Il Palazzo della Cultura, patrimonio Unesco
Nel Messico moderno Guadalajara ha vissuto una storia sonnolenta, da provinciale, fino alla recente espansione industriale che le ha conferito l’appellativo di Silicon Valley messicana. Ne consegue un contesto monumentale cittadino che merita una visita, peraltro non esaltante, se non abbinata alla conoscenza del folclore, della cultura e delle altre peculiarità regionali.
I più importanti monumenti cittadini sono concentrati nell’area compresa tra la Plaza Tapatìa e la cattedrale, datata 1661 ma più volte riveduta e corretta (l’architettura religiosa propone anche il semplice ma gradevole stile coloniale di San Agustìn e il barocco messicano di Nuestra Señora de Guadalupe). Attira forse più interesse della cattedrale l’adiacente, “churrigueresco” Palazzo del Governo, la cui facciata barocca si affaccia sulla Plaza de Armas arricchita da un bel gazebo, giardino fiorito, forgiate panchine e dal viavai delle “calandrias”, tipiche carrozzelle dipinte di bianco.
Dietro la cattedrale, la spaziosa Plaza de la Liberaciòn è decorata dalla facciata neoclassica del Teatro Degollado (1855). Percorsa la pedonale, tipica la calle Morelos, la vista spazia sulla Plaza Tapatìa: sul fondo il severo edificio dell’Instituto Cultural Cabañas, la maggior attrazione cittadina. Patrimonio dell’Umanità, nel 1991 sede della prima “Cumbre Iberoamericana”, l’ex Ospizio, Casa de la Misericordia, non è tanto importante per le sue dimensioni (la superficie di venticinquemila metri quadrati ne fa il più grande edificio civile dell’America Latina) quanto per la presenza di cinquantasette “murales” del grande artista jaliscense Josè Clemente Orozco (1883- 1949).
Murales contestatori, pro Indios e Campesinos
Se si parla di scherzi del destino è indubitabile che al momento di pagarne la costruzione (iniziata nel 1801) il ricco vescovo che donò l’Ospizio, Don Juan Cruz Ruiz de Cabañas y Crespo, mai avrebbe pensato che vi sarebbero state dipinte cinquantasette opere che più anticlericali (e antispagnole) non si può.
Orozco forma, con Diego Rivera e Josè Siqueiros, una trinità di artisti messicani che nella prima metà del Novecento eccelse nella pittura dei murales.
Opere impegnate e impregnate degli ideali della Rivoluzione del 1910, su tutto il pensiero libertario antireligioso, la strenua difesa degli Indios, dei campesinos, dei più deboli.