Il viaggiatore veloce non visita i luoghi: li “fa”. Il verbo non viene usato a caso, poiché costui in qualche modo è convinto che le mete dei suoi viaggi non esistano senza di lui. Parimenti è convinto di contribuire con la sua presenza al loro benessere. Ha fatto le Maldive, il Messico, la Thailandia, il Kenya e l’Egitto, che costituiscono il pentacolo giratorio del “Costruttore di Siti Ameni” che egli impersona.
Meno chiaro è il motivo per cui chi acquista pacchetti preconfezionati in agenzie viaggio, “all inclusive” con pullman, guida, sistemazioni quattro stelle e bibite, sia convinto di buttarsi nell’avventura. Avventura che si pensa di vivere solo perché il titolo scelto sul catalogo era “Wild Africa” o “Che Brivido Mexico!” o “Stremizio Egiziano”.
Agitiamoci e partiamo
Sette notti e nove giorni sono il periodo prefissato. I paesi, trattati come paesaggi privi di storia e vita, non sono altro che mutevoli sfondi dello svago. Soggetti di suggestive fotografie, sapidi filmini autobiografici e nulla più. Il viaggio si acquista con rapacità “last minute”, magari posizionandosi con la valigia all’aeroporto e gettandosi come gipeti sul primo aviogetto in cui si libera il posto. Si parte al salto e si gira a trottola per fare più cose possibile, al fine di avere grandi racconti da propinare al ritorno.
E così ogni asino che vola (ce n’è un’invasione) si crede di poter cogliere in poche decine di ore il senso di civiltà millenarie, sfiorandone con i pattini del turista centometrista le capitali e i monumenti. Ogni luogo viene triturato, diluito e deglutito, dopo essere stato sfrondato da ogni contraddizione e difficoltà per renderlo più digeribile. Sarà certo una bella esperienza, visto che tutti tornano contenti dell’albergo, del cibo e dell’animazione. Hanno praticato dodici discipline sportive, si sono saziati di pasta e pizza e hanno recitato nella riduzione teatrale di Biancaneve e i Sette Nani, nell’impegnativo ruolo dell’intellettuale Dotto.
Viaggiatore con desiderio di fuga
Hanno anche partecipato a un paio di gite: una agli scavi archeologici (quattro sassi) e una al palazzo reale (c’era niente). Una sera c’è stata la cena tipica con danze tradizionali. Ogni giorno trascorre di corsa tra un’attività e l’altra, scandita dagli orari dei pasti e delle molte merende, con la necessità urgente di parlare e socializzare. Il desiderio di fuga dalle cose di tutti i giorni si esaudisce ricostruendo una quotidianità parallela, ugualmente ripetitiva.
Partiti con ansia, si torna in affanno. Peggio ancora è il week-end fuori porta, che riduce la calma in poltiglia. Uscita ufficio, partenza lampo, fruizione concitata e indietro di corsa. Già è una seccatura se si va tre giorni a Orvieto, figuriamoci a New York. Una cosa del genere non bisognerebbe farla manco pitturati sulla carlinga dell’aereo, ma c’è tanta gente che ambisce di stamparsi sui Boeing.
Viaggiatore veloce, anima bolsa
Qualcuno invece non viaggia, non vede, non si muove: trasloca soltanto la propria massa corporea da un luogo a un altro, meglio se si tratta di una seconda casa. Egli non è né veloce né lento: è mummificato e quindi forse dovrebbe scegliere l’Egitto. Impantofolato sempre e comunque, qualche volta nella vita (di solito una, il viaggio di nozze, e magari una seconda in occasione della pensione) sfida l’orizzonte, ma è destinato a restare insoddisfatto.
L’aereo era troppo scassato, l’albergo troppo grande, l’animazione eccessivamente fastidiosa, le gite non culturalmente elevate. Siccome di sicuro si pentirà della scelta, questo viaggiatore è il classico soggetto che fa l’estensione di una settimana, così può stare male il doppio del tempo, pagando un congruo supplemento. Il suo esatto opposto è l’Amundsen del “menga”, quello che parte con un volo charter della “Katafalc Airways”, da Budapest perché costa poco, va a osservare gli usi e i costumi dei “Trituratori di Teste del Birimbamba” e poi deve intervenire l’Onu per riportarlo a casa.
Viaggiatore, essere inanimato
Il viaggiatore lento, del viaggiare si gode l’attesa e non la considera uno spreco di tempo. Non decide una meta soltanto in base alle offerte speciali, ma sviluppa il desiderio di raggiungere una destinazione specifica.
Risparmia la cifra necessaria e intanto procura di conoscere meglio il luogo, magari facendo cose anacronistiche, tipo procurarsi una guida che non abbia per caso trovato allegata a qualche giornaletto (gira voce che ne esista ancora qualcuna). Ignora gli articoli pomposi e inutili delle riviste del settore, dove ci si sdilinquisce parlando di luoghi dello spirito (cosa sono, le case dei fantasmi?) e ci si perde dietro stucchevoli passeggiate e stereotipate descrizioni di piatti tipici, con corollario di osterie carissime.
Quando arriva a destinazione, il viaggiatore lento incomincia con il guardarsi intorno e non ha interesse a essere animato a nessun titolo da alcun animatore patentato. Poi un po’ va in giro a vedere cosa c’è di bello e un po’ se ne sta in pace. Prova l’emozione della cucina locale in un vero locale, non sente la necessità di immortalare ogni istante della sua gita – e ogni poro dei vicini d’ombrellone – con una macchina digitale sei milioni di pixel. Anacronistico come Ulisse? Ma va là: è semplicemente un tipo normale. Cosa c’è di più originale oggigiorno?
Seneca docet anche ai viaggiatori
Vedere l’andare in un luogo come un movimento vero, lo starci come un procedimento plastico per plasmare dentro di sé un’impressione duratura, lo scorrere dei giorni non come il conto alla rovescia del ritorno, bensì come progressivo coinvolgimento: tutto ciò fa saltare fuori il buon viaggio e il buon umore.
Il viaggiatore lento impara a pensare non solo a come lui può fruire del luogo, ma anche a come il luogo può fruire di lui. Sarebbe a dire che cerca di amalgamarsi, di ambientarsi. Che se un giorno gli va di stare a guardare i passanti seduto al bar, lo fa, anche se ciò significa rinunciare alla visita al museo delle alabarde tirolesi. E se un autoctono gli racconta la sua giovinezza e lui ha voglia di stare a sentire (anche se non capisce la lingua) toglie dal proprio programma la mostra permanente dei fermacapelli zen.
Scoprire i luoghi a contatto con gli abitanti
Così il viaggiatore mette in pratica quella che i tedeschi chiamano “landeskunde”, la scoperta dei luoghi attraverso il contatto con gli abitanti e l’immedesimazione nella vita vissuta e inoltre si risparmia la gran rottura di dover subire siti per turisti e visioni di raccolte museali pretestuose. C’è un solo piccolo problema: l’andatura del viaggiatore lento comporta un certo rischio, poiché potrebbe capitare che un giorno, se si prende la sana abitudine di viaggiare assimilando e confondendo il viaggio con la vita, egli non torni indietro perfettamente uguale.
Tuttavia ci sono pure giorni trascorsi tappati in casa che sono destinati a cambiarci. La lentezza nel viaggio la dilaziona nella memoria e trasforma un numero esiguo di giorni in qualcosa di sensato, che è un pezzo di esistenza e non un congruo agglomerato di minuti. “Viviamo solo una breve parte della vita. Perché tutto il resto non è vita, ma tempo” (Seneca).
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