Non male, anzi interessante non meno che intrigante, il gandhiano Gujarat, stato della federazione situato nella parte occidentale dell’India (sulle coste del mare Arabico, confina con il Pakistan). Compiutavi recentemente una attenta e prolungata gita, ritengo che possa interessare una narrazione in più puntate di quanto ammirato.
Prima, però, vorrei disquisire – ma solo “per la precisione”, non per pura accademia – sulla vaghezza, sulla scarsa attenzione che invece dovremmo dedicare alla terminologia relativa a posti e località che visitiamo. Dire, ad esempio, “sono stato in India”, non dice, non spiega assolutamente nulla se non è seguito da una doverosa precisazione (vabbè breve, perché mica si può vessare un interlocutore con eccessivi dati geografici, storici e culturali, ancorché in certi posti – e tra essi l’India – ci si va per fare cultura, non certo la tombola serotina o il ballo del quaquà).
Dal Punjab, la cultura dell’Indo
Indie, dunque, per le differenze (ne esistono già a iosa in ogni singolo stato) estremamente numerose e composite che vi riscontri, tali da farti pensare a un vero e proprio primato planetario (dove trovi tanta diversa umanità, culture, religioni, paesaggi, lingue, costumi?). Non parliamo poi della storia (e per chi vuole saperne di più consiglio una valida – come lo sono tutte le opere degli storici inglesi, i migliori – “Storia dell’India” di Stanley Wolpert, si legge con facilità e trattandosi di un tascabile Bompiani costa pure poco).
Un flash back di 4500 anni, risalendo infatti al 2500 a.c. la presenza di una Cultura dell’Indo venuta alla luce meno di un secolo fa nel Punjab, laddove archeologi più o meno dilettanti, gli ufficiali di Victoria regina e imperatrice, appunto dell’India, scoprirono Harappa, città di (allora!) 35.000 abitanti già pratici nella conservazione di grano e altri alimenti, commerciati, per via fluviale, persino con i lontani Sumeri. E vi si coltivavano già piselli, datteri, senape e sesamo, né mancava il cotone, in campi percorsi da animali addomesticati: cani, gatti, cammelli, pecore, maiali, capre, bufali d’acqua, elefanti e galline.
Dagli Arii al Macedone e al grande Re Ashoka
Nel 1500 a.c. arrivano dal Caucaso gli Arii (ariani) e cacciano dal nord o assoggettano i succitati progenitori degli odierni indiani (così tanti da parlare tante differenti lingue: non resta che l’inglese per capirsi, sennò – come recita una vecchia storiella – a bordo dei treni che più british non si può, si rischierebbe di fare scena muta). Comincia pertanto in India la vicenda della Razza Ariana, pseudo scientificamente e burocraticamente detta anche Caucasica, la cui esaltazione da parte di quegli esaltati dei nazisti creò un po’ di problemi nel secolo scorso. Nazismo che, girando per l’India, ti balza alla mente con molta frequenza per via della (dal sanscrito) svastica, millenario simbolo religioso giainista, buddista e induista, epperò copiato da Hitler e compagnia cantando. Ma gli arrivi in India erano appena cominciati. E se a conquistare e governare quell’immensa terra non vi riuscì Alessandro Magno (gli mancò poco, arrivato all’Indo li morì per febbri) ce la fece, meno di un secolo dopo, il re Ashoka. E che grande sovrano! Per averne certezza basta leggere gli editti che, a istruzione del popolo, fece “pubblicare” su enormi pietre e monoliti, in buona parte tuttora leggibili: leggi e regole tanto avvedute e moderne da poter costituire esempio e monito per tanti sedicenti politici d’oggidì.