Sabato 18 Maggio 2024 - Anno XXII

Guadalajara, vivace “innamorata” messicana

“Ay, Jalisco, Jalisco, Jalisco! Tu tienes tu novia que es Guadalajara, muchacha bonita, la perla mas rara, de todo Jalisco es mi Guadalajara!”. Queste le prime strofe di una popolare canzone messicana, in gloria della città che rivaleggia con la capitale

Tra un Margarita e l’altro, tutti ad ammirare i Charros

Costalegre
Costalegre

Diretti verso Tlaquepaque, si esce dal centro storico apprezzando belle magioni coloniali lungo la calle Hidalgo, molti sono anche gli edifici Belle Epoque, stile francese che tanto piaceva al presidente dittatore Porfirio Diaz (deposto dalla rivoluzione del 1910). Un tempo villaggio isolato, oggi parte integrante di Guadalajara, Tlaquepaque costituisce lo spazio di ricreazione, la zona del tempo libero e dello shopping dei Jaliscenes. E dopo aver ammirato artigianato e moda nelle vetrine della pedonale Avenida Independencia, niente di meglio che andare ad ascoltare i Mariachis sorbendo una Margarita (un terzo ciascuno di Tequila, Lime e Triple Sec, ghiaccio se chiesto on the rocks e, adesso di moda, sale sul bordo del bicchiere).
Se poi è domenica (o il 14 settembre, Giornata Nazionale del Charro, o il 12 ottobre, Virgen de Guadalupe, patrona del Messico e festa nazionale) tutti a un Lienzo (arena circolare) per assistere a una Charreada. Per chiarezza, Charro è il cavaliere o cow boy, Charreada è la prova di capacità tipo Rodeo e Charrerìa è il mondo, la vita, il “deporte nacional”, quella che in inglese si definisce la “way of life” del carro, secondo regole e dettami risalenti alla fondazione, 1921, della Asociaciòn Nacional de Charros.

Fascino e colori delle Charreadas

Charrerìa
Charrerìa

Non è azzardato commentare che questa sorta di sport, spettacolo di agilità, ardimento e bravura, nacque con l’arrivo dei Conquistadores, che importarono dalla Spagna il cavallo e i bovini. Ne conseguì la vita nel Rancho, l’allevamento (incluso quello del Toro Bravo, nel Messico la corrida è popolarissima e la capitale possiede la più grande Plaza de Toros del mondo, ottantamila posti) e queste Charreadas scandite dalle “Suertes”, nove prove comprendenti la doma, l’uso del lazo, la monta, la resistenza nel cavalcare (beninteso senza redini) focosi cavalli incrociati tra il “quarter” dei Gringos e il locale “criollo”, nervose Yeguas e financo scalpitanti torelli.
Uno spettacolo forse già visto nei film di James Dean o Clint Eastwood, ma reso più caliente e intrigante – nel Messico – da colori, partecipazione e soprattutto dalle eleganti divise dei nostri eroi (magnificate: “Es su orgullo su traje de Charro”, nel già menzionato “Jalisco no te Rajes”).

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Tequila, gloria nazionale

Agave blu
Agave blu

Per saperne di più sul Tequila basta recarsi – una settantina di chilometri a nordovest da Guadalajara – nell’omonima località, ai piedi dell’omonimo vulcano, terzo giacimento al mondo di Ossidiana, da cui il nome nell’antica lingua indigena: “tlequel” (pietra) e “ilar” (che taglia). Qui giunti, la migliore lezione scientifica sulla “macha” bevanda amata da Mariachis e Charros è impartita nell’azienda fondata nel 1765 da Josè Antonio Cuervo (e tuttora in mano ai suoi discendenti, mentre la rivale Sauza è ormai passata in mani Yanquìs, pronunciato dalla guida come se volesse dire Gringos). Chi si accontenta di conoscere soltanto le origini leggendarie della decisa bevanda alcolica (e si tralascino quelle religiose che lo considerano un regalo della dea Mayahuel) è presto accontentato: durante un temporale, un fulmine spaccò un’agave la cui polpa macerata fermentò, producendo una sorta di vino che non dispiacque a una curiosa indigena (dopodiché, giunti i Conquistadores, il  nettare Indio opportunamente alambiccato divenne l’odierno Tequila).
Più scientificamente, il distillato che più messicano non si può, “nasce” dall’agave (pianta delle Amarillidi, in latino agave, dal greco agauè di cui all’aggettivo agauòs, meraviglioso). Ma tra le tante (più di duecento) specie di agavi, grazie alla “scoperta” di un tedesco (!), Herr Weber, soltanto una –  forse per questo è divenuta Patrimonio dell’Umanità – produce il Tequila: la agave “azul, blu, tequilana”.

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