con ascendenze portoghesi, olandesi e tedesche, proprietaria di compagnie aeree e immobili dal Maranhão a Rio De Janeiro.
Insieme al marito Mario, catalano, ex chef sulle navi della Costa, gestisce la “pousada” chiamata anche “Refugio Ecologico”. Comprende una casa colonica dove è sistemato il ristorante, le stalle e alcune case in muratura con il tetto di paglia, dove si distribuiscono le stanze. Una diversa dall’altra, sono arredate con tessuti e materiali ecologici, per un effetto finale etnico e raffinatissimo.
Ambiente da preservare

Oltre che da turisti colti, la pousada è frequentata da ricercatori e biologi che lavorano al progetto ecologico di salvaguardia dell’ambiente, sponsorizzato da una compagnia petrolifera brasiliana ora acquistata dagli americani.
E’ sufficiente compiere un piccolo giro, a bordo di una jeeep o su uno dei cavalli a disposizione per gli ospiti, per rendersi conto che la fauna e la flora qui sono davvero speciali. A parte le grandi tartarughe che camminano indisturbate sui ventisette chilometri di spiaggia, ci sono i trichechi e poi, tipico del luogo, un cànide molto simile alla volpe chiamato “ranosa”: quindi il leopardo, il “guercio” (una strana varietà di cervo) il boa costrictor e i coccodrilli, di tutte le lunghezze. Poi vampiri e pipistrelli. Tantissimi gli uccelli, di specie rarissime e di ogni colore.
Altrettanto particolare la vegetazione, dominata dalle mangrovie mischiate a “maracujà” (passiflora) e a un tipo di liana chiamata “cipò carrasco”.